Omelia nella IV Domenica di Quaresima
Reggio Emilia, Cappella del Vescovado
Cari fratelli e sorelle,
il brano evangelico del cieco nato che abbiamo ascoltato in questa messa (cf. Gv 9,1-41), ci ripropone a più riprese una questione mai risolta una volta per tutte, ma che si rinnova continuamente per ciascuno di noi di fronte agli accadimenti della nostra vita personale o collettiva. Anche questo momento così drammatico per la nostra Italia e per tutto il mondo, ripropone con urgenza lo stesso interrogativo: ecioè il rapporto fra Dio e il male.
Già sant’Agostino – forse l’intelligenza più acuta che la Chiesa ha avuto nei suoi duemila anni di storia – notava la difficoltà di questa questione, esi chiedeva: “Se c’è Dio, da dove viene il male?”[1]. È la domanda che abbiamo sentito rivolgere a Gesù, in un modo o in un altro, sia dai discepoli che dai farisei. I discepoli e i farisei aveva già unaloro ipotesi di risposta.Di fronte a questi due tentativi di risposta, Gesù oppone la sua risposta, che deve diventareora motivo di riflessione e di preghiera per ciascuno di noi. Vediamo di comprendere allora questi tre movimenti: la risposta dei discepoli; la risposta dei farisei; la risposta di Gesù.
Innanzitutto la risposta dei discepoli. Essi muovevano da una convinzione,presente nel popolo ebraico,e cioè che ci fosse un legale diretto fra la colpa personale e il male fisico subito. “Ha peccato lui o i suoi genitori?”, chiedono i discepoli a Gesù.Dato che quest’uomo era cieco fin dalla nascita, non si poteva essere certi del fatto che la sua cecità fosse la conseguenza di una sua colpa; doveva perciò intervenire la responsabilità dei genitori, del loro il peccato. Una visione del genere sarebbe stata, per i discepoli, accettabile. Gesù vuole chiarire questo punto, e lo fa scardinandola concezione secondo cui esiste un nesso fra il male morale della persona, il suo male fisico e la volontà di Dio. Gesù ci dice che questo rapporto diretto non c’è. D’altra parte, se noi meditiamo i Salmi,notiamo come nella maggior parte di essi è presente questo interrogativo:perché i peccatori stanno bene?Perché il giusto soffre? Non c’è stato forse detto che il peccatore dev’essere punito con il male? Gesù rompe e supera questa mentalità. Quando noi consideriamo le persone, la loro vita,ciò che è loro accaduto, non dobbiamo mai attribuire a Dio e ad una sua volontà punitiva i mali che esse devono portare. Dio infatti vede nel profondo dei cuori, è paziente e, a suo tempo, giudicherà chi deve stare alla sua destra e chi alla sua sinistra, distinguerà fra chi nella vita lo ha seguito e chi lo ha rifiutato.
Dall’altraabbiamo la posizione dei farisei, che io chiamerei di “positivismo ideologico”. Essi vorrebbero stare legati ai fatti nel modo più oggettivo possibile. Ma quali fatti? I fatti definiti dalla loro posizione ideologica: un profeta non può agire né guarire di sabato. Dunque per loro Gesù non è profeta. E se non è profeta, allora non ha potuto guarire. E se non ha guarito, allora i casi sono i seguenti: o questo giovane mente – ed è quindi stato guarito da qualcun altro – oppure mentono i suoi genitori.Insomma, i conti non tornano, e per farli tornare è necessario negare qualcosa. Ecco perché ho parlato di un positivismo ideologico: l’ideologia, anche quella religiosa –come in questo caso – non permette di riconoscere la realtà.Non permette di riconoscere che, oltre a quello che noi possiamo vedere, toccare e giudicare, c’è anche qualcosa che ci sfugge e che possiamo riconoscere solamente aprendo il nostro cuore.
Ed ecco quindi la posizione di Gesù. Egli ha negato un rapporto diretto fra colpa e male fisico della persona.Ma le sue parole non terminano qui.
In un’altra occasione, quando alcune persone erano venute a riferirgli: È caduta la torre di Siloe, sono morte delle persone: chi ha peccato? (Cf. Lc 13,4), lui aveva risposto: Se voi non vi convertirete morirete tutti allo stesso modo(Cf. Lc 13,5). Dunque per Gesù, se da un lato non esiste un rapporto diretto fra colpa della persona e male fisico, dall’altra non si deve escludere la presenza di Dio in tutti gli avvenimenti del mondo. Non perché Dio sia la causa del male: non è Dio che ha voluto che quel ragazzo fosse cieco!Non è Dio che ha voluto il crollo della torre di Siloe!Non è Dio ad aver voluto il Coronavirus! Le ragioni del Coronavirus vanno cercate dagli scienziati – semai le troveranno!Forse le stanno già trovando, e forse stanno già comprendendo anche le modalità della sua diffusione. Rendiamo grazie agli scienziati, alla loro ricerca, all’instancabilità del loro lavoro. Ma c’è qualcos’altro, c’è una questione a cui la scienza non può e non deve rispondere, perché non è il suo campo.Edè la spiegazione non del “come”, ma del “perché”. Certamente, se Dio non è la causa del Coronavirus, egli vuole però servirsi del Coronavirus,al fine di fare un richiamo alla nostra vita.Egli vuole sempre aiutarci a comprendere che lui esiste e che non esistiamo solo noi; che non siamo i padroni della storia e del tempo; che siamo fragili, bisognosi; che ci siamo dimenticati di lui, e quindi che dobbiamo tornare a lui, a un rapporto con lui, alla nostra figliolanza, alla considerazione di ciò che è veramente importante nel momento che stiamo vivendo.
E che cosa è importante in questo tempo? È importante che in questo tempo comincia l’eterno, comincia quella vita nostra che non finirà, e che non può essere distrutta nemmeno dal Coronavirus. Quello che può essere distrutto è secondario, mentre ciò che è fondamentale rimane.Perciò,in questi giorni drammatici, oserei dire tragici – una mia amica ebrea, che risiede a Gerusalemme, mi ha detto ieri al telefono: “Non trovo niente di paragonabile a ciò che sta succedendo nel mondo se non il diluvio universale” – ecco,noi sappiamo che nel diluvio c’era l’arca, che lo scopo di Dio non era quello di distruggere il mondo, ma di far rinascere il mondo.Di far rinascere, attraverso una nuova alleanza, la consapevolezza dei suoi figli.Una nuova alleanza. Attraverso la virtù della speranza, dobbiamo capovolgere il male nel bene. Già molti vivono così, attraverso la loro carità, la loro donazione, i loro sacrifici, le loro preghiere, il tempo regalato, la vita regalata… Già questo è il segno dell’eterno nel tempo, è il segno della vittoria della vita sulla morte, è il segno di una nuova alleanza a cui tutti ci dobbiamo preparare.Sia lodato Gesù Cristo.
[1]Agostino, Confessioni, VII, 5.