Omelia per la solennità di san Francesco d’Assisi, patrono della diocesi. Consacrazione di Alessia Rinaldi nell’Ordo Virginum
Concattedrale di Guastalla
Cari fratelli e sorelle,
oggi sono due i motivi di gioia per la nostra Chiesa: la festa di san Francesco d’Assisi, patrono di Guastalla e, insieme a san Prospero, della nostra diocesi; e la consacrazione di una nostra sorella, Alessia, nell’Ordo Virginum.
Carissima Alessia, è una coincidenza felice che tu possa celebrare le tue “mistiche nozze con Cristo” (così si esprime la Liturgia) proprio in questo giorno. San Francesco infatti è un modello eminente, uno tra i più belli e luminosi di tutta la storia della Chiesa, per comprendere che il rapporto con il Signore è una storia d’amore, un’unione nuziale. San Francesco fu uno sposo, lo sposo di Cristo, vivente nella sua Chiesa umile e povera. Dante Alighieri, nell’XI canto del Paradiso, ci parla di Francesco come di un innamorato di una donna bellissima, Madonna Povertà, simbolo della Chiesa. Ella era stata la sposa di Gesù, ed era stata assolutamente fedele, perché fu l’unica che “con Cristo pianse in su la croce” (Pd, XI 72). Francesco ebbe come sposa la stessa sposa di Cristo. E i seguaci di Francesco, dice Dante, si scalzarono, cioè abbandonarono tutto, per andare dietro allo Sposo, Cristo, tanto la sposa era affascinante (cf. Pd, XI 83-84). E sposando questa donna così affascinante, la Povertà che è la Chiesa, si trovarono uniti a Cristo, e trovarono così ricchezza e bene per la loro vita (cf. Pd, XI 82).
Il primo momento delle mistiche nozze per ciascun cristiano è il battesimo. In esso siamo stati rigenerati in Cristo, cioè ci è stata donata la possibilità di una vita nuova. Su di esso si radica e fiorisce ogni vocazione. Ciascuno di noi è chiamato ad avere quella disponibilità necessaria perché il dono del battesimo entri sempre di più nel nostro intimo e ci faccia diventare una cosa sola con Cristo. La tua consacrazione è un passo decisivo nel tuo rapporto con Gesù, tuo sposo. È un enorme passo in avanti nell’intimità con lui. Tutto ciò che accadrà nella tua vita, d’ora in avanti, inevitabilmente avrà a che fare con il sì che oggi pronunci.
Torniamo ora per un momento a san Francesco. La liturgia ci dice che egli fu “una viva immagine del Cristo”. Tutto può essere ricondotto a due parole che costituiscono la radice e il frutto della vita del santo di Assisi: povertà e letizia. O meglio: la scelta della povertà e il dono della letizia. Queste sono le strade che consentiranno a te, cara Alessia, di veder fiorire la tua vita. La stessa cosa vale per ciascuno di noi qui presenti, per tutti i cristiani, per ogni uomo.
Innanzitutto la povertà. Essa non è una privazione, ma una virtù. Essere povero per un cristiano significa riconoscere e sapere che in Cristo ci è già stato donato tutto. Egli ci ha amato, e ha dato sé stesso per ciascuno di noi (cf. Gal 2,20). Questo è il contenuto più alto della nostra fede. Noi sappiamo di non aver bisogno di nient’altro e nulla vogliamo tenere per noi che non sia Cristo stesso. In questo modo siamo liberi davvero: possiamo usare delle cose che ci sono date senza mai legare stabilmente la nostra vita ad esse, ma offrendole a Gesù per la sua gloria. Poiché Dio ci ha dato tutto, la nuova creatura (cf. Gal 6,15) che nasce dal battesimo e che si concepisce come sposa di Cristo, decide di volere soltanto lui e lui solo. Pregando il Sal 15 abbiamo cantato: nelle tue mani è la mia vita […] io pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Com’è bella questa confidenza! Com’è ricca di pace!
Anche “il proposito di castità perfetta alla sequela di Cristo”, che Alessia fra poco rinnoverà, ha la sua radice profonda nella povertà. “In te, Signore, possieda tutto, poiché ha scelto te solo al di sopra di tutto” (Preghiera Consacratoria). Il voto di verginità quindi, così come la povertà evangelica, ha una ragione esclusivamente positiva. La verginità non è affatto una strada di privazione, perché attraverso di essa è possibile entrare in relazione profonda con tutto, con Dio, con le persone, con le cose. Chi rinuncia ad una famiglia e a dei figli interpella tutti, perché con la sua semplice testimonianza e con l’offerta di sé mostra nel mondo che il rapporto con Cristo basta per riempire la vita.
Il secondo aspetto che mi colpisce della figura di san Francesco è la letizia. Essa è un dono che solo Dio può dare e che egli vuole donare a tutti, ma solamente chi vive poveramente e con distacco verginale dal mondo può accoglierlo nel cuore e goderne. La gioia piena sta nella tua presenza (cf. Sal 15,11); stare alla tua destra [cioè accanto a te, nell’intimità con te] è dolcezza senza fine (cf. Sal 15,11). La povertà e la castità sono le strade più sicure per preparare il cuore ad accogliere la presenza di Dio e con essa la pace, la letizia.
Nel Vangelo che abbiamo ascoltato, Gesù utilizza un’altra parola fondamentale per comprendere la statura e la fisionomia del cristiano, importante anche per entrare nel segreto di san Francesco e nella strada che Alessia è pronta a percorrere per tutta vita. Si tratta della parola piccolezza. Ai piccoli e non a coloro che credono di sapere tutto (i sapienti e i dotti) il Padre ha rivelato il Suo mistero (cf. Mt 11,25). Cara Alessia, Gesù ti chiama ad essere piccola, povera e casta, umile e aperta, semplice e curiosa come un bambino (cf. Mt 18,3). In una parola: Gesù ti invita ad essere come lui, stando con lui. Egli ti offre la sua compagnia in un modo del tutto privilegiato, particolarmente intimo. Ti promette di accompagnarti in ogni momento.
Nel Vangelo abbiamo ascoltato: Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro (Mt 11,29). L’esperienza della sua vicinanza ci dona pace e riposo nella stanchezza, energie nuove nella lotta di ogni giorno, consolazione nelle avversità. Queste parole di Gesù sono importanti per ciascuno di noi che viviamo in un tempo in cui il mondo corre veloce, in cui l’apparenza spesso sembra essere più importante della verità, in cui molte persone sono vuote, indecise, ferite, sole, senza amici e senza padri che possano indirizzarne il cammino. Queste parole devono accompagnare tutta la tua vita di consacrata, cara Alessia: oggi prevalgono in te sentimenti di gioia, di commozione e di gratitudine – ed è giusto che sia così! Ma il Signore ti ha chiamata per affidarti un compito altissimo e delicato, che è quello di portare le stigmate di Gesù sul tuo corpo (Gal 6,17). Cosa significa quest’espressione di san Paolo? Dio ti chiama a offrire e a soffrire qualcosa per lui e per la sua Chiesa, insieme con lui.
La strada su cui ti sei incamminata, le cui colonne portanti sono i consigli evangelici (povertà, obbedienza e verginità), richiede inevitabilmente una componente di sacrificio, la rinuncia a te stessa per la gloria di Gesù, tuo sposo. Tu desideri questa rinuncia e sai, perché l’hai già sperimentato, che questa rinuncia è buona. Vivi dunque la tua consacrazione e la tua dedizione nella carità, cercando sempre la famigliarità più intima con Cristo, attraverso i sacramenti e la preghiera, attraverso il dialogo con gli amici e le sorelle che accompagnano e sostengono il tuo cammino. E allora scoprirai sempre di più che è bello offrire. Come è accaduto al giovane Francesco d’Assisi, per il quale era amaro vedere i lebbrosi. Ma il Signore gli mise nel cuore l’ispirazione di andare da loro e di stare con loro, di accudirli. E così accadde ad un certo punto quel celebre episodio in cui Francesco diede un bacio ad uno di essi. Ed egli, in quel momento, scoprì che “ciò che mi sembrava amaro, mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo” (Testamento, FF 110).
Auguriamo a te, cara Alessia, di crescere nell’intimità con Gesù e di poter così, passo dopo passo, diventare sempre più simile a lui, cioè santa. La Madre sua, che offrì tutta se stessa per lui e che lo amò come nessun altro, ti accompagni lungo il cammino.
Amen.