Omelia nella II domenica di Avvento in occasione dei 50 anni dall’inizio della missione diocesana in Madagascar e del V anniversario della consacrazione episcopale del vescovo
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
entriamo oggi nella seconda settimana di Avvento. Abbiamo da poco celebrato la solennità dell’Immacolata concezione. Ieri ricorreva la memoria di san Juan Diego, un giovane indio a cui è apparsa la Madonna a Guadalupe, cambiando per sempre la storia del Messico e dell’America Latina. Oggi si festeggia una Madonna cara a tutto il popolo italiano: la Beata Vergine di Loreto. I nostri occhi hanno pertanto contemplato lei, la Vergine, la protagonista discreta di questo tempo di attesa. Abbiamo meditato la sua paziente trepidazione per il momento in cui l’Atteso dai secoli avrebbe mostrato il suo volto di bambino. In queste riflessioni ci siamo riempiti di luce e di calore.
Quest’oggi la liturgia ci indica un’altra grande figura. Una persona che incarna l’attesa, il tempo della preparazione, l’urgenza della conversione: la nostra attenzione è rivolta a Giovanni il Battista. Giovanni occupa lo spazio centrale dell’Avvento. Lo ritroveremo infatti anche domenica prossima. È bene dunque soffermarci sulla sua vita, su ciò che di lui troviamo nelle Scritture per lasciarci condurre ancora una volta lì, sulle rive del Giordano, a riconoscere l’Agnello che egli per primo ha indicato. L’Avvento infatti è un uscire fuori di sé per cogliere in ogni evento della nostra esistenza il Signore che viene. Egli attraversa sempre le nostre giornate, ma spesso non ce ne accorgiamo perché il nostro cuore non è vigile. E così la novità divina di cui abbiamo tanta fame non ci raggiunge. Ha detto papa Francesco domenica scorsa all’Angelus: «In questo tempo di Avvento, siamo chiamati ad allargare l’orizzonte del nostro cuore, a farci sorprendere dalla vita che si presenta ogni giorno con le sue novità» (Papa Francesco, Angelus, 3 dicembre 2017).
Chi è dunque il Battista? Giovanni, innanzitutto, è la consolazione di Israele: Consolate, consolate il mio popolo… Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta (Is 40,1-2). Non possiamo comprendere il Precursore se non ripercorriamo l’attesa di Israele, se non ci immedesimiamo nello sconforto di un popolo abbandonato, disperso come un gregge senza pastore, che attende il ritorno del suo Signore come riscatto delle proprie sofferenze (cfr. Is 40,10-11). Giovanni compare sulla scena del mondo come un prodigio, come un miracolo suscitato dall’intervento divino: Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni… Egli sarà grande davanti al Signore (Lc 1,13-15). Nato da Elisabetta, sterile e avanti degli anni (cfr. Lc 1,7), consacrato sin dal seno di sua madre (cfr. Lc 1,15), la sua esistenza è totalmente dominata dalla missione per cui è venuto al mondo: preparate la via del Signore (Mc 1,3). Giovanni è l’amico che ci annuncia che lo Sposo è pronto, che dobbiamo accendere le nostre lampade e corrergli incontro. Egli è voce, grido, sentinella.
Il messaggio del Battista ci infonde consolazione perché il Signore viene. La Misericordia divina ha deciso di sancire un’alleanza definitiva con l’uomo. È una decisione irrevocabile e nulla si può opporre ad essa. Il compimento della nostra gioia è certo. Vorrei ora soffermarmi su una seconda espressione: nel deserto. Giovanni è l’uomo del deserto, l’asceta che vive in solitudine, vestito dell’indispensabile per ripararsi dalle intemperie, che pratica un digiuno di cavallette e miele (cfr. Mc 1,6). Quale significato nasconde il suo essersi ritirato dal mondo? Non posso certo rispondere a questa domanda in modo dettagliato. Una cosa almeno voglio dire: Giovanni è l’uomo del deserto perché è l’uomo della preparazione. Egli si distacca da tutto perché la sua unica gioia è rispondere alla missione che il Signore gli ha affidato: preparare i cuori. Fugge dalle comodità e dagli agi del mondo perché sa che l’Unico in grado di soddisfare la fame dell’uomo è Cristo. Va dove tutto tace perché possa emergere quella voce che lo ha chiamato e che è la sua stessa identità: Io sono voce di uno grida nel deserto (Gv 1,23). È sospinto dallo Spirito nel deserto perché si riaccenda l’amore, perciò l’attesa (cfr. Os 2,16-22). Va dove può sperimentare nella sua esistenza ciò che dovrà annunciare alle esistenze degli altri.
Cari fratelli e sorelle, un grande suggerimento ci viene da Giovanni Battista. In questo Avvento prepariamo i nostri cuori alla gioia! Prepariamoci alla venuta di Cristo nel deserto, nel silenzio, nella preghiera! Chiediamo l’intercessione di san Giovanni. Come ha preparato il popolo di Israele, così converta le nostre esistenze, perché possiamo essere pronti per il giorno in cui saremo visitati (Lc 19,44).
Offro questa messa in ringraziamento dei 50 anni di missione in Madagascar. Dio continui a mettere la sua mano su quel popolo così ferito e povero e ci conforti con i suoi frutti. Desidero inoltre offrire a Dio la mia riconoscenza per il dono di questi cinque anni di episcopato, che hanno riempito la mia vita di tante responsabilità, ma soprattutto di grandi consolazioni.
Così sia!
+ Massimo Camisasca