Omelia nella messa di suffragio di don Pasquino Borghi nel 74-esimo anniversario della sua fucilazione
Chiesa di San Pellegrino
Carissimi fratelli e sorelle,
vorrei condividere con voi alcune riflessioni a partire dalla prima lettura che abbiamo appena ascoltato. Assalonne è figlio del re Davide. Dopo una storia di violenza e vendette (cfr. 2Sam 13,28-29), si ribella al padre, arrivando persino a pensare di ucciderlo per ottenere il potere. Inizia così una guerra che divide il popolo (cfr. 2Sam 15,7-12) e che colpisce anche i legami più intimi, quelli familiari, tra padri e figli.
È triste constatare come questi conflitti abbiano attraversato tutta la vicenda umana. Sembra che l’uomo non voglia mai impararne la lezione. Essi si sono ripetuti nel corso del tempo, quasi crescendo in disumanità e orrore, fino a culminare nelle vicende del secolo appena trascorso, teatro di una ferocia che forse non ha precedenti nella storia dell’uomo. Abbiamo vissuto un periodo di profondi contrasti, in cui l’avversione politica ha diviso il nostro popolo. Persino nelle famiglie esistevano situazioni di contrapposizione che, nei casi più terribili, sono sfociate in vendette sanguinose. La vicenda di don Pasquino e degli altri otto uomini fucilati assieme a lui è un’onda particolarmente dolorosa di questo mare di violenza e di morte che ha investito la nostra terra.
Da qui impariamo l’importanza della memoria. A febbraio parteciperò al Viaggio della memoria invitato da Istoreco. Memoria vuol dire evitare che il passato con il suo male si ripresenti. Ogni popolo, ogni generazione, ogni persona è chiamata a prendere posizione personalmente di fronte al bene e al male. Vedere ciò di cui l’uomo è stato capace, ci può aiutare a scongiurare quei gravi errori che hanno lasciato una ferita indelebile nella vita di tanti e del mondo.
È necessaria una considerazione ulteriore: nei momenti di prova, di buio, di disumanità, brillano con più evidenza gli esempi di carità e virtù di tanti uomini che, per amore di un ideale, scuotono il nostro animo e lo risvegliano al bene. La memoria di questi eventi atroci ci aiuta a incontrare persone che hanno sacrificato la propria vita, che hanno saputo affermare un impeto alla libertà, alla Patria e a Dio che accende nei nostri cuori il desiderio di emulazione. Pertanto la memoria spalanca gli orizzonti stretti con cui ogni tanto guardiamo la nostra esistenza, ci dona un nuovo respiro, un nuovo slancio di costruzione e responsabilità.
Incontriamo così la figura di don Pasquino Borghi, di cui oggi ricorre il 74-esimo anniversario della fucilazione. Tante cose sono state dette e non voglio ripeterle. Desidero solo richiamare che la radicalità con cui si è adoperato nell’accoglienza di perseguitati e partigiani e nel sostegno per la liberazione del nostro Paese nasce in lui da molto lontano. Nasce dall’autenticità e dall’integrità che don Pasquino ha vissuto prima di tutto nel rapporto con Dio. Egli aveva un cuore che non accettava divisioni, spinto da un impeto di donazione totale fino al sacrificio. Per questo decide di partire in missione in Sudan per sette anni. Per questo trascorre un periodo nella certosa di Lucca, dove regna solo l’essenzialità del lavoro e del silenzio. Per questo opera nelle parrocchie di Canolo di Correggio e di Tapignola di Villa Minozzo con sollecitudine instancabile. La sua figura luminosa, come quella di altri grandi testimoni, deve occupare la memoria e spingerci a spendere la vita per ideali alti, che non si esauriscono nell’orizzonte delle vicende umane, che vincono il tempo e lo spazio.
Abbiamo poi ascoltato nel Vangelo che il mantello di Gesù emanava un potere salvifico (cfr. Mc 5,25-34). Una donna malata da dodici anni che aveva molto sofferto per opera di molti medici (Mc 5,26), tocca il mantello e viene guarita. Abbiamo appena collocato la veste di don Pasquino nella sagrestia di questa chiesa, luogo dove, con molta probabilità, avvenivano i suoi incontri con don Angelo Cocconcelli e don Giuseppe Dossetti senior per organizzare il sostegno ai partigiani.
Cosa ci aspettiamo da questa veste? Cosa richiama quel tessuto intriso di sangue? Che c’è stata una feroce ingiustizia, una barbarie che non deve essere dimenticata. Il male può essere però svuotato dal suo potere opprimente attraverso il perdono. Il perdono testimonia che c’è una forza più potente del male, che non c’è distruzione umana o sociale che non possa essere superata, che si può costruire un’unità, consapevole e rinnovata, che sa guardare fiduciosa in avanti. La memoria dunque deve fare ricordare e fare perdonare.
Amate i vostri nemici (cfr. Mt 5,44): queste sono le parole di Gesù. Parole incomprensibili, eppure esse possono donare la pace e la certezza di una rinascita di fronte all’ingiustizia, alla menzogna, alla tortura, alla repressione nel sangue. Parole pronunciate da don Pasquino prima di essere fucilato, segno della sua immedesimazione a Cristo, come ha rivelato mons. Brettoni in una sua lettera ai sacerdoti: «Accetto questa morte dalla mano di Dio per isconto dei miei peccati, per il bene della diocesi e per impetrare da Dio la grazia della cessazione dei mali che affliggono il nostro tribolato Paese. Chiedo perdono a tutti, dispiacente del dolore che con questa mia fine recherò a mons. Vescovo e ai miei confratelli; e io perdono a tutti» (Lettera ai sacerdoti di mons. Eduardo Brettoni, in Bollettino Diocesano 1944/2, p. 19).
Questa veste dunque rappresenta la sorgente della guarigione, come è accaduto per la donna malata del vangelo. Guarigione che può venire solo da Dio e dalla sua potenza trasformatrice: Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male (Mc 5,34).
Così sia!