Omelia nella V domenica di Pasqua
Reggio Emilia, Cappella del Vescovado
Cari fratelli e sorelle,
il Vangelo che abbiamo ascoltato nella liturgia di oggi (Gv 14,1-12) è molto importante per tutti noi e per la nostra fede. È un testo su cui hanno riflettuto a lungo i Padri dei primi concili della Chiesa, tra il IV e il V secolo. E sono state proprio queste parole del Vangelo di Giovanni – assieme ovviamente ad altre pagine dello stesso Vangelo e degli altri Vangeli – a definire la dottrina della Trinità e la dottrina delle due nature, quella divina e quella umana, dell’unica persona di Gesù.
Cerchiamo allora di addentrarci in alcune delle parole di questo Vangelo. La Chiesa da duemila anni medita su queste parole e le trova sempre nuove, scoprendo in esse sempre nuovi spunti per la conoscenza della verità e per la conduzione della propria vita. Quindi anche noi: non limitiamoci ad ascoltarle durante questa celebrazione eucaristica, ma ritorniamovi sopra, se possibile, almeno durante la prossima settimana!
Questo brano di Vangelo comincia in un modo “importante” per tutti noi: non sia turbato il vostro cuore (Gv 14,1). Quanti turbamenti abbiamo vissuto in queste settimane! Quanti turbamenti per chi se n’è andato, per chi era lontano e non potevamo vedere! Questa è la stessa situazione psicologica che vive Gesù e gli apostoli con lui nel momento di cui ci parla il Vangelo. Non sia turbato il vostro cuore per il fatto che io fra poco vi lascerò: assisterete a qualcosa di molto drammatico, alla mia passione, alla mia morte. E io so che voi fuggirete. Eppure io vi dico: non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede in me (Gv 14,1). Ecco, già qui, all’inizio di questo brano capiamo su che cosa dobbiamo poggiare la nostra fede: su Dio e sull’umanità di Gesù. Abbiate fede in Dio e in me. Più avanti Gesù ci parlerà, proprio in questo brano, della sua unità assoluta col Padre. Qui ci parla del suo essere una persona diversa dal Padre. Unità nella natura divina, diversità nelle persone, perché il Verbo è unito all’umanità di Gesù di Nazareth: abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.
D’altra parte noi possiamo arrivare al Padre soltanto attraverso l’umanità di Gesù. È un’altra espressione di questo Vangelo: nessuno può arrivare al Padre se non attraverso di me (Gv 14,6). E vorrei fermarmi su questa espressione di Gesù, perché questa parola del Signore è molto importante: vuol dire che non ci si può salvare al di fuori di lui, che la vita di ogni uomo che appare sulla terra – da Adamo fino all’ultimo uomo o donna che nascerà – passa attraverso l’umanità di Gesù. Un brano di Sant’Ilario, che abbiamo letto nell’Ufficio delle Letture di questa settimana, dice: “Noi viviamo in virtù della sua umanità. La nostra vita divina si spiega dal fatto che in noi uomini si rende presente Cristo mediante la sua umanità”[1].
In questi ultimi sessanta – settant’anni, alla luce di una sensibilità nuova per la libertà e per la giustizia, ci si è chiesti: ma chi non conosce Gesù, come potrà salvarsi? E si sono date delle risposte giuste e sbagliate. La risposta sbagliata è che ci si può salvare al di fuori di Gesù. Non c’è invece altra via di salvezza, non c’è altro nome nel quale possiamo essere salvati (cf. At 4,12); lo dice chiaramente Gesù nel Vangelo di oggi: io sono la via (Gv 14,6). Questa risposta deve essere completata: Gesù è l’unica via di salvezza che raggiunge tutti gli uomini, ordinariamente attraverso la Chiesa di cui non conosciamo i confini. Voi direte: questa è teologia nuova. No, è teologia antica! Già Sant’Agostino infatti scriveva: “Molti sono fuori, ma in realtà sono dentro; molti sono dentro, ma in realtà sono fuori”[2]. Non conosciamo le strade straordinarie attraverso cui lo Spirito di Dio raggiunge gli uomini. Sappiamo però che egli raggiunge tutti. Come scrive San Paolo: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (1Tim 2,4). Ma questo è solo un aspetto, ed è l’aspetto che riguarda Dio, la sua giustizia. Poi c’è l’aspetto che riguarda noi, e cioè l’urgenza di annunciare Cristo, di farlo conoscere.
La prima questione che ho detto riguarda la giustizia; questa seconda, invece, è una questione di carità. Carità verso Gesù, che si è fatto conoscere a noi; carità verso i nostri fratelli i quali, spesso senza saperlo, desiderano conoscerlo. Vedete allora che le verità della nostra fede non si contrappongono tra loro, ma si spiegano l’una con l’altra.
Ma questa verità si è oscurata in noi, dal momento in cui abbiamo cominciato a confondere l’azione di Dio con la nostra. Spetta a Dio di “mandare” a tutti una strada di salvezza, che è il suo Figlio, che raggiunge tutti gli uomini in modi ordinari e straordinari attraverso la Chiesa. A noi spetta l’urgenza dell’annuncio della fede. E non si tratta soltanto dell’annuncio della fede attraverso la silenziosità delle buone opere – anche se questo è certamente fondamentale e talvolta è proprio la strada principale, ma di per sé non è sufficiente. Occorre che l’annuncio di Cristo attraverso la silenziosità delle buone opere diventi anche annuncio esplicito della sua presenza e della sua persona. Ancora San Paolo ci ammonisce: bisogna credere con il cuore e annunciare con la bocca che lui è il Signore (Rm 10,9). Ecco allora l’urgenza missionaria.
Dal Vangelo di questa mattina nasce un’urgenza missionaria, che è un’urgenza di carità affinché gli uomini e tutti i popoli incontrino Cristo. È un’urgenza di ogni epoca della storia della Chiesa e di questa nostra epoca più delle altre, perché mai come in questo nostro tempo noi sappiamo che esistono miliardi di persone che non hanno mai sentito parlare di Gesù, che non lo hanno incontrato. Gesù si è fatto incontrare da noi per potere arrivare anche a loro. Noi non sappiamo cosa significhino le strade delle varie religioni per le singole persone. Forse alcuni frammenti di queste religioni potranno aiutare gli uomini e le donne a raggiungere Dio. Ma la strada verso Dio è la persona di Cristo e non potremo mai essere pacificati se noi non lo annunceremo. Questa è la carità: l’annuncio di Cristo.
Cari fratelli e sorelle, facciamo dunque di ogni momento della vita, di ogni circostanza facile o difficile, un’occasione perché Cristo sia conosciuto. Egli lo chiede a ciascuno di noi che crediamo in lui, e noi glielo dobbiamo in forza della rivelazione che egli ha fatto a noi si se stesso; della grazia dei suoi sacramenti a cui egli ci ha introdotti e che ci ha donato attraverso la maternità della Chiesa; della grazia della salvezza che ci ha fatto conoscere; dell’amore per tutti gli uomini che anima al fondo il cuore e la vita di ogni cristiano.
Le domande degli apostoli che abbiamo ascoltato nel Vangelo di oggi siano anche le nostre domande: Qual è la vita? Come possiamo andare al Padre, la fonte della vita, di ogni verità e di ogni giustizia? (cf. Gv 14,5) Attraverso di me, attraverso la mia umanità (cf. Gv 14,6). Chi vede me vede il Padre (cf. Gv 14,9).
E così questo brano di Vangelo, che era cominciato attraverso la distinzione delle due persone (credete in Dio, credete in me), ci conduce all’unità: io e il Padre viviamo l’uno nell’altro (cf. Gv 14,9). In un altro brano di Vangelo Gesù dirà: io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10,30). Dunque Gesù ci porta al Padre perché egli è la rivelazione stessa del Padre (cf. Gv 1,18); non è soltanto la via, è anche la vita e la verità (cf. Gv 14,6). Tutto è connesso nella vita cristiana! Attraverso ciò che è umano arriviamo a ciò che è divino; attraverso ciò che è passeggero e transitorio arriviamo a ciò che è definitivo ed eterno; attraverso ciò che è precario, debole e finito, arriviamo all’infinito di Dio e alla sua luce che non conosce tramonto. Sia lodato Gesù Cristo.
[1] Sant’Ilario, Trattato sulla Trinità, cf. Seconda Lettura dell’Ufficio delle Letture, Mercoledì IV Settimana di Pasqua.
[2] Sant’Agostino, De baptismo contra Donatistas, V, 38; cf. anche: De correptione et gratia, 39 ss.