Omelia nella messa di Ordinazione diaconale di Alberto Debbi, Marco Lucenti, Prince Osei Ampong, Emanuele Sica
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
eccoci alla festa dell’Ascensione del Signore. Una festa fondamentale nell’anno liturgico che ci aiuta a comprendere la nostra vita presente e quella futura. (L’Ascensione è strettamente congiunta alla Pasqua e alla Pentecoste, che formano con essa un trittico indivisibile).
Possiamo dire con verità che, nell’istante stesso della sua resurrezione, Gesù è asceso al Padre, cioè si è ricongiunto con lui, ma non come era partito. Ha portato definitivamente nella vita divina la sua umanità, cioè la vita di noi uomini. Per questo san Paolo scrive che la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio (cfr. Col 3,3) e che noi già sediamo con lui accanto al Padre (cfr. Ef 1, 20).
Nello stesso tempo, non è ancora del tutto svelato ciò che noi siamo (cfr. 1Gv 3,2). Siamo già nell’eterno, eppure siamo ancora nel tempo. Abbiamo già vinto con Gesù, eppure dobbiamo ancora combattere. Siamo già santi per il dono del battesimo che ci fa partecipi della sua morte e resurrezione, eppure siamo ancora peccatori e possiamo ancora lasciarci trascinare negli abissi del male per opera del demonio. Il nostro è il tempo della Chiesa. Il tempo in cui ciò che è iniziato con la resurrezione deve raggiungere gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Questo, come vedremo tra poco, è proprio l’invito di Gesù prima della sua ascensione.
Gesù, pur asceso al Padre, è rimasto con noi ancora quaranta giorni sulla terra. Egli è apparso a Pietro, agli apostoli, a Maria Maddalena, certamente a sua madre e, secondo la testimonianza di san Paolo, a circa 500 discepoli (cfr. 1Cor 15, 6). Perché questo tempo di quaranta giorni dopo la Pasqua che proprio oggi si conclude? Perché Gesù non è apparso a tutti gli uomini della terra? Perché egli ha scelto di comunicarsi agli uomini attraverso altri uomini, attraverso quelli che erano stati con lui, che avevano bevuto e mangiato con lui (cfr. At 10, 41). Ha voluto intorno a sé persone che lo hanno visto, lo hanno ascoltato, lo hanno contemplato, lo hanno toccato (cfr. 1Gv 1,1). Il fondamento della nostra fede è in questa esperienza diretta del Salvatore. Noi siamo i beati di cui parla Gesù dopo l’apparizione a Tommaso (Gv 20,29), che crediamo non per avere visto direttamente Gesù, ma per avere creduto ai suoi testimoni. Lo abbiamo visto in un modo nuovo, nel suo corpo che è la Chiesa.
Terminato questo periodo di quaranta giorni, Gesù decide di scomparire definitivamente. Ritiene di avere sufficientemente fondato la sua Chiesa, che, del resto, riceverà dopo dieci giorni, nella festa di Pentecoste, il suo sigillo definitivo.
Cari fratelli e sorelle, oggi, durante questa liturgia dell’Ascensione, conferirò l’ordine del diaconato a tre giovani, in vista della loro ordinazione presbiterale per la Diocesi di Reggio Emilia – Guastalla e, a uno, per l’Arcidiocesi di Kumasi, Ghana. La festa di oggi è molto appropriata e costituisce una cornice di grande fascino per queste ordinazioni. I diaconi e i presbiteri sono i primi attori dell’invito di Gesù che abbiamo ascoltato nel vangelo da poco proclamato: A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate (Mt 28,19-20). Il potere che è dato a questi giovani uomini non viene dalla terra, ma dal cielo. Viene direttamente dal Padre, che lo ha affidato a Gesù e, da questi, ai suoi apostoli. Il loro sarà una partecipazione al ministero degli apostoli, cioè del vescovo. Non dobbiamo mai dimenticare che il sacramento dell’Ordine viene da Dio. Non può essere trattato alla stregua di un compito qualsiasi scelto dagli uomini. È una responsabilità che la persona si assume davanti a Dio e a Lui deve rispondere.
Il Signore vi manda, cari fratelli, a tutti i popoli. Fate miei discepoli tutti i popoli e battezzateli (cfr. Mt 28,19)Non ci sono persone destinate al battesimo e altre no. Ogni uomo è chiamato a trovare la pienezza della sua vita nell’incorporazione a Cristo. Anche se, da parte di Cristo, sono infinite le strade attraverso cui raggiunge gli uomini con il suo Spirito, da parte nostra, non possiamo che entrare in questo invito di Gesù. Certo, battezzare non significa, come forse si pensava un tempo, fare scendere dell’acqua sopra la testa di migliaia di persone. Occorre che le persone siano preparate. Occorre risvegliare in loro l’attesa di Cristo, farlo conoscere. Ma, nello stesso tempo, non possiamo arrestare la nostra carità di fronte alle obiezioni del mondo. Non c’è salvezza se non in Gesù.
Il vangelo di questa sera ci dice che non solo dovete battezzare, ma dovete anche insegnare a osservare ciò che Gesù ha comandato (cfr. Mt 28, 20). L’annuncio e la catechesi sono parte essenziale della vostra vita. Dovete prepararvi nella preghiera, nello studio, nella meditazione, nelle ore passate ad ascoltare e a parlare, e anche in quella forma decisiva di parola che è la testimonianza attraverso le opere.
Ogni volta che mi capita di ordinare un diacono o un presbitero, penso sempre alla necessità di rinascita della Chiesa nei cuori degli uomini. La mia mente si accende di speranza. Anche a voi, cari Alberto, Marco, Prince ed Emanuele, guardo con molta speranza. La nostra Chiesa ha bisogno di sacerdoti che trovino nella vita comune, nel silenzio, nella donazione gioiosa di sé e nello studio, la forma del loro amore a Cristo e della loro pienezza umana e divina.
La lettera agli Efesini che questa sera abbiamo ascoltato ci presenta in due versetti, per altro abbastanza difficili da comprendere, tutta la storia del mondo (cfr. Ef 1, 22-23). San Paolo dice che Dio, il Padre della gloria, ha posto tutto ai piedi di Gesù. È un modo simbolico per farci comprendere che Cristo è il centro di tutta la creazione, che nulla può trovare il suo significato senza di lui. Non solo, ma tutta la creazione è attratta da lui e cerca affannosamente in lui il proprio compimento. Nel cuore di questo processo c’è la Chiesa, corpo di cui Cristo è il capo. Essa è il centro di questo processo di ritorno di ogni cosa a lui. È il Regno nel mistero (cfr. Lumen Gentium 3), è la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose. Cosa vuol dirci san Paolo con questa espressione così difficile? Innanzitutto che la Chiesa è il Cristo totale. Ma nello stesso tempo, che Cristo sta ancora compiendosi, sta ancora raggiungendo tutte le cose per avere perfetto compimento. In questo cammino tra la Chiesa e l’universo, si colloca la vostra vita, la vostra vocazione, l’ordinazione diaconale che ora riceverete.
Rendiamo grazie a Dio di questo dono e chiediamo a lui che egli vi dia sempre uno spirito di sapienza e di rivelazione, per potere comprendere a quale grande speranza vi ha chiamati.
Così sia!
+ Massimo Camisasca