Omelia per la messa della solennità di Ognissanti
Reggio Emilia, cappella del cimitero monumentale
Cari fratelli e sorelle,
quest’oggi siamo riuniti per celebrare la festa di Tutti i santi. Cosa intendiamo quando ci riferiamo a tutti i santi? Sappiamo che la Chiesa, con l’autorità che le è stata conferita, nel tempo ha sempre individuato e indicato delle persone in cui splendeva in modo esemplare la grazia di Dio. Sono persone che si sono lasciate attraversare dal vento dello Spirito. La loro esistenza è stata pertanto trasfigurata e così hanno tracciato un solco profondo nelle storie di tanti uomini e del mondo. Questi uomini hanno anticipato quell’assimilazione a Dio di cui parla la lettera di Giovanni che abbiamo appena ascoltato (cfr. 1Gv 3,2) e hanno pertanto partecipato degli stessi sentimenti di Dio, della sua preoccupazione, della sua missione: la salvezza delle anime. Essi sono stati essenzialmente e semplicemente figli secondo la promessa: quando egli sarà manifestato, noi saremo simili a lui (1Gv 3,2).
Accanto a questi fari che guidano e rischiarano la vita della Chiesa attraverso lo scorrere dei secoli, c’è una moltitudine immensa (Ap 7,9) di uomini che sono stati raggiunti da Cristo. Attraverso il battesimo, essi sono stati incorporati in lui e così sono diventati figli. Nel loro spirito rifluisce pertanto la fonte di acqua viva di Cristo, la sua santità. In tutti i battezzati è posto un seme che ha bisogno di essere coltivato. Nel tempo, questo piccolo germoglio, crescendo, trasforma il nostro volto di figli in quello di Cristo, ci avvicina a quell’immagine definitiva che ancora non è stata rivelata, ma che già ci è donata come caparra di santità: Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. (1Gv 3,2). Oggi pertanto è posta alla nostra attenzione la chiamata alla santità non solo di chi ha già realizzato la propria vocazione, ma la responsabilità di ognuno di noi a corrispondere all’appello e alla missione che Dio ci affida.
Cari fratelli e sorelle, parlare di santità significa toccare tutte le dimensioni del tempo: il passato, il presente e il futuro. Il passato, perché la nostra memoria, la nostra tradizione e la nostra storia sono sostenute dalla vita dei grandi che ci hanno preceduto. Pensiamo solamente all’importanza di sant’Agostino, di san Benedetto, san Francesco, santa Caterina da Siena e san Giovanni Paolo II. La nostra esistenza è sorretta anche dal flusso dei tanti “sì” detti a Dio da persone che non conosciamo o che hanno cercato di compiere azioni meritevoli per il genere umano. La santità tocca il presente, perché Dio ci ha chiamato con una vocazione santa (2Tim 1,9). Siamo pietre vive per la costruzione della Gerusalemme celeste. Nonostante la nostra recalcitrante meschinità ci spinga verso la dispersione, Dio ha pronunciato il nostro nome perché splendessimo davanti al suo volto. Ha impresso il suo sigillo sulla nostra fronte (Ap 7,3) e ha aperto la strada perché la nostra santità si possa realizzare, qualsiasi sia il sentimento soggettivo della nostra incapacità e indegnità. Il futuro, perché un coro festante ci attende e intercede perché non abbiamo mai a perdere la speranza alla quale [Dio] ci ha chiamati, il tesoro glorioso della nostra eredità tra i santi (Ef 1,17-18).
Dunque passato, presente e futuro si incontrano di fronte alla santità. Questo non deve stupirci. La santità infatti è propriamente la vita di Dio. E Dio è eternità, cioè il possesso intero e al contempo perfetto di una vita senza fine. (Aeternitas igitur est interminabilis vitae tota simul et perfecta possessio. Boezio, De consolatione philosophiae, V 6 9-11). Passato, presente e futuro si uniscono perché in fondo, da quando Cristo ha lasciato il seno divino del Padre e si è fatto carne nel ventre di una donna, non c’è più separazione tra cielo e terra, tra vita e morte, tra Dio e uomo. Esiste un continuo scambio di doni, uno sconfinare di un mondo in un altro, un fluire di beni divini e umani, quella che la Chiesa chiama comunione dei santi.
In questa prospettiva, comprendiamo anche l’accostamento tra la festa di oggi e la commemorazione dei defunti che sarà celebrata domani. Se c’è più divisione tra Dio e uomo, significa che la vita è stata unificata. C’è un’unica esistenza che deve passare attraverso la trasformazione della morte. Ma i cancelli della morte sono stati aperti e la luce è entrata dove prima era solo buio. Ora tutto è illuminato dalla potenza redentrice di Cristo, tutto ciò che è avvolto nella morte e nella caducità partecipa già della resurrezione del Figlio di Dio (cfr. 1Cor 7,29). Tutto pertanto è già trasfigurato in modo germinale, la vita incombe sulla morte, i santi della coorte celeste tendono la mano a quelli terreni, il nostro corpo viene assorbito dal Corpo di Cristo nell’Eucarestia. Già ora, ci è dato il Regno di Cristo: Beati i poveri in spirito perché di essi è il regno dei cieli (Mt 5,12).
Tendiamo dunque alla santità che ci è stata promessa. Convertiamo il nostro cuore alle cose di lassù (Col 3,1), le uniche che rendono vera la vita ora. I santi non mancheranno di aiutarci nel nostro cammino.
Così sia!
+ Massimo Camisasca