Omelia per la solennità del Corpus Domini
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
siamo qui riuniti per celebrare la solennità del Corpus Domini. Negli anni scorsi ho più volte accennato all’origine di questa festa, al suo legame con il miracolo eucaristico avvenuto a Bolsena, alle meravigliose parole che san Tommaso d’Aquino ha saputo formulare per cantare la grandezza di questo sacramento di salvezza.
Oggi vorrei soffermare la nostra attenzione sul centro di questa festa: l’eucarestia. Guardiamo questo piccolo pezzo di pane in cui è nascosto e presente il volto di Dio, avviciniamoci in ginocchio a questo tesoro misterioso e lucente, lasciamoci rapire da questa fonte sgorgata dal cuore trafitto di Cristo. Proprio lì, sotto la croce, vorrei ci portassimo con la nostra immedesimazione e la nostra contemplazione.
La festa di oggi è infatti inscindibilmente legata al Triduo pasquale. Nel giovedì santo, Gesù ha istituito l’eucarestia. Come abbiamo appena sentito nel vangelo di san Marco, egli ha desiderato mangiare la Pasqua con i suoi discepoli (cfr. Mc 14,14). Poi, conclusa la cena, ha cantato l’inno e si è incamminato con loro verso l’orto degli Ulivi (cfr. Mc 14,26), dove sono iniziati gli eventi che lo hanno portato alla croce. Inchiodato, sfinito fino alla morte, esanime, la sua divinità era nascosta agli occhi degli uomini, scrive san Tommaso nell’Adoro Te devote. Ecco la prima cosa che vorrei dirvi questa sera: l’immobilità e il silenzio di Cristo sulla croce sono l’immobilità e il silenzio dell’eucarestia. Sacramento e realtà si sovrappongono, nell’uno vediamo l’altro. La croce è l’ostensorio di Cristo.
Durante la passione, la divinità di Cristo è celata, non cancellata. La sua signoria è presente, come un respiro leggero e nascosto che guida quei misteriosi avvenimenti. Ai lati di Gesù, come sappiamo, sono crocefissi altri due uomini, due malfattori (cfr. Lc 23, 33). Uno dei due deride il Signore, l’altro invece lo rimprovera e chiede misericordia: Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno (Lc 23,42). Gesù accoglie la sua richiesta con una risposta che va bel oltre la richiesta: gli promette che sarà con lui in Paradiso. La tradizione ha chiamato Disma il buon ladrone. Che cosa ha causato il suo pentimento? Che cosa ha saputo penetrare in lui e generare quel santo timore di Dio di cui accusa il suo compagno (cfr. Lc 32,40)? La potenza del silenzio. Cristo ha cambiato il cuore del buon ladrone con la forza del suo silenzio inerme. Il suo silenzio ha distrutto le catene che legavano Disma al peccato, che lo condannavano alla morte e gli ha aperto le porte del Paradiso.
Anche noi, ogni volta che fissiamo gli occhi sull’Eucarestia e ci apriamo alla sua presenza discreta e nascosta, siamo invasi da una luce e da un calore che ci converte, che ci fa avvertire il dolore per il nostro male, che ci fa desiderare che Cristo ci stringa con sé dove lui è ora: davanti alla gloria del Padre. Nel silenzio dell’adorazione, lo Spirito di Cristo imprime nei nostri fragili cuori la nostalgia per il volto del Padre e ci assimila a lui.
L’eucarestia raccoglie in sé i fili di ogni esistenza. È una irresistibile forza che attrae, polarizza e ordina tutte le cose. È il cuore della liturgia, della Chiesa, dell’universo. Nel cuore il sangue rifluisce, si raddensa per poi spargersi in tutto il corpo e portare, attraverso i più invisibili capillari, alimento e vita a ogni piccola parte dell’organismo. Anche l’eucarestia vive il movimento di sistole e diastole: tutto in lei si unifica e tutto riparte. Dall’eucarestia si sprigiona il grido e il desiderio di Cristo per ogni uomo. In lei il fuoco dello Spirito desidera accendere tutto il mondo con la sua grazia. In lei il Verbo esce dal seno del Padre per raggiungere e portare con sé coloro che il Padre gli ha affidato. L’eucarestia è l’origine di ogni nostro andare alle persone. Trovo molto significativo che due giovani ragazzi, Ilaria e Damiano, ricevano il mandato missionario per il Madagascar proprio in questa occasione.
Al termine della messa, anche noi usciremo e porteremo questo sacramento di salvezza per le strade della città, perché tutti possano essere toccati, raggiunti, almeno sfiorati, dalla presenza misericordiosa di Cristo. Per questo rivolgo nuovamente a ognuno di voi l’invito che ho fatto l’anno scorso: il mondo attende Cristo. Non dobbiamo avere paura di annunciarlo. Quanta persone incrociamo durante le nostre giornate! Incontriamole, apriamo le nostre porte, visitiamo anche le situazioni più difficili, facciamo loro compagnia! Un popolo che si muove può essere l’iniziatore di infiniti fuochi, anche piccoli, in cui riluce la vita nuova e la speranza baldante che si incontrano in Cristo salvatore! La Vergine, che in questo mese di maggio abbiamo pregato con affetto, e san Giovanni Paolo II, che proprio trent’anni fa fece visita alla nostra Diocesi, ci accompagnino sulle strade del mondo.
Amen.