Omelia per la messa delle Ceneri
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
con questa celebrazione inizia il tempo della Quaresima. Tra i numerosi spunti che la liturgia ci offre per vivere adeguatamente questi quaranta giorni, vorrei sottolinearne uno in particolare, attorno al quale possono trovare la loro collocazione anche gli altri. Meditando le letture di oggi, mi sono soffermato in particolare sul brano del profeta Gioele: Così dice il Signore: “Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, con pianti e lamenti. Laceratevi il cuore e non le vesti, ritornate al Signore, vostro Dio (Gl 2,12-13).
Ritornate a me… ritornate al Signore è l’appello che il profeta rivolge al suo popolo. Da dove nasce questo richiamo? È difficile comprendere precisamente il contesto del libro di Gioele. Sappiamo che è scritto con molta probabilità nel periodo in cui il popolo è ritornato da Babilonia. Parla di una carestia, di una distruzione dei raccolti, di un’invasione di cavallette. Non si possono più offrire sacrifici al Signore. Il bestiame soffre perché non ha più pascoli. Gli alberi non hanno portato il loro frutto, il succo dell’oliva è esaurito, i campi non hanno prodotto grano, la vite è seccata. Non c’è più vino e, dunque, non c’è più gioia (cfr. Gl 1,2-12). In questo contesto si inserisce il richiamo del profeta. È necessario tornare a Dio con il cuore, con il digiuno, con la penitenza perché volga il suo orecchio alle suppliche, perché il cielo torni ad aprirsi e la Sua grazia si effonda nuovamente sulla terra e sul popolo (cfr. Gl 2-19-27).
Abbiamo quindi al centro il tema del ritorno. Papa Francesco, nel suo messaggio per la Quaresima, ha scritto che la Quaresima «annuncia e realizza la possibilità di tornare al Signore con tutto il cuore e con tutta la vita» (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2018). Desidererei che provassimo a uscire dalla scontatezza con cui utilizziamo questo termine. Si compie un cammino di ritorno se ci si è allontanati. Quale consapevolezza abbiamo della nostra lontananza da Dio? Credo che spesso non percepiamo l’urgenza del pentimento perché non siamo consapevoli della distanza che continuamente frapponiamo tra noi e Dio. Non sentiamo la necessità di tornare, di convertire il nostro cammino, di ritrovare le orme di Cristo perché non ci rendiamo conto dei recessi desolati in cui il nostro peccato ci rinchiude. Dove sei? chiede il Signore ad Adamo dopo che ha mangiato la mela (cfr. Gen 3,9). Il primo peccato ha reciso la comunione tra il Creatore e la sua creatura. Ogni nostro peccato è un nasconderci, un uscire dall’Eden, un ritornare alla polvere. Continuamente Dio rivolge anche a noi la domanda che ha fatto al primo uomo: Dove sei? E sempre in queste parole egli sottende un intimo desiderio: “Ritorna!”. Il profeta Gioele ci invita dunque a riscoprire la nostalgia per il Padre, per la gioia della sua casa, per la pace del suo perdono.
Quali sono le strade di questo ritorno? Il vangelo che abbiamo appena ascoltato ne presenta tre: il digiuno, la preghiera, l’elemosina (cfr. Mt 6,1-6.16-18).
Il digiuno. Come abbiamo ricordato poc’anzi, il primo peccato ci ha allontanati da Dio. Il racconto della Genesi ci dice che questo evento si è verificato mangiando il frutto che il Signore aveva proibito (cfr. Gen 3,6). Il digiuno dunque ci rimette nella posizione precedente alla caduta, quando ancora l’unità con Dio non era stata macchiata dalla disobbedienza dell’uomo. La fame ci ricorda che abbiamo bisogno di cibo, ma più ancora che abbiamo bisogno di accedere al banchetto definitivo che Dio ha preparato per noi (cfr. sal 23,5). Il digiuno ci riconduce dentro le mura del Paradiso, le cui porte erano state chiuse dietro le spalle di Adamo ed Eva (cfr. Gen 3,24). Ci fa pertanto pregustare quel ritorno che la resurrezione di Cristo ha reso possibile.
La preghiera. Se osserviamo le letture della Quaresima e la liturgia delle Ore di questo tempo, accanto a Gesù scopriamo un’altra figura fondamentale: Mosè. Mosè è il profeta dell’esodo, del cammino nel deserto, del passaggio dalla schiavitù del Faraone alla libertà dell’Alleanza con Dio. Soffermiamoci sui testi che la Chiesa ci propone. La liturgia mette davanti ai nostri occhi la grandezza della storia di Dio con il popolo di Israele, con l’uomo, con ognuno di noi. Il desiderio della conversione non nasce prima di tutto da un’autoanalisi, ma dal riconoscimento dell’azione di Dio nella nostra esistenza. Nella scoperta della fedeltà di Dio, sorge il vero dolore per il nostro tradimento, per la nostra distrazione, per il nostro peccato. Nella tenda dell’Alleanza, Mosè ha conosciuto i passi da compiere per attraversare il deserto, per condurre il popolo alla liberazione, per costruire il tempio, la dimora dove Dio abita vicino all’uomo (cfr. sal 102,7). Nella preghiera, e in particolare nella sua forma più sublime che è la liturgia, scopriamo che colui che ha aperto la via della riconciliazione al Padre è Cristo: Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre (Gv 16,18).
L’elemosina. Sulla strada del ritorno, ci accorgiamo di non essere soli. Apparteniamo a un popolo. La carità «ci aiuta a scoprire che l’altro è mio fratello» (Papa Francesco, ibidem). Privarci del superfluo e condividere l’essenziale è la condizione per camminare uniti. Così potremo rispondere con prontezza all’invito di Dio.
Prima di concludere, mi permetto di indicare alcune declinazioni specifiche di quanto detto. Troviamo almeno una sera, in queste settimane di Quaresima, in cui privarci dell’infinito numero di messaggi di cui siamo inondati. Tornati a casa dal lavoro, spegniamo il telefono o qualsiasi altro dispositivo che ci connette ai tanti rapporti virtuali e dedichiamo il tempo della cena e della serata alle relazioni reali che Dio ci dona: la moglie, il marito, i figli, i nonni, gli amici, Dio. Digiuniamo insomma dagli stimoli e dalle sollecitazioni che ci invadono quotidianamente – e di cui ormai siamo inconsapevolmente affamati e dipendenti -, e dedichiamoci ai rapporti fondamentali.
Per quanto riguarda la preghiera, è importante scegliere almeno un giorno, meglio se al mattino, in cui custodire trenta minuti di silenzio e preghiera. Ritengo che siano poche le eccezioni in cui non sia possibile trovare un tempo così piccolo nell’arco di un’intera settimana. Meditate il vangelo del giorno, leggete un libro dell’Antico Testamento – l’Esodo o Isaia -, la vita dei santi, le riflessioni che il Papa ci offre. Trovate uno spazio per abituare lo sguardo a contemplare gli avvenimenti che vivremo nella Settimana santa.
Infine, tutti siamo a conoscenza di situazioni di solitudine e di difficoltà vicino a noi. Prendiamoci l’impegno di fare visita almeno una volta alla settimana a queste persone.
Sono convinto che le energie e il tempo dedicato a queste attività non andrà sprecato, ma porterà alla vostra vita frutti di conversione e di gioia incomparabili.
Cari fratelli e sorelle, faccio mie le parole accorate di san Paolo: vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio (2Cor 5,20). Incamminiamoci con decisione sulla strada del ritorno al Padre! La meta definitiva è la Pasqua e la sua luce.
Così sia!