Omelia per la messa in occasione della Giornata diocesana del disabile, del malato e dell’anziano – solennità della santissima Trinità
Cattedrale di Reggio Emilia
Carissimi fratelli e sorelle,
con profonda commozione vi rivolgo il mio saluto quest’oggi. Sono grato al Signore che mi concede di partecipare a questa celebrazione assieme a tutti voi, in particolare alle persone affette da disabilità, da malattie, da difficoltà legate all’anzianità. Un caro saluto anche a tutti coloro che si prodigano con vera gratuità per aiutare e servire i bisogni di chi è più solo e sofferente. Grazie per quello che compite nel silenzio, discretamente, quasi di nascosto, eppure con dedizione e instancabile cura.
Stiamo celebrando la festa della santissima Trinità. Cosa suggerisce questa festa al radunarci di oggi? Ci dice che Dio è relazione, dialogo d’amore tra Padre e Figlio nello Spirito. Un dialogo che non è rimasto chiuso in se stesso, ma che si è aperto in nuovi amor, come ha scritto Dante in una sintesi che reputo inarrivabile (Dante, Divina Commedia, Paradiso XXIX, 18). L’amore eterno si è aperto, ha creato l’universo e l’uomo. Ma non si è limitato a questo. Come abbiamo appena sentito nel vangelo: Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna (Gv 3,16). Nel misterioso amore verso la sua creatura, Dio ha deciso di farsi lui stesso uomo, di partecipare totalmente alla condizione umana eccetto che nel peccato (cfr. Eb 4,15). Egli ha vissuto la sofferenza, il dolore fisico e spirituale, la solitudine di tutti gli uomini. Attraverso l’incarnazione del Verbo, l’esperienza dell’uomo, di ogni uomo, è entrata nella Trinità, nel cuore di Dio, è giunta al cospetto del Padre. Dio ha conosciuto e conosce la condizione di prova che possiamo trovarci a vivere, la comprende nel profondo, ne è scosso, ha compassione per il nostro dolore. Come aveva genialmente intuito san Bernardo: Dio non è incompassibile (san Bernardo di Chiaravalle, In Cantica Canticorum, 26,5). Ecco dunque il forte legame tra la festa della santissima Trinità e la giornata diocesana del malato: tutto ciò che riguarda la nostra vita è raccolto nell’otre di Dio (cfr. Sal 56,8) – Tu vedi l’affanno e il dolore, tutto tu guardi e prendi nelle tue mani (Sal 9-10,35) -, egli conosce i nostri pesi e li porta con noi davanti al Padre trasfigurandoli con la forza dello Spirito.
Un secondo spunto di riflessione. Oggi sono ospitate qui in cattedrale le stampelle del beato Luigi Novarese, precursore in Italia della Pastorale dei malati e fondatore del Centro Volontari della Sofferenza. Il beato si è speso perchè gli ammalati si sentissero non solo il termine dell’apostolato, ma, prima di tutto, gli autori. Laddove ci sia la possibilità e la forza, è bene che chi ha sopportato o sopporta malattie possa andare verso chi si sente oppresso da gravi sofferenze e solitudini. La vostra esperienza vi può permettere di essere un raggio di luce, il calore di una presenza cara e discreta, che non pretende di risolvere il dramma dell’altro, ma che semplicemente offre una compagnia fraterna verso una speranza nuova. Ritroviamo le parole di san Paolo che abbiamo appena ascoltato: fatevi coraggio a vicenda, abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi (2Cor 13,11).
Tuttavia il malato può essere parte attiva dell’apostolato in un modo ancora più profondo. Le situazioni di difficoltà che viviamo ci mettono a contatto con la croce di Cristo, ci avvicinano alla sua vita, ci rendono più simili a lui (cfr. 1Gv 3,2). La fede perciò ci permette di accedere all’esperienza della fecondità del dolore, della malattia, della sofferenza. Questa ricchezza deve essere partecipata a tutto il corpo di Cristo. Con le vostre vite potete realmente contribuire alla costruzione della Chiesa, alla sua conversione, alla maturazione del corpo di Cristo. Anche nelle condizioni più disperate, anche se bloccati a letto o immobilizzati, potete collaborare alla gloria del Regno di Dio su questa terra. Dio affida a tutti voi un compito, desidera che gli offriate le vostre vite assieme a quella di suo Figlio, per partecipare al Suo mistero di redenzione degli uomini e del mondo. Scopriamo così il punto di massima attività dell’apostolato: stare ai piedi della croce, assieme alla Madonna, con lo sguardo teso verso Cristo, lasciandoci commuovere e coinvolgere dal suo sacrificio per noi, attraverso cui tutto il mondo trova salvezza e compimento.
Scrive papa Giovanni Paolo II: «Occorre che sotto la Croce del Calvario idealmente convengano tutti i sofferenti che credono in Cristo e, particolarmente, coloro che soffrono a causa della loro fede in lui Crocifisso e Risorto, affinché l’offerta delle loro sofferenze affretti il compimento della preghiera dello stesso Salvatore per l’unità di tutti (cfr. Gv 17,11.21-22). Là pure convengano gli uomini di buona volontà, perché sulla Croce sta il “Redentore dell’uomo”, l’Uomo dei dolori, che in sé ha assunto le sofferenze fisiche e morali degli uomini di tutti i tempi, affinché nell’amore possano trovare il senso salvifico del loro dolore e risposte valide a tutti i loro interrogativi. […] E chiediamo a tutti voi, che soffrite, di sostenerci. Proprio a voi, che siete deboli, chiediamo che diventiate una sorgente di forza per la Chiesa e per l’umanità. Nel terribile combattimento tra le forze del bene e del male, di cui ci offre spettacolo il nostro mondo contemporaneo, vinca la vostra sofferenza in unione con la Croce di Cristo!» (Giovanni Paolo II, Salvifici Doloris, 31).
Così sia!
+ Massimo Camisassca