I cattolici italiani e la politica
Basilica di san Prospero - Reggio Emilia
Discorso alla Città e alla Diocesi in occasione della Solennità di San Prospero
Introduzione
Cari fratelli, care sorelle,
la nostra Nazione e il nostro Stato necessitano di una nuova classe dirigente che sappia portare dentro di sé la storia e la tradizione del nostro Paese, per poterlo accompagnare e guidare verso nuovi traguardi, in un contesto culturale profondamente mutato rispetto al passato recente e in continua accelerazione. Questa nuova classe dirigente dovrà essere formata da persone in grado di uscire da un disegno legato al proprio interesse particolare, capaci di entrare in una visione più ampia della costruzione del futuro.
Nessuno può dire quando e come la nostra Nazione riuscirà ad esprimere questa nuova leadership. Sappiamo soltanto che occorre lavorare alla sua nascita. La comunità cristiana non può esimersi dalla collaborazione a questo scopo, con l’apporto originale della propria fede, speranza e carità.
D’altra parte non è mancato, nella breve storia dello Stato Italiano, il contributo decisivo di pensiero e di azione da parte di alcuni eminenti cristiani. Anzi: collaborando con politici provenienti dalle culture liberali e socialiste, essi hanno caratterizzato le pagine più luminose della storia del nostro Paese. Penso in particolar modo a don Luigi Sturzo (1871-1959) e al suo famoso “Appello ai Liberi e Forti”[1], di cui proprio all’inizio di quest’anno abbiamo celebrato il centenario.
Con questo documento del 18 gennaio 1919 la Commissione provvisoria del Partito Popolare Italiano diede vita a un nuovo soggetto politico, con l’intento di creare un punto di riferimento per i cattolici italiani e per tutti coloro che condividevano gli ideali democratici. Non dobbiamo dimenticare che lo Stato italiano, così come lo conosciamo oggi, era appena nato: l’Unità d’Italia era stata proclamata poco meno di sessant’anni prima. Inoltre solamente da pochi mesi si era conclusa la Grande Guerra, con l’annessione di terre fino a quel momento soggette alla dominazione austriaca, ma che il Regno d’Italia rivendicava come proprie a causa della presenza maggioritaria di popolazione italiana. Il contesto sociale e politico del tempo era segnato dall’incertezza. Anche sull’onda delle trasformazioni avviate dal primo conflitto mondiale, l’Italia – così come molte altre nazioni europee in quell’epoca – conosceva una progressiva democratizzazione della vita politica e un allargamento della partecipazione a fasce sempre più ampie della popolazione[2]. In questo cammino si inseriva con forza l’appello di Sturzo, in un Paese segnato dalle rivolte socialiste e dalla preoccupazione delle forze conservatrici. Non senza ragione, perciò, tale appello è stato ricordato anche dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, in più occasioni[3]. Nello stesso spirito durante l’ultimo anno si sono moltiplicati i convegni e gli studi per raccogliere l’invito dei vescovi ad uscire dall’incertezza che contraddistingue anche il nostro tempo, indicando nel laicato ancora una volta – come accadde nel 1919 – il soggetto chiamato a farsi carico delle iniziative di ripresa della presenza dei cattolici in politica.
Come sappiamo, l’esperienza inaugurata da Sturzo fu di breve durata. Essa fu contrassegnata, benché egli fosse un sacerdote, dalla volontà di non coinvolgere direttamente la Chiesa nell’agone politico. Era, la sua, una coscienza sana di laicità, che oggi i vescovi vorrebbero riproporre.
Insieme a Sturzo desidero ricordare qui, in apertura del mio Discorso alla Città e alla Diocesi, la mirabile figura di Alcide De Gasperi (1881-1954), uomo politico cattolico e grande statista che ha guidato, con la collaborazione di altri, la Ricostruzione dell’Italia dopo la terribile prova e la distruzione della Seconda Guerra Mondiale. Conclusa l’esperienza della dittatura egli ricondusse il Paese nel solco della democrazia e dell’Alleanza con i Paesi dell’Occidente. Non si trattava soltanto di ricostruire, ma anche di riconnettere la storia d’Italia al suo passato e alle sue tradizioni, favorendo la scelta di campo delle democrazie occidentali in un’Europa fortemente segnata dalla contrapposizione con il totalitarismo comunista. De Gasperi era mosso da una coscienza e da ideali molto simili a quelli di Sturzo. Ma nel secondo dopoguerra il contesto politico europeo era profondamente mutato. Si trattava allora di difendere l’Italia e di sostenerla all’interno della cultura occidentale (oltre che dello scacchiere geopolitico). Per tutte queste ragioni la Chiesa si schierò per decenni con il partito politico che De Gasperi stesso aveva contribuito a fondare, la Democrazia Cristiana, e in molte occasioni lo sostenne apertamente.
Nella memoria viva di questi due grandi uomini di fede, modelli autentici d’ispirazione, desidero iniziare questo mio Discorso alla Città nella Solennità di San Prospero, dedicato al rapporto tra il messaggio del Vangelo, i credenti e la politica. Alla luce del nostro contesto culturale e storico-sociale, non facile da comprendere, in continua e rapida trasformazione, e soprattutto profondamente mutato rispetto alle epoche in cui vissero sia Sturzo che De Gasperi, desidero tratteggiare alcune riflessioni, a mio parere irrinunciabili e urgenti, in merito all’azione dei credenti nel mondo.
Insegnamenti utili per il presente non possono che nascere dalla considerazione del passato e dalla contemplazione di ciò che resta sempre vero: per questa ragione in questo mio Discorso, dedicherò ampio spazio alla considerazione del ministero e del messaggio di Gesù, alla storia della Chiesa (e in particolar modo della sua Dottrina Sociale), all’opera che altri prima di noi, a partire dall’Unità d’Italia, hanno compiuto; e al modo in cui hanno già affrontato le stesse questioni che sono oggetto di questa mia riflessione.
Oggi, come nel passato e come sempre, la nostra Chiesa Diocesana – inserita nel contesto più ampio della Chiesa Italiana – non può restare indifferente o ai margini della vita sociale del Paese. I credenti sono sempre chiamati, spinti anche dalla loro fede, a formarsi un giudizio su quanto accade nella vita pubblica e, nella misura delle proprie possibilità e dei propri talenti, a inserirsi attivamente in essa, contribuendo alla sua conduzione, perché, come ebbe a dire con una felice espressione papa Pio XI, “la politica è la forma più alta di carità”[4].
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[1] Cf. L. Sturzo, Appello ai Liberi e Forti (18 gennaio 1919). Il testo dell’“Appello” è agevolmente reperibile in rete (ad es. all’indirizzo http://www.cattolici-liberali.com/idee/appellodonsturzo.aspx).
[2] Nel 1912 il diritto di voto era stato esteso a tutti i cittadini maschi di età superiore ai trent’anni, a prescindere dal censo. Tale estensione sarebbe stata ulteriormente ampliata proprio nell’agosto 1919, con l’allargamento del suffragio a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i 21 anni o prestato servizio militare. Questa stessa riforma avrebbe introdotto il sistema proporzionale, più “premiante” per i partiti di massa – come il Partito Popolare o il Partito Socialista – che si stavano progressivamente affermando.
[3] G. Bassetti, Discorso introduttivo alla sessione invernale del Consiglio permanente della CEI (14 gennaio 2019); Omelia nella chiesa dei Santi Apostoli di Roma (18 gennaio 2019); Da Caltagirone un appello al cuore del Paese. Discorso introduttivo pronunciato al Convegno internazionale in occasione del Centenario dell’appello “A tutti gli uomini Liberi e Forti” (Caltagirone 15 giugno 2019). Così il Card. Bassetti concludeva il suo intervento: “L’appello di Sturzo continua a parlare all’uomo di oggi, interroga profondamente la nostra società così marcatamente individualista e soprattutto esorta ad una riflessione profonda tutti i cattolici. Perché quell’appello […] è il prodotto di una stagione alta e nobile del cattolicesimo politico italiano che ha dato un contribuito fondamentale a costruire l’Italia contemporanea e a formare una civiltà basata sull’umanesimo cristiano. Una civiltà basata sulla centralità della persona umana e che rinuncia, in nome del Vangelo, ad ogni volontà di oppressione del povero, ad ogni mercificazione del corpo umano e ad ogni rigurgito xenofobo. Oggi come ieri essere “liberi e forti” significa andare controcorrente, rimanendo fedeli al Vangelo in ogni campo dell’agire umano, anche in quello politico, e farsi annunciatori gioiosi dell’amore di Cristo con mitezza, sobrietà e carità. […] Essere “liberi e forti” significa farsi difensori coraggiosi della dignità umana in ogni momento dell’esistenza: dalla maternità al lavoro, dalla scuola alla cura dei migranti. Perché, in definitiva, la vita non si uccide, non si compra, non si sfrutta e non si odia”.
[4] Pio XI, Udienza del Santo Padre ai dirigenti della Federazione Universitaria Cattolica (18 dicembre 1927). Il testo è reperibile in: D. Bertetto (a cura di): Discorsi di Pio XI. Volume I 1922-1928, Società Editrice Internazionale, p. 745; L’Osservatore Romano, 23 dicembre 1927, n. 296, 3, coll. 1-4.
Affermò in quell’occasione papa Pio XI: “E tale è il campo della politica, che riguarda gli interessi di tutte le società, e che sotto questo riguardo è il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore”. E inoltre: “Tutti i cristiani sono obbligati ad impegnarsi politicamente. La politica è la forma più alta di carità, seconda sola alla carità religiosa verso Dio”. La medesima espressione è stata ripresa in tempi recenti anche da papa Francesco. Cf. Francesco, Discorso in occasione dell’Udienza agli studenti delle scuole gestite dai Gesuiti in Italia e in Albania (7 giugno 2013).