Omelia nella VI domenica del tempo ordinario in occasione della Beata Vergine di Lourdes e della XXVI Giornata mondiale del malato
Reggio Emilia, chiesa di Sant'Agostino
Cari fratelli e sorelle,
in questa quinta domenica del tempo ordinario si assommano numerosi motivi di gratitudine a Dio. Oggi festeggiamo infatti i 40 anni dall’ingresso in questa parrocchia di don Guido Mortari come parroco. In realtà, egli ha iniziato il suo servizio qui diversi anni prima, come seminarista e vice-parroco, quindi il suo ministero tra queste mura è ben più lungo! Ringrazio pertanto don Guido del suo lavoro, della sua vita spesa per questa comunità, per l’invito rivoltomi a presiedere questa eucarestia in un giorno così importante.
Celebriamo oggi la beata Maria Vergine di Lourdes e la XXVI giornata mondiale del malato. Sono molto legato a Lourdes. Ho visitato la grotta di Massabielle diverse volte. L’ultima appena due anni fa. Il silenzio, la preghiera ininterrotta, il flusso continuo di persone che si avvicinano in devozione e rispetto alle rocce che hanno visto l’apparizione della Madonna, mostrano che l’uomo ha sempre bisogno di essere risanato, di essere accompagnato nel dolore, di sapere che la propria sofferenza è nelle mani di una Madre che soffre con noi e porta le nostre suppliche di guarigione e salvezza davanti al Figlio.
La malattia è il tema delle letture che abbiamo appena ascoltato. Dal libro del Levitico abbiamo sentito una prescrizione della legge: Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; …se ne starà da solo, abiterà fuori dall’accampamento (Lv 13,45-46). Sono parole dure, che oggi possono sembrare quasi disumane. È necessario considerare il contesto storico in cui sono state pronunciate. La mancanza di cure e medicine adeguate poteva fare scoppiare un’epidemia incontrollabile. Il fondamento di una tale indicazione era una dura necessità.
Questa premessa ci permette di comprendere meglio la grandiosità del miracolo operato da Gesù di cui ci parla il vangelo di oggi. Venne da Gesù un lebbroso (Mc 1,40). Quest’uomo malato arriva da Gesù, probabilmente violando i limiti di lontananza che gli erano stati prescritti, e chiede di essere guarito: lo supplicava in ginocchio e diceva: “Se vuoi, puoi purificarmi!” (Mc 1,40). Gesù non si ritrae per paura di essere contaminato, non scaccia il lebbroso, non pone una distanza tra lui e quell’uomo. Egli, dice il vangelo, ne ebbe compassione (Mc 1,41), sentì in sé la solitudine e la sofferenza di quella persona e si commosse. La compassione di Dio annienta le barriere del puro e dell’impuro. Gesù allora tese la mano e lo toccò (Mc 1,41). Egli tocca un intoccabile. In quell’uomo divino c’è una potenza di vita tale che non può essere intaccata dalla morte che affiora sulla pelle di quel povero uomo. Di più, Gesù non diventa impuro, ma purifica colui dal quale viene toccato. Una forza guaritrice si sprigiona da lui come dal lembo del suo mantello (cfr. Mc 5,25-34).
In questo gesto di Gesù emerge la sua divinità. Il Messia atteso è arrivato. Vediamo inoltre il superamento della Legge. Non esistono uomini da accogliere e altri da evitare. Per tutti Dio prova compassione. Ognuno occupa un posto preciso sul suo amore. Gesù inizia una rivoluzione: non c’è nulla che possa rendere un uomo indegno della compassione di Dio. Questa rivoluzione iniziata da Cristo è continuata da subito nella Chiesa e «si è concretizzata, nella sua storia bimillenaria, in una ricchissima serie di iniziative a favore dei malati» (Papa Francesco, XXVI Messaggio per la Giornata mondiale dei malati). Penso alle tante opere e strutture realizzate dalla Chiesa e dalle sue missioni in tante parti del mondo. Penso alle tante associazioni, congregazioni e Ordini che nei secoli, e ancora oggi, si prendono cura amorevole dei più bisognosi. Penso alle tante famiglie che portano con gioia il sacrificio di gravi malattie o difficoltà dei propri parenti e degli anziani. Penso alla figura di tanti santi che hanno saputo portare nel mondo quello sguardo di compassione che Cristo ha avuto per il malato di lebbra.
Nell’ultimo mio viaggio in visita alle missioni diocesane in India, ho potuto visitare anche le opere di madre Teresa a Calcutta. Questa santa ha letteralmente incarnato la pagina del vangelo che abbiamo letto, in una cultura in cui, sotto tanti aspetti, i moribondi e i lebbrosi sono ancora spesso giudicati intoccabili, paria. Ho visto luoghi in cui uomini abbandonanti, gravemente malati, lasciati a morire per strada venivano accolti, lavati, curati e vestiti con una dignità che probabilmente non avevano mai ricevuto in tutta la loro esistenza. La Madre soleva ripetere che è necessario amare fino a soffrire, fino a sentire la sofferenza dell’altro, fino a fare propria la sua condizione di malato, fino a che la compassione di Gesù diventi il modo usuale con cui guardiamo le persone.
Chiediamo pertanto in questa messa, attraverso l’intercessione della beata Vergine di Lourdes, che ci siano donati gli stessi sentimenti di Cristo (Fil 2,5), la stessa compassione per chi soffre, occhi che sanno stare di fronte al mistero del dolore e intravederne il legame profondo con la croce di Gesù e la salvezza del mondo. Affidiamo a Maria il nostro fratello Cesare che riceve oggi il ministero dell’accolitato: la Madre gli conceda i frutti di gioia che sgorgano dalla sequela di Cristo.
Così sia!
+Massimo Camisasca