Omelia nella III domenica di Avvento per l’ordinazione presbiterale di don Alberto Debbi.
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
il mio saluto va a tutti voi qui presenti e in particolare al diacono don Alberto Debbi, che tra poco ordinerò presbitero per la nostra Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla e per tutta la Chiesa universale. Assieme a lui saluto la sua carissima mamma, i suoi famigliari e amici, e tutti quanti sono accorsi nella nostra cattedrale per partecipare a questo importante momento della nostra vita diocesana.
Saluto inoltre i giovani seminaristi a cui tra poco conferirò il ministero del lettorato e dell’accolitato e i tre fedeli della nostra Chiesa, provenienti dalla parrocchia di Regina Pacis, che chiedono di essere ammessi all’itinerario di preparazione per ricevere a suo tempo il sacro ordine del diaconato permanente. Il mio augurio perciò si estende anche ai parenti e agli amici di questi fratelli, in particolare alle spose e ai figli degli aspiranti diaconi.
Questa terza domenica di Avvento, in cui ricordo anche il mio ingresso nella nostra diocesi avvenuto esattamente sei anni fa, è chiamata anche Domenica Gaudete, domenica della gioia. Qual è la ragione di questa gioia? E perché noi siamo così spesso tanto poveri di letizia nelle nostre giornate? Sia il profeta Sofonia che l’apostolo Paolo in modo diretto ed esplicito, ma anche come vedremo il Vangelo di Luca, ci invitano a riflettere sulla ragione della gioia. Il profeta invita la Figlia di Sion, cioè gli abitanti di Gerusalemme purificati dall’idolatria, ad esultare, perché il Signore è in mezzo a loro (cf. Sof 3,14). Se il Signore abita le nostre vite, continua il profeta, non possiamo più temere le sventure (cf. Sof 3,15). Esse non sono eliminate né cancellate, ma ci è data la forza per attraversarle. È lui, il Salvatore potente, che le attraversa con noi. Il Signore, dice il profeta, ha revocato la nostra condanna (cf. Sof 3,15). Per Israele si trattava allora dei pericoli incombenti a causa di un’intricata situazione politica che minacciava di distruggere il popolo santo di Dio. Per noi si tratta del perdono dei nostri peccati e del rinnovamento del nostro cuore, reso possibile dalla lotta di Gesù contro Satana.
San Paolo si rivolge alla comunità a lui carissima di Filippi. Raccomanda ai suoi fratelli di essere sempre lieti e di farlo nel Signore, sapendo che Lui è vicino (cf. Fil 4,4-5). Perciò essi non devono cedere alla tentazione del lamento e dell’angustia per le difficili circostanze della vita, ma piuttosto aprirsi a Dio con la domanda e poi con il ringraziamento (cf. Fil 4,6). In questo modo la pace di Dio custodirà i cuori e le menti, toglierà l’amarezza, la recriminazione, l’istinto depressivo, la voglia di rivincita contro qualcuno e aprirà all’amabilità, alla leggerezza e alla gioia.
Questa conversione radicale del cuore e della mente è necessaria ad ogni uomo. In tutto ciò consiste il dono del Natale. Esso, in maniera somma, è necessario alla vita del presbitero. Chi vuole essere tutto del Signore e per il Signore, non può permettere al suo cuore di essere abitato e dominato dalle tristezze del mondo. Le guerre, le divisioni nelle famiglie e nelle persone, le gelosie, le rivalità che spesso vengono scaricate su noi sacerdoti, non trovando altro luogo ove essere raccontate e deposte, non devono diventare in noi motivo per lo scoraggiamento, per una fede indebolita o per la tristezza del cuore. All’opposto tutto deve convertirsi in preghiera e in lavoro perché la fede e la carità trionfino nella vita degli uomini.
Perché tutto ciò possa avvenire occorre, caro don Alberto, che la tua vita ogni giorno si immerga nella vita del Signore, soprattutto attraverso il silenzio e la meditazione. Senza la contemplazione della vita di Gesù, non ci è possibile non solo portare le vite degli altri, ma neppure ascoltarle e cercare di leggerle.
Il sacerdote è colui che ricorda al mondo che il Signore è vicino (cf. Fil 4,5), anzi, che è presente, che è in mezzo a noi, che la storia degli uomini è immersa nel travaglio di un parto doloroso, ma il tempo della liberazione è decisamente iniziato e si sta compiendo.
Occorrono occhi nuovi per vedere tutto questo e un cuore nuovo per poterlo gustare. Le cortine fumogene del mondo ci avvolgono come una nebbia che fatichiamo a diradare. Nella nebbia ogni punto di riferimento svanisce e anche camminare di un sol metro diventa difficile. La nebbia si dirada quando la lunga meditazione e la preghiera, l’ascolto del magistero della Chiesa, dell’insegnamento dei Padri, delle vite dei santi ci immergono nell’atmosfera semplice e reale della fede. Non sono paragonabili le sofferenze del tempo presente con la gloria che ci attende (Rm 8,18). Siamo schiacciati, ma non uccisi (cf. 2Cor 6,9). Sono espressioni di san Paolo che possono ben aiutarci anche nel nostro cammino quotidiano.
Caro don Alberto, di fatto sei già da qualche mese immerso nel ministero pastorale. Ricordati che non potrai mai dare ciò che non possiedi, anzi, ciò da cui non sei posseduto. Non sarai mai libero per gli uomini, se non ti lasci possedere da Cristo. Ti supplico di lavorare attentamente per il discernimento delle priorità nella tua vita pastorale. Non ci sia giornata senza qualche ora per Dio. Non ci sia mese senza qualche giorno per il riposo, lo studio, la lettura, gli amici. Certamente la vita del presbitero è una vita donata, ma l’arte della donazione è un’arte lunga da imparare. All’inizio bisogna avere il coraggio del tempo riservato per sé e per Dio, per poter diventare veramente un uomo per gli altri.
Lungo la tua strada troverai riposo nella celebrazione dei sacramenti, nell’accoglienza delle persone, specialmente le più bisognose, quelle disperate, i poveri, coloro che non hanno nessuno. Per poter aiutare dobbiamo innanzitutto lasciarci aiutare. Consigliati perciò sempre con il tuo parroco e con delle persone mature e di esperienza per poter indirizzare la tua vita sulla strada giusta.
Il Vangelo di Luca sembra a prima vista collocarsi in una prospettiva diversa. Le folle chiedono a Giovanni: Cosa dobbiamo fare? (Lc 3,10). Era la domanda frequente sulle labbra degli israeliti che nella concretezza semitica della loro vita sentivano sempre a livello morale, cioè a livello del fare, ogni cambiamento decisivo nella loro esistenza. Il Battista non evita la loro domanda. Dice ai pubblicani, ai soldati e alle folle che la regola della loro vita doveva essere la condivisione, l’onestà, la mitezza (cf. Lc 3,11-14). Ma egli poi esplode in un grido: “Tutto ciò non è sufficiente! Quello che io posso fare è di battezzarvi con acqua, cioè di prepararvi a un avvento ben più radicale e profondo. Sta per arrivare lo Spirito di Dio sotto forma di fuoco, il Figlio di Dio fatto uomo” (cf. Lc 3,16-17). Questa è la grande e bella notizia che Giovanni è venuto a portare: preparare i cuori all’avvento di qualcuno che nessuno avrebbe potuto né prevedere né immaginare.
La benevolenza di Dio, che ci permette oggi di vivere questo momento di grazia con l’ordinazione presbiterale di un nostro fratello, aiuti tutti noi a vivere l’evento di oggi come preparazione al Natale. In fondo l’ordinazione di un nuovo presbitero è in continuità con il mistero dell’Incarnazione e della nascita di Gesù. Ogni sacerdote è chiamato a ripercorrere tutto l’itinerario della vita del Salvatore. Auguro a te, caro don Alberto, che oggi nasci nella capanna di Betlemme, di sentirti sempre scortato dagli angeli e protetto da Maria e da Giuseppe nel cammino del tuo ministero che auguro lungo e fecondo. Amen.