Omelia in occasione della Veglia di preghiera “Per amore del mio popolo non tacerò” (Oscar Romero), in memoria dei missionari martiri
Chiesa parrocchiale di Villa Sesso (Reggio Emilia)
Cari fratelli e sorelle,
questa sera viviamo insieme la giornata diocesana di preghiera e digiuno in memoria dei 40 missionari martiri (35 dei quali sacerdoti) che hanno versato il loro sangue nell’anno 2018, durante lo svolgimento del loro servizio. Desideriamo metterci alla scuola delle Beatitudini e di San Oscar Romero, canonizzato da papa Francesco il 14 ottobre scorso. Romero fu assassinato il 24 marzo 1980: fra tre giorni ricorre quindi per la prima volta la sua memoria liturgica, a 39 anni dal suo omicidio.
Nella pagina di Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù ci insegna qual è la strada per la beatitudine, cioè per la felicità e la pienezza. Con queste stesse parole il Signore ci indica la strada per essere veramente suoi discepoli. Per stare con Gesù è necessario innanzitutto essere poveri in spirito (Mt 5,3), cioè umili e semplici, persone che non mettono al primo posto se stesse e i propri progetti, ma l’opera e la volontà di Dio. Chi vive così, è beato – ci dice il Signore. Su questa beatitudine si innestano poi tutte le altre. La povertà di spirito è la caratteristica principale del discepolo di Cristo, perché essa è innanzitutto il tratto distintivo della persona di Gesù. La mitezza, l’attitudine alla misericordia, la purezza del cuore, la propensione alla pace, l’ardente desiderio della giustizia… tutte queste qualità umane sono accessibili nella loro pienezza soltanto a chi riconosce e afferma il primato di Dio sulla storia e nella propria vita. Chi vive così, è beato – ci dice il Signore.
Nelle “Beatitudini” Gesù aggiunge a tutto ciò, con grande realismo, anche il tema del pianto e della persecuzione a causa della giustizia e del Suo Nome. La storia degli uomini è attraversata sempre da molte difficoltà, tensioni, sbagli e oppressioni a motivo del peccato. Gesù stesso ha conosciuto l’ostilità e il rifiuto. Anche i suoi discepoli, e quindi i credenti di tutti i tempi, non sono estranei alla realtà del male e alle ingiustizie. Eppure Gesù ci dice che anche dentro queste situazioni avverse possiamo essere lieti, rallegrarci ed esultare (cf. Mt 5,12): grande infatti è la nostra ricompensa nei Cieli (cf. Mt 5,12). Grande è la nostra consolazione anche in questa vita, perché sappiamo che le nostre croci partecipano al mistero della Croce di Cristo, e non sono vane.
Oscar Romero è stato proclamato santo perché da vero discepolo di Gesù si è messo alla scuola delle Beatitudini e ha desiderato imitare il suo Maestro con la parola e con la vita, fino alla fine, fino all’estremo dono di sé. Egli, come abbiamo ascoltato poco fa, non credeva ad una “morte senza resurrezione”. Guardava al martirio come a una grazia e a una benedizione. Disse: “Se arrivassero ad uccidermi, potete dire che perdono e benedico quelli che lo fanno” – e con queste parole mostrava di voler vivere come Gesù in tutto e per tutto, amando anche i nemici (cf. Lc 6,27). Da dove veniva questa sua forza? Dal suo rapporto con Cristo, sigillato nel Battesimo, rafforzatosi nel Sacerdozio e compiutosi nel martirio. “Come pastore sono obbligato, per mandato divino, a dare la vita per quelli che amo, che sono tutti i salvadoregni, anche per quelli che mi assassineranno” – sono altre parole di Romero ci mostrano la grandezza del suo animo e la forza della sua fede.
Durante il suo episcopato, san Oscar Romero ha avuto anche il coraggio di ergersi a difensore dei poveri e degli oppressi contro le leggi dello stato. El Salvador era infatti governato in quegli anni da una dittatura tirannica, distruttiva dell’uomo. La forza e l’urgenza di opporsi a un potere malato e ingiusto gli veniva dalla fede. Il martirio, vocazione cui ogni battezzato è chiamato (e che non necessariamente è cruento), consiste nell’affermare che solo Dio è Dio, e che l’uomo non è Dio. Nessuno stato, nessun uomo, nessuna forza politica o economica può prendere il posto di Dio. E questo è il grande tema che dobbiamo affrontare anche oggi. Il martirio è inscindibile dalla vita cristiana ed è una costante della storia della Chiesa. I credenti sanno che gli idoli schiacciano l’uomo, che quando scompare Dio scompare anche l’uomo: questa loro certezza, essi sono chiamati a testimoniarla con la loro vita. Così fece Romero: egli ebbe riaffermò il primato della coscienza e della Legge di Dio sugli ordini ingiusti dati dagli uomini. E fece tutto ciò in un contesto estremamente difficile, disperato.
Papa Francesco, durante l’omelia della sua canonizzazione, ha detto che Oscar Romero “ha lasciato le sicurezze del mondo, persino la propria incolumità, per dare la vita secondo il Vangelo, vicino ai poveri e alla sua gente, col cuore calamitato da Gesù e dai fratelli”. Gesù e i fratelli, la Chiesa e i poveri: sono questi i due fuochi che hanno infiammato il cuore e la vita di questo santo dei nostri giorni. Ma questi due fuochi erano per lui una cosa sola, ed egli li teneva ben uniti nella sua riflessione e nella sua predicazione. Ebbe a dire di sé: “Ho creduto un dovere pormi decisamente in difesa della mia Chiesa e, dalla Chiesa, a fianco del mio popolo tanto oppresso”.
La fede ci fa amare di più i nostri fratelli e ci spinge ad agire per il loro bene, con decisione e senza tentennamenti. I santi martiri ci mostrano, in modo convincente e credibile, che offrire la propria vita per amore di Dio e degli uomini, è una strada di realizzazione e di gioia. Chiediamo alla Madonna di non stancarci mai di guardare al loro esempio e di imparare da loro. Domandiamo per il nostro cammino l’intercessione di Oscar Romero e dei 40 missionari martiri dell’anno 2018, dei quali fra poco faremo memoria, ricordando i loro nomi.
Amen.