Omelia nella solennità dei santi Crisanto e Daria
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
celebriamo quest’oggi la solennità dei santi Crisanto e Daria, patroni della città di Reggio e della diocesi. Come abbiamo ascoltato nella rievocazione agiografica all’inizio di questa liturgia, Crisanto e Daria furono due ragazzi pagani convertiti al cristianesimo. Erano laici, si unirono in casta unione matrimoniale e furono uniti anche nella morte, mediante un unico martirio.
Vorrei soffermarmi sul fatto che essi accettarono di morire per la fede in giovane età. La loro vita fu breve, si svolse e trovò pieno compimento nel tempo della loro giovinezza. Fra pochi giorni si concluderà a Roma la XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, dedicato proprio al tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Tutta la Chiesa sta dunque guardando con particolare interesse e speranza ai più giovani. Ritengo che sia possibile educare le nuove generazioni alla fede e guidarle alla scoperta della loro vocazione, indicando dei modelli e delle strade concrete, che altri prima di noi hanno già percorso. Un esempio e un modello per tutti noi, in particolar modo per i nostri ragazzi, sono proprio i nostri martiri Crisanto e Daria. Essi, se ci limitiamo a considerare il dato cronologico, ci appaiono molto lontani. Eppure la loro vicenda suscita ancor oggi nel nostro cuore una commozione che ce li rende vicini, che ce li fa scoprire amici. È la commozione che invade il cuore ogni volta che sorprendiamo Dio all’opera, ogni volta che ci imbattiamo nel coraggio e nella letizia della santità.
In tutti i santi della storia della Chiesa brucia lo stesso fuoco d’amore per Cristo e per l’uomo. In ciascuno di essi questo fuoco ha preso una forma specifica ogni volta diversa, unica e irripetibile. Crisanto e Daria ci parlano di conversione, amicizia, amore, castità, coraggio intrepido. E ci dicono che tutto ciò è possibile per tutti, anche e soprattutto per i giovani.
Ricordare questi due santi martiri significa per noi anche interrogarci sulla vita cristiana, che essi abbracciarono fino al sacrificio supremo, e più in generale sul senso dell’esistenza. Nelle letture di questa liturgia troviamo alcune indicazioni che ci consentono di entrare in queste questioni decisive.
Nella prima lettura, tratta dal Libro della Sapienza, abbiamo ascoltato: Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio. Agli occhi degli stolti furono considerati degli sventurati, la loro fine una sciagura. Ma essi in realtà sono nella pace (cf. Sap 3,1-3). Questo testo ci parla della differenza tra due sguardi sul mondo: quello superficiale degli stolti e quello profondo dei giusti. Vengono così delineate due logiche diverse, due modi di intendere il mondo. Dei giusti è detto che essi sono nella pace. Questa pace è dono di Dio. E proprio perché è dono di Dio, ha la forza di riempire il presente e anche di invadere la percezione del futuro, fin dopo la morte. È la pace ricevuta da Dio che consente agli uomini di essere giusti. Il vero umanesimo, secondo la Sacra Scrittura, nasce quindi da qui, per mezzo delle persone la cui vita sa di essere nelle mani di Dio.
San Pietro, nella sua prima lettera, dice ai cristiani: Rallegratevi nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo (cf. 1Pt 4,13). Cosa significa rallegrarsi nelle sofferenze? Com’è possibile un’affermazione di questo tipo? La risposta è molto semplice: Cristo ha sofferto prima di noi e ha salvato il mondo proprio attraverso la sua sofferenza. La sofferenza quindi, per i cristiani, ha valore redentivo. Non meravigliatevi della persecuzione, aggiunge l’apostolo Pietro. Essa infatti non è qualcosa di strano (cf. 1Pt 4,12). Non è qualcosa di strano perché è già accaduta a Gesù. Non è qualcosa di strano perché il mondo preferisce le tenebre alla luce (cf. Gv 1,5) e resiste all’invito scomodante e realmente liberante alla conversione. Ma i cristiani, così come i giusti dell’Antico Testamento, sanno di essere portatori della speranza, della gioia, del significato della vita. Dalla loro testimonianza libera e fedele, umile e audace, che deve sempre affrontare delle difficoltà, nasce il vero umanesimo. Attraverso di loro la vita degli uomini può conoscere la gioia che non passa. E la sopportazione delle sofferenze che essi sono disposti a vivere è garanzia della verità della loro esperienza.
I martiri ci insegnano tutto ciò in maniera eminente: essi non hanno avuta paura di donarsi, di perdersi. Essi sanno che il chicco di grano, morendo, porta molto frutto (Gv 12,24). E sanno che questo frutto rimane (cf. Gv 15,16), perché piace a Dio ed è da Lui benedetto.
I santi martiri Crisanto e Daria, la cui testimonianza illumina ancor oggi la nostra fede e la nostra vita, accompagnino il cammino della nostra Chiesa e proteggano in particolare i nostri giovani. Amen.