Omelia nella messa in occasione della prima Giornata mondiale dei poveri e del conferimento del ministero del lettorato a Tommaso Catellani, Paolo Lusvardi, Bernardo Marconi, Matteo Tolomelli, Alessandro Zaniboni
Cattedrale di Reggio Emilia
Carissimi fratelli e sorelle,
oggi siamo qui riuniti per celebrare la prima Giornata mondiale dei poveri. Papa Francesco ha desiderato fortemente questo momento che ha indetto alla conclusione del Giubileo straordinario della misericordia. Nel proclamare questa giornata, ci ha consegnato delle parole molto significative e illuminanti, che invito tutti ad andare a riprendere personalmente. Questa lettura può rendere la nostra carità più consapevole e limpida, soprattutto ora che si avvicina il Natale e giustamente sentiamo il desiderio di potere condividere con tutti i doni della nostra vita. Il Papa ci ha indicato come la condivisione con i poveri sia l’occasione per scoprire ciò che ognuno di noi cerca: toccare «con mano la carne di Cristo» (Papa Francesco, Messaggio per la prima Giornata mondiale dei poveri, 13 giugno 2017). Accogliamo il suo invito! Non perdiamo l’occasione di incontrare Cristo che ci viene incontro e ci tende la mano!
Prima di commentare assieme a voi le letture di oggi, mi preme sottolineare un passaggio del messaggio del Papa. Il Pontefice infatti afferma con chiarezza che il nostro farci vicini ai bisognosi ha una sorgente più profonda di un semplice impeto filantropico. Condividere la vita con i poveri è la risposta all’amore traboccante con cui Dio ha riempito le nostre esistenze prima di ogni nostro merito o volontà (cfr. 1Gv 4,10). La misericordia che ha rivestito le nostre povere persone di una nuova luce nell’acqua del battesimo ci rende desiderosi, quasi bisognosi, di donare a tutti ciò che ci ha arricchito. Scrive il Papa: «la misericordia che sgorga, per così dire, dal cuore della Trinità può arrivare a mettere in movimento la nostra vita e generare compassione e opere di misericordia per i fratelli e le sorelle che si trovano in necessità» (Papa Francesco, Messaggio per la prima Giornata mondiale dei poveri, 13 giugno 2017).
Veniamo ora al vangelo che abbiamo appena ascoltato. Prima di partire per un viaggio, un padrone consegna ai suoi servi dei talenti perché li facciano fruttare. Dopo molto tempo, il padrone ritorna e chiede loro cosa abbiano fatti dei beni che gli ha affidato. Dio dunque dona a ciascuno talenti diversi, secondo le proprie capacità (cfr. Mt 25,15). I doni ricevuti non devono essere sotterrati. C’è un tempo, ed è questo, in cui è necessario spenderli. Spendere significa condividere, mettere a servizio, lasciare fruttificare. Chi non accetta di mettere in gioco ciò che ha ricevuto in dono si condanna all’infelicità: Il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre: là sarà pianto e stridore di denti (Mt 25,30). Solamente chi ha impegnato i talenti ricevuti ha accesso alla gioia del padrone: Prendi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,21), si sente dire il servo saggio.
Cosa indicano i talenti? Innanzitutto raffigurano una quantità di denaro, richiamano i beni materiali. Ma non tutto si esaurisce qui. Il talento rappresenta le nostre doti personali, le nostre capacità, la nostra vita, il dono della vita che non finisce: il battesimo. Siamo dunque chiamati a donare non solo i nostri averi, ma la nostra stessa vita. Aprendoci alle esigenze degli altri, facendoci prossimi dei più bisognosi, condividendo i loro drammi, saremo introdotti nella gioia del Padre: Bene servo buono e fedele… predi parte alla gioia del tuo padrone (Mt 25,21).
Cari fratelli e sorelle, la povertà, l’aiuto dei poveri, l’incontro con loro riguarda la nostra gioia o la nostra infelicità. Evidentemente, l’evangelista vuole fare riferimento alla dimensione escatologica. Ma tutto ciò che è vero nel futuro, getta la sua luce sul presente e dona già ora la possibilità di accedere a un’esperienza vera, seppure iniziale. Aprire il proprio cuore alla presenza degli altri, e soprattutto dei poveri, è l’inizio di quella consegna che ci sarà chiesta alla fine della vita, l’inizio di quella imitazione di Cristo che sarà compiuta solo dopo il tempo: saremo simili a lui (1Gv 3,2).
Dalla povertà e dal nostro amore ai poveri dipende dunque la nostra gioia. Perché allora è tanto difficile donare, condividere, fare proprie le esigenze dell’altro? Perché ci prende la paura di nascondere i nostri doni, di nasconderli dentro una buca perché nessuno ce li rubi (cfr. Mt 25,18)? Prima del peccato, Adamo condivideva la gioia di Dio. L’uomo godeva della comunione divina e passeggiava con il Signore nel giardino dell’Eden alla brezza della sera. Con il peccato, Adamo ed Eva vengono allontanati dal Paradiso terrestre. I beni diventano idoli o strumenti di potere, oggetti da custodire ossessivamente e gelosamente. Comprendiamo allora che i bisognosi sono per noi una grande occasione: il loro grido di aiuto ci invita a distaccarci da ciò che ci appesantisce, ci richiama a un rapporto con la ricchezza, i beni e i doni, più simile a quello originario, ci spinge a liberarci dal peccato che ha lasciato la sua traccia in noi, rendendoci deboli e avari, anticipando così l’instaurazione del regno definitivo: «[Ha un] tesoro nel cielo, colui che ciba Cristo nel povero. [Dio] ha voluto che tu sia nell’abbondanza affinchè per te l’altro non sia nel bisogno, e per il servizio della tua buona opera tu liberi il povero dalla necessità e te stesso dalla moltitudine dei tuoi peccati» (Leone Magno, Sermoni, 6).
Tutto ciò che ci è stato donato, deve essere riconsegnato nelle mani di Dio. In questa consegna ci sembra di perdere tutto, invece guadagniamo ciò che diversamente non potremmo mai ottenere: la libertà, la letizia, la pace ritrovata del figlio che ritorna nell’abbraccio del Padre.
Oggi celebriamo anche la festa della dedicazione di questa Cattedrale. Questo luogo sacro è un dono che ci è stato consegnato dal lavoro, dai sacrifici e dalla fede dei nostri padri. «Da quando molti secoli fa il Vangelo è stato proclamato per la prima volta nelle nostre terre non è mai venuto meno il dono inestimabile della Parola di Dio e l’Eucarestia ha santificato generazioni di cristiani rendendoli idonei a trasformare la loro vita in sacrificio vivo, santo e gradito a Dio» (Documento sinodale della Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla, 12 aprile 1987, 11-12). Ringraziamo pertanto Dio per la disponibilità di questi cinque ragazzi che oggi ricevono il ministero del lettorato, tappa fondamentale e decisiva del loro cammino verso il presbiterato. La loro vocazione è il frutto della chiamata di Dio, del “sì” pronunciato personalmente da ciascuno e della fede del popolo che li ha generati, sostenuti e alimentati. Popolo che tra queste mura ha trovato nei secoli una casa in cui Dio è presente e vivo.
Così sia.