Omelia per la SolennitàSan Francesco d’Assisi, Patrono della Città di Guastalla, della Diocesi e della Nazione Italiana
Concattedrale di Guastalla
Cari fratelli e sorelle,
sono molto felice di poter essere qui, ancora una volta, a presiedere questa solenne liturgia in onore di San Francesco d’Assisi, patrono della Città di Guastalla, della nostra Diocesi e dell’Italia intera. Come di consueto, al termine di questa Santa Messa ricorderemo insieme i quattordici vescovi defunti che – a partire da Giovanni Tommaso Neuschel nel 1828, passando per il beato Cardinale Andrea Ferrari nell’anno 1890, e fino a Gilberto Baroni nel 1986 – sono stati i pastori e le guide a cui fu affidata questa nostra Chiesa, da trentatré anni unita con la Diocesi di Reggio Emilia.
Il breve atto liturgico che vivremo alla fine di questa celebrazione, recandoci presso la Cappella del Santissimo Sacramento, lì dove sono sepolti alcuni di loro – e tra essi mons. Angelo Zambarbieri, ultimo vescovo che risiedette in questa Città – vuole essere un momento di preghiera e di gratitudine. Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio (Eb 13,7a), ci ammonisce la Lettera agli Ebrei. E quindi: non perdete la loro memoria e restate uniti a loro nella preghiera in Cristo!
È bello che questa commemorazione avvenga nel giorno della nostra festa patronale: sia la figura di Francesco che la memoria dei nostri vescovi del passato, ci obbligano a tornare alle radici della fede e della Chiesa. Si rafforza così il legame con la storia recente che sta alle nostre spalle e con il Cielo che sta sopra di noi, che ci attende, che ci attrae; che entra, attraverso la fede, nella nostra vita. Tutto è unito in Dio. Chi crede può cominciare a sperimentare l’unità: con Dio, con i santi, con le vicende umane e divine di quella Chiesa particolare che ci ha consentito di incontrare Gesù Cristo.
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Desidero ora riflettere con voi, ancora una volta, sulla figura del poverello di Assisi, “viva immagine del Cristo” – così abbiamo pregato nella preghiera di Colletta – in virtù della sua povertà, della sua umiltà e della sua letizia.
Quest’anno, in particolare, vi propongo di meditare in profondità la Prima Lettura, tratta dal Siracide. Questo libro, poco noto e raramente citato nella liturgia e nelle catechesi, è l’opera di un saggio d’Israele, scritto solamente due secoli prima della nascita di Gesù. In queste pagine l’autore biblico riflette sulla sapienza di Dio, offre al lettore insegnamenti morali e soprattutto narra la “storia sacra”, indicando come esempi per tutti personalità significative, quali ad esempio Abramo, Mosè e Davide.
Il brano che abbiamo ascoltato questa sera canta le lodi di Simone II, personaggio a noi quasi sconosciuto, che fu sommo sacerdote in Gerusalemme per trent’anni nell’epoca in cui visse l’autore del Siracide. Simone dedicò la sua vita a riparare il santuario, a consolidarne le mura (Sir 50,1). Egli inoltre fortificò anche la città nell’assedio, al fine di impedire la caduta del suo popolo (Sir 50,4). Questa sua opera di ricostruzione fu d’importanza decisiva per l’epoca. Il popolo d’Israele gliene fu immensamente grato.
La liturgia della Chiesa questa sera lega la figura del sommo sacerdote Simone, e queste parole del Siracide, alla vita e all’opera di san Francesco d’Assisi. Egli non fu sacerdote, né si occupò di templi o santuari, mura o fortificazioni. Francesco però ha rivissuto e portato a compimento, “in senso spirituale e più elevato”, proprio ciò di cui parla la lettera biblica (similmente a lui, tanti altri santi che hanno contribuito alla riforma e alla rivitalizzazione della vita della Chiesa in varie epoche della storia).
Dunque l’Antico Testamento ci parla della vita di Francesco? Sì, in quanto esso prefigura e annuncia la vita di Gesù Cristo. E Francesco, innestato nella vita di Gesù Cristo, porta nuovamente a compimento alcune delle promesse antiche. Il vero ricostruttore del Tempio è Gesù! Il vero Tempio è il suo corpo (cf. Gv 2,21), dilaniato sulla croce! Ma milleduecento anni dopo, il corpo di Gesù nella storia, e cioè la Chiesa, era messa a dura prova da tante eresie e da tristi fenomeni di corruzione. E fu Francesco questa volta, chiamato dal Signore a questa missione, a riedificare con nuova solidità il Tempio di Dio, la comunità dei credenti.
Sottolineo questo fatto, poiché esso vale anche per ciascuno di noi: innestandoci nella vita di Gesù attraverso la fede, la speranza e la carità, possiamo rivivere in modo radicale e pieno alcuni aspetti della sua vita; e così possiamo portare nuovamente a compimento, secondo la misura stabilita da Dio, le promesse di bene e di pace che il Padre ha rivolto al suo popolo nel Primo Testamento.
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Riprendendo la prima lettura, ed interpretandola “in senso spirituale”, possiamo quindi dire che san Francesco è colui che nella sua vita riparò il tempio e consolidò il santuario (Sir 50,1). Sappiamo che parole simili rivolse a lui Gesù stesso nella chiesetta di san Damiano, alle porte di Assisi: “Francesco, va’ e ripara la mia Chiesa. Non vedi che è tutta in rovina?” E come fece Francesco a riparare il tempio? Non con cemento e mattoni (come in un primo momento anche lui aveva creduto di fare, proprio nella chiesa di san Damiano), ma con la predicazione, la preghiera; con la sua personale radicale conversione, la sua testimonianza piena di ardore missionario e convincente; con la fondazione di una nuova comunità di amici, attraverso cui annunciare al mondo la pienezza e la gioia che essi stessi avevano ricevuto, e che condividevano nelle loro comunità. Queste sono le strade della riforma della Chiesa, anche oggi! In questo modo anche noi possiamo riparare il Tempio di Dio, la nostra Chiesa, messa a dura prova da tante difficoltà e scandali, composta spesso da uomini e donne “poco vivi”, di fede tiepida, poco consapevoli del posto di Cristo nella loro vita.
N ei suoi giorni fu scavato un deposito per le acque, – continua il Siracide – un serbatoio grande come il mare (Sir 50,3). Le acque, che scendono dal cielo in forma di pioggia, sono l’immagine della grazia di Dio. Non possiamo raccoglierle e trattenerle se non abbiamo un grande serbatoio capace di farlo. A cosa allude la figura del serbatoio per le acque? Alla purezza dei cuori e all’intensità della comunione tra i fratelli, unici luoghi che possono ricevere la grazia di Dio e attraverso dei quali essa può irrigare il mondo.
Francesco d’Assisi inoltre fortificò la città nell’assedio, al fine d’impedire la caduta del suo popolo (Sir 50,4). Sappiamo che il XIII secolo fu caratterizzato da gravi eresie e scismi: la Chiesa era dolorosamente assediata. Quali mura potevano custodirla? La retta dottrina, la meditazione del Vangelo sine glossa (come diceva Francesco stesso!) e, ancora una volta, la comunione vissuta nella verità, nella fedeltà, nella sequela degli insegnamenti sicuri della Parola di Dio e della Chiesa. Francesco fece tutto questo. Com’era glorioso quando si affacciava dal tempio! (Sir 50,5) E cioè: com’era invidiabile e santa la sua vita, nella quale tutti potevano riconoscere Dio all’opera, la presenza stessa di Cristo.
Possiamo quindi giustamente guardare a san Francesco – così la Chiesa fa ininterrottamente da più di otto secoli – come ad astro mattutino in mezzo alle nubi, […] come sole sfolgorante sul tempio dell’Altissimo (Sir 50,6-7).
Queste belle immagini poetiche, ci spingano ad imitare il nostro Santo Patrono nella sua passione per Cristo, nella sua commozione per il sacrificio della croce, e ci aiutino ad invocarlo, quale protettore e guida, dentro le difficili ed esaltanti giornate della nostra storia. Amen.