Omelia nella II Domenica di Pasqua (Domenica della Divina Misericordia
Reggio Emilia, Cappella del Vescovado
Cari fratelli e sorelle,
buona domenica! Questa è la seconda domenica di Pasqua:un giorno di gioia, di particolare gratitudine al Signore per il dono della sua Misericordia. Non dobbiamo mai dimenticare che san Giovanni Paolo II ha istituito in questa domenica la festa della Divina Misericordia.
Nella parola misericordia si raccoglie tutta quanta la realtà della vita cristiana. Sant’Agostino ha scritto – in un’etimologia probabilmente da lui inventata – che Misericordia deriva da miseris-cor-dat: egli dà il suo cuore, cioè sé stesso, ai miseri, a noi che siamo i suoi poveri. Dunque nella parola misericordia è raccolta la vita, la passione, la morte e la resurrezione di Gesù.
La liturgia di oggi è tutta incentrata su un tema molto evidente – basta leggere con attenzione le letture. Si tratta del tema del “vedere” e del “non vedere”. È una questione fondamentale perché la nostra fede non si basi su fantasie o su miti. Ma che cosa possiamo dire allora del rapporto tra il “vedere” e il “credere”?Per credere occorre vedere o aver visto, oppure no? Esaminiamo con un po’ di attenzione alcuni passaggi delle letture di questa messa per rispondere a questa domanda.
Innanzitutto, già nella vita pubblica, prima della sua passione, Gesù insiste chiaramente sul tema del vedere: Beati i vostri occhi perché vedono (Lc 10,23). D’altra parte, se Dio si è fatto uomo, è proprio per questa ragione: perché il suo volto fosse visibile, incontrabile.Colui che nessun uomo poteva vedere, il Figlio unigenito del Padre lo ha rivelato (cf. Gv 1,18). Dunque la nostra fede certamente si fonda sul vedere. Possiamo dire anche qualcosa di più: e cioè che la nostra fede è un’esaltazione di tutti i cinque sensi, non solo del vedere, ma anche del sentire, del toccare, dell’odorare il profumo di Cristo… San Giovanni, all’inizio della sua Prima Lettera, lo dice con molta chiarezza: Ciò che noi abbiamo veduto, ciò che noi abbiamo sentito, ciò che abbiamo toccato del Verbo della vita (1Gv 1,1). La fede cristiana è una fede che potremmo definire “materialista”:essa passa attraverso l’incontro con la fisicità delle persone, non è qualcosa di virtuale.
Nello stesso tempo, vediamo che questo “vedere” è importante anche dopo la passione, morte e resurrezione di Gesù. Egli vide e credette (Gv 20,8), è detto di Giovanni quando assieme a Pietro corre al sepolcro il mattino di Pasqua. Giovanni arriva per primo, si sporge verso la tomba, vede e crede. Vede i segni della resurrezione di Gesù. Dunque per Giovanni non si è trattato in quel momento di vedere il corpo del Risorto, ma di vedere dei segni: i vestiti afflosciati o piegati. Ma il giorno stesso di Pasqua e poi nei giorni successivi Gesù stesso appare nel suo corpo glorioso. Dunque nei quaranta giorni dopo la sua resurrezione, fino alla sua ascensione al cielo, abbiamo le apparizioni.Apparizioni implica il “vedere”. Gesù si rende visibile, in un modo nuovo rispetto alla visibilità che aveva prima, e nello stesso tempo in continuità con essa. In continuità perché egli mangia anche se non avrebbe bisogno di mangiare, si siede a mensa con i suoi discepoli…Sembra quindi ancora immerso nello spazio e nel tempo.Egli può essere toccato.Anzi, invita Tommaso a toccarlo. Nello stesso tempo Gesù passa attraverso le porte, si rende visibile in vari luoghi distanti fra loro: dunque la sua fisicità è diversa dalla nostra. Noi la sperimenteremo soltanto oltre la morte.Ma la sua fisicità è comunque reale:egli può ancora essere visto.Lo si deve ancora vedere nel suo corpo glorioso! E le apparizioni di questi quaranta giorni sono il fondamento della nostra fede.
Precedentemente, prima della passione,si trattava di vedere e riconoscere la materialità dell’incarnazione.Ora si tratta della visibilità della resurrezione. Il Risorto non è un fantasma, non è il frutto di una fantasia, non è una storia inventata.È una realtà. Egli è apparso, dice San Paolo, agli apostoli, ad alcuni singolarmente e poi anche a una folla di cinquecento persone (cf. 1Cor 15,6). La nostra fede si fonda proprio su questo: sul fatto che il Risorto è stato visto.Egli è reale. Anche se non è stata vista la resurrezione, è stato visto il Risorto e i segni della sua resurrezione: la pietra ribaltata, gli abiti deposti, la luce gloriosa…
Ma noi sappiamo che Gesù dopo quaranta giorni si sottrae alla vista dei suoi discepoli. Ormai la Chiesa è stata fondata proprio con queste sue apparizioni. Il suo corpo glorioso si sottrae alla vista, ma non si sottrae alla vista degli uomini il corpo risorto che è la Chiesa, l’estensione del suo Corpo ecclesiale rimane visibile, come dice la prima lettura tratta dagli Atti degli Apostoli (At 2,42-47). La presenza del Risorto si rende visibile nella frazione del pane, nella comunione eucaristica, anche nella comunione dei beni!Si rende visibile nell’ascolto comunitario e concorde della predicazione degli apostoli, cioè nella fede, nella carità e nella speranza.
Ecco allora il significato dell’apparizione a Tommaso. Perché Tommaso viene richiamato da Gesù? E in che senso viene richiamato? Perché Gesù appare ancora una volta la settimana successiva alla Pasqua solo per Tommaso? Da una parte per dire a tutti noi: la vostra fede si fonda sulla fede degli apostoli, di tutti gli apostoli, che mi hanno visto nei segni della continuità e della discontinuità, nei segni della passione e nei segni della resurrezione. Ma nello stesso tempo anche per dire direattamente a Tommaso: ci saranno anche coloro che non mi vedranno in questa modalità in cui mi vidi tu.Mi vedranno in un’altra modalità, nella mia realtà ecclesiale. Beati coloro che riconosceranno nella Chiesa i segni della resurrezione (cf. Gv 20,29)!
Ecco allora che l’assenza di Tommaso è diventata l’occasione per la riaffermazione, ancora una volta, della modalità con cui noi oggi vediamo Cristo. Lo vediamo nella fede della Chiesa, nei sacramenti, nella comunione dei credenti, nella continuità fra la predicazione apostolica e la vita del corpo ecclesiale.
In questi giorni, in questi lunghi giorni nei quali siamo costretti a casa a motivo della pandemia, noi possiamo partecipare solo virtualmente alla celebrazione eucaristica. È un grande dono quello di poter seguire la messa attraverso la televisione e i vari mezzi di comunicazione, soprattutto se la seguiamo in modo raccolto, in atteggiamento di preghiera, nella fede della presenza di Cristo in ogni luogo della terra e in ogni occasione che ci è data di fare memoria di lui. Ma non dimentichiamo che questa è soltanto una modalità transitoria.Dobbiamo tornare, e tornare presto, alle celebrazioni eucaristiche con il popolo, secondo le modalità ragionevoli che ci saranno concesse.
Voglio perciò rileggere con voi le parole che papa Francesco ha pronunciatola mattina di venerdì 17 aprile nell’omelia durante la messa a Santa Marta:“La familiarità con il Signore dei cristiani è sempre comunitaria” – non esiste mai il rapporto di un singolo con Dio che travalichi la comunità – “è intima, è personale, ma in comunità” – cioè c’è una fisicità di rapporto con Dio che nel cristianesimo non può essere evitata né superata – “una familiarità senza comunità, una familiarità senza il pane, una familiarità senza la Chiesa, senza il popolo, senza i sacramenti è pericolosa. La familiarità degli apostoli con il Signore sempre era comunitaria, sempre era a tavola, segno della comunità. Sempre era con il Sacramento, con il pane.Dico questo perché qualcuno mi ha fatto riflettere sul pericolo che in questo momento stiamo vivendo; questa pandemia che ha fatto che tutti ci comunicassimo anche religiosamente attraverso i media, anche questa Messa, siamo tutti comunicanti, ma non insieme, spiritualmente insieme.[…] Sacramento: oggi ce l’avete, l’Eucaristia” – si riferisce alle poche persone che partecipavano alla sua messa –“ma la gente che è collegata con noi, soltanto la comunione spirituale. E questa non è la Chiesa: questa è la Chiesa di una situazione difficile, che il Signore permette, ma l’ideale della Chiesa è sempre con il popolo e con i sacramenti. Sempre.[…] La Chiesa, i sacramenti, il popolo di Dio sono concreti. È vero che in questo momento dobbiamo fare questa familiarità con il Signore in questo modo, ma per uscire dal tunnel, non per rimanerci. E questa è la familiarità degli apostoli: una familiarità concreta, nel popolo. La familiarità con il Signore nella vita quotidiana, la familiarità con il Signore nei sacramenti, in mezzo al popolo di Dio”.
Sia lodato Gesù Cristo