Omelia nella IV domenica del Tempo Ordinario, in occasione della consacrazione di Chiara Franco e Francesca Perricone nell’Ordo Virginum e della giornata diocesana della vita consacrata
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
Cari religiosi, religiose e consacrati,
Carissime Chiara e Francesca,
in questo giorno di festa, in occasione della giornata della vita consacrata, celebriamo la consacrazione di due figlie della nostra Chiesa. Ogni volta che un nostro fratello o una nostra sorella decide di donare interamente la sua vita a Dio, l’esistenza di ogni uomo è interpellata. Soprattutto quella di noi consacrati e religiosi. Nel “sì” che queste due donne diranno a Dio, anche il nostro affidamento al Signore è chiamato a rinnovarsi, a rivivere il miracolo dell’inizio e la gratitudine dei frutti che il cammino ha portato. Le riflessioni che ora condividerò a partire dalle letture appena ascoltate, non riguardano pertanto solo Chiara e Francesca, ma sono rivolte anche a tutti voi.
Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti (Ct 2,8). Avete ora pronunciato davanti a me queste parole: «Mi hai chiamato, Signore: eccomi» (Ordo Virginum nella Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla Lineamenta 2011, p. 65). La liturgia poi sigillerà il dono definitivo a Dio delle vostre vite. Tuttavia dobbiamo considerare che la disponibilità che oggi offrite è innanzitutto una risposta, la risonanza a un richiamo che ha toccato la vostra esistenza senza che voi lo abbiate cercato né tantomeno meritato. Una voce, la voce dell’amato vi ha chiamato, è venuta a cercarvi. Egli è disceso dai monti per raggiungere la vostra vita e legarvi a lui nell’intimità di un’amicizia sponsale. All’origine della vostra storia e del gesto che state per compiere oggi, dunque, non c’è innanzitutto una vostra decisione, ma una scelta di Dio.
Perché Dio, l’amato mio, è venuto a cercarvi? Cosa lo ha attratto? Questa domanda ci porta sulla soglia di un mistero inesauribile, un mistero che possiamo solo intuire, che ci affascina ma ci sovrasta, di fronte al quale proviamo un sacro timore. Questo mistero è la profondità sconfinata dell’amore divino. Conosciamo bene la sete del nostro cuore (cfr. Sal 63,1). Siamo attraversati dal desiderio di vedere il volto di Dio (cfr. Sal 26,8). Cerchiamo continuamente la sua pace nell’inquietudine delle nostre giornate. La nostra vita si protende verso Dio. Troppo poco, invece, consideriamo il movimento opposto. Non quello dell’uomo verso Dio, della terra verso il cielo, ma quello di Dio verso l’uomo, del Creatore verso la creatura.
Alzati, amica mia bella, e vieni presto! In Dio c’è una misteriosa attrazione per la bellezza della propria creatura. Egli vede in noi una bellezza pura, originaria, splendente. Ci guarda come appena usciti dalle sue mani, prima del deturpamento del peccato, e riconosce in noi qualcosa di molto buono (cfr. Gen 1,31). Mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce (Ct 2,14). Dio ci chiama perché vuole ascoltare la soavità della nostra voce (cfr. Ct 2,14). Vuole attrarre il nostro sguardo verso di sé perché per lui il nostro viso è incantevole (cfr. Ct 2,14). Scrive santa Caterina da Siena: «Ed ho conosciuto… che tu sei innamorato della bellezza della tua creatura» (Caterina da Siena, Dialogo della divina Provvidenza, cap. 167).
Lo sguardo di Dio ci trapassa e vede quella bellezza che è nascosta anche ai nostri occhi. La sua voce ci raggiunge e ci spinge a uscire da noi stessi per rispondere a lui: O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso (Ct 2,14). Egli desidera che il bene per cui ci ha creato emerga, che venga allo scoperto e irradi nel mondo la sua forza trasformatrice.
Carissime Chiara e Francesca, oggi fate vostre le parole del salmo appena ascoltato: Nelle tue mani è la mia vita (Sal 16,5) Siete certe di questo passo, perché avete sperimentato che Dio può ricolmare di beni la vostra esistenza. Ancora in questa meravigliosa lettura tratta dal Cantico, troviamo queste espressioni: L’inverno è passato… i fiori sono apparsi nei campi… il tempo del canto è tornato… le viti in fiore spandono profumo (Ct 2,11-13). L’incontro con Cristo è la fine del gelo, del buio, dell’inverno. Egli è la primavera della nostra vita, un sole che la riempie di luce, di canto e di profumo. Avete gustato questa intensità e ora rispondete con il dono totale di voi stesse. Dio vi attende con impazienza: Alzati, amica mia, mia bella, e vieni, presto! (Ct 2,10). La consacrazione verginale dunque nasce dall’esperienza che l’amore di Dio invade così potentemente che è possibile rispondere in modo adeguato solo offrendo tutto se stessi.
Un ultimo spunto dal Cantico. L’amato scende dalle colline, si avvicina facendo sentire la sua voce, corre, ha ansia di incontrarci. Tuttavia quando arriva, rimane fuori. Non spalanca la porta, sta dietro il nostro muro; guarda dalla finestra (Ct 2,9). Dio si ferma sulla soglia della nostra libertà. Non ci fa forza, ma attende. Lascia tra noi e lui uno spazio. È una distanza ricolma del suo impeto di unione che solo noi possiamo percorrere. È una lontananza che afferma la nostra dignità: Dio vuole che lo amiamo liberamente. Spesso, tuttavia, diventa l’occasione della nostra indecisione, del nostro tradimento, del nostro torpore, del nostro dono trattenuto. Comprendiamo allora come la verginità è anzitutto una grazia da chiedere incessantemente allo Spirito. Solo lo Spirito può unire la nostra libertà e quella di Dio. Solo lo Spirito può trasfigurare le nostre vite e concederci di vivere all’altezza della vocazione alla quale siamo stati chiamati. Solo lo Spirito può farci sperimentare la dolcezza e la letizia che si provano nell’abbandono senza riserve nelle mani del Signore (cfr. Mt 11,30).
Carissime Chiara e Francesca, affidatevi alla Madonna. La sua protezione vi guidi alla scoperta della ricchezza e della bellezza che viene dalla vostra vocazione: essere vergini e spose di Cristo. I vostri patroni, santa Chiara e san Francesco, illustri testimoni di carità e santità, illuminino per sempre le vostre esistenze.
Così sia!