Omelia nella messa di Ordinazione sacerdotale di don Emanuele Sica, don Marco Lucenti, don Prince Osei Ampong e ordinazione diaconale di Jose Adonis Bongo
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
stiamo entrando nella solennità di Pentecoste. Questa festa è iniziata nel momento stesso della creazione, quando lo Spirito di Dio si librava sulle acque (cfr. Gen 1,2). È proseguita in molteplici effusioni durante l’Antica alleanza. Si è definitivamente celebrata durante la vita di Gesù: nella sua passione e morte, quando ha reso lo Spirito; nella sua resurrezione, quando apparendo ai discepoli gliene ha fatto dono. E infine nella Pentecoste, il Consolatore si è posato come fiamma su una moltitudine di credenti, inizio definitivo della Chiesa.
Sappiamo che ogni giorno è Pentecoste: ogni giorno, anzi, ogni istante, Dio, attraverso il sacrificio del Figlio, rinnova l’effusione dei suoi carismi. Questa sera, durante la celebrazione eucaristica, vivremo un momento di particolare grazia: attraverso lo Spirito Santo, quattro nostri fratelli riceveranno l’unzione che li renderà diaconi o presbiteri, donando loro così una particolare assimilazione alla persona e alla missione di Gesù.
Cari amici, dovrete ogni giorno meditare, anzi, entrare con tutta la vostra persona, nel vangelo proclamato questa sera. Chi ha sete venga a me e beva (Gv 7,37). Se non sperimenterete la sete, non nascerà in voi il desiderio. Nella sete del sacerdote vive la sete del mondo. La sperimenterete in voi, provocherà fatica e dolore, forse anche delle ferite. Ma attraverso di essa, sentirete il desiderio di andare a Cristo e di portare a lui la sete del mondo. Dovrete ogni giorno abbeverarvi a Cristo: dovrete amare il silenzio, la preghiera, la meditazione, la confessione dei vostri peccati; vivere la sete della celebrazione eucaristica e della predicazione.
Cari fratelli, se non berrete ogni giorno a Cristo, non sgorgheranno da voi i fiumi dell’acqua viva. Queste parole del vangelo sono in realtà rivolte a ogni battezzato. Le sento innanzitutto dirette a me, e poi a ciascuno di voi che partecipate a questa liturgia. In particolare, come ho detto, sono rivolte questa sera ai nostri quattro ordinandi. Vi supplico: diventerete aridi, se non berrete ogni giorno a Cristo, attingendo alle sorgenti inesauribili della sua grazia e della sua sapienza.
La vita e il ministero del sacerdote sono oggi particolarmente difficili, anche se ancora più affascinanti di un tempo. Il presbitero è di fronte al peccato e alla grazia senza mediazioni. Non c’è più una società ordinata secondo Dio, che custodisca il suo ministero. Egli è chiamato a discendere agli inferi, tenuto per mano da Cristo e dai fratelli a lui più vicini, per potere riguadagnare a Cristo le anime degli uomini e delle donne, smarriti dietro al fascino illusorio del peccato.
Che grande ministero quello del sacerdote! Ministero che egli compie assieme a tutto il popolo di Dio. La Chiesa intera è mediatrice di grazie tra la terra e il cielo, è la colonna e il fondamento della verità (Eb 11,1). In essa il sacerdote ha un posto di speciale bellezza e delicatezza: il compito del pastore, della guida che sta davanti al popolo, che è pronto a offrire la vita per la verità, stando perciò in mezzo ai suoi e perfino in fondo al gregge per aiutare le pecore disperse.
Non possiamo negare che oggi tante nostre comunità appaiono sfilacciate e divise. Sembra di risentire il grido di Paolo VI: «Dov’è il popolo di Dio?» (Udienza Generale, 23 luglio 1975). Viene alla luce in questo modo tutto il delicato compito dei vescovi e dei presbiteri in comunione con loro: andare verso chiunque, senza lasciare chi è già con noi, andare verso il nuovo senza lascire ciò che è essenziale dell’antico. Coniugare passato, presente e futuro. Ogni uomo e ogni donna, anche i più lontani, anche coloro che negano Cristo e la Chiesa, portano in sé la nostalgia della verità e del bene. Andare verso tutti, non per assecondare le mode del mondo, ma per portare Cristo, la sua vita, la sua promessa di felicità, la sua gioia. Fare incontrare Cristo agli uomini: appare qui l’opera di tessitura difficile e instancabile che è il compito del presbiterio unito al suo vescovo.
Per questo occorre una quotidiana immedesimazione con i misteri della vita di Cristo, con il suo linguaggio, con il suo metodo apostolico. È necessario conoscere e amare la Chiesa, la sua storia, il suo magistero, la sua dottrina, che non è altro che il vangelo dispiegato e spiegato per le nostre povere menti.
Quanto coraggio per non diventare servi del mondo, per proclamare a tutti la bellezza e l’urgenza di difendere la vita nascente e quella che tramonta, per sostenere e testimoniare la luminosità della famiglia cristiana, incontro fecondo tra l’uomo e la donna, per raccontare la luce che proviene dalla povertà, dalla castità, dall’obbedienza!
Gli uomini non hanno bisogno di un vangelo diminuito, ma soltanto della grazia di Cristo e di sapere che con essa possono percorrere qualunque distanza tra ciò che vivono e ciò che li attende.
Cari fratelli che tra poco sarete ordinati, ascoltando la voce di Cristo e della Chiesa imparerete a parlare una lingua sola, pur provenendo da differenti popoli ed esprimendovi in diversi linguaggi. La Chiesa parla una lingua sola, la lingua che ha imparato dal suo Signore. Essa rimane unica nella differenza dei linguaggi, nelle diverse tonalità imposte dalla storia e dalle condizioni degli uomini. Abbiamo ascoltato dal libro della Genesi (cfr. Gen 11,1-9) la terribile esperienza di Babilonia. Gli uomini parlavano una sola lingua, ma si erano inorgogliti della loro fragile unità linguistica e volevano fare di ciò la base per un attacco contro il cielo. Si sentivano forti, tanto da non avere più bisogno di Dio. Il Signore allora li ha voluti correggere. E ancora oggi ci corregge attraverso la Babele delle lingue e delle nostre divisioni, invitandoci a superarle attraverso l’immedesimazione con l’unico corpo di Cristo.
Assieme a miracoli di santità e comunione, vedo purtroppo anche tante disobbedienze e divisioni nelle nostre comunità. La bellissima varietà dei doni dello Spirito dovrebbe fare delle nostre assemblee un giardino plurale nell’unità! Invece si assiste a rivalità e rancori, paradossalmente e tragicamente originati dal desiderio di una maggiore fedeltà a Cristo. Ma non vi può essere fedeltà se non c’è unità.
Cari fratelli, siate perciò sempre costruttori di unità, strumenti di comunione, attraverso un lavoro paziente e fiducioso.
La Madonna, che nel Cenacolo ha partecipato alla gioia della Pentecoste con gli apostoli, vi accompagni sempre con la sua protezione materna e sia la luce per tutto il vostro ministero.
Amen.