Omelia per le Ordinazioni diaconali e presbiterali della Fraternità San Carlo
Roma – Basilica papale di san Giovanni in Laterano
Cari fratelli e sorelle,
ringrazio innanzitutto il Signore che mi concede di essere con voi ancora una volta e per un’occasione così straordinaria e bella come è l’ordinazione presbiterale di dieci membri della Fraternità e quella diaconale di altri due.
Un numero così rilevante di ordinazioni non può che aprire il nostro cuore alla gioia. Nello stesso tempo fa risaltare sempre più la responsabilità della Fraternità San Carlo verso la missione che Dio gli chiede di vivere nella Chiesa. Missione che nasce dal carisma di don Giussani e che si è realizzata in questi 30 anni nella creazione di tante case nel mondo formate da sacerdoti chiamati a portare, con il proprio accento, l’annuncio della presenza operante di Gesù nella sua Chiesa.
La vita comune è stata, durante questi anni, uno dei cammini fondamentali della formazione dei seminaristi e dei sacerdoti. Vi invito perciò ad approfondire sempre di più con la vostra vita la scoperta dei doni che la vita comune fa alla Chiesa e ad ogni sua comunità, a vivere con letizia la bellezza dell’essere assieme fratelli, non per un gusto di comodità o di pura soddisfazione spirituale. Siate il segno che la comunione portata da Gesù è iniziata già sulla terra e si dilata nel mondo chiamando ogni uomo a prendervi parte.
La radicalità nella sequela di Gesù
Il Vangelo di questa domenica attira tutta la nostra attenzione e non ci permette quasi di parlare d’altro. Dobbiamo ascoltarlo in tutta la sua radicalità anche là dove esso sembra sconcertante e addirittura contradditorio con altre pagine della Sacra Scrittura. Non ci è forse stato detto: onora il padre e la madre (cfr. Dt 5,16)? Cosa vuol dire allora Gesù a quel tale che gli chiede di poter seppellire suo padre: lascia che i morti seppelliscano i loro morti (Lc 9,60)?
In questa pagina del Vangelo Gesù si rivela a noi in tutta la completezza della sua personalità e ci chiede di imitarlo, di partecipare per grazia ai suoi pensieri e ai suoi sentimenti.
Egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme (Lc 9,51), cioè verso la sua passione e la sua resurrezione, quando sarebbe stato elevato in alto (ibidem). Gesù è irresistibilmente attratto dal compiere la volontà del Padre suo. Vede in essa il sacrificio che gli è chiesto, ma anche la sua luminosità e bellezza.
Anche noi cari fratelli dobbiamo ogni giorno ritornare a questo punto che illumina la nostra vita: ciò che il Padre vi ha chiesto, ciò che voi avete accolto in una lunga preparazione, ciò che avete intravisto come bello e positivo per la vostra vita e per la vita del mondo, tutto questo sia d’ora in poi il contenuto del vostro desiderio. Dobbiamo chiederlo al Signore ogni giorno affinché egli, non solo ci permetta di vedere ciò che è bene, ma anche di attuarlo.
Gesù non è un maestro severo, che chiede ai suoi discepoli cose superiori alle loro forze. Vuole essere un maestro sincero, aperto, che ci rivela con chiarezza le esigenze della sua sequela perché noi si possa essere felici. Proprio la prima parte del Vangelo, quando egli rimprovera a Giovanni e a Giacomo la loro radicalità insensata (cfr. Lc 9,54), ci mostra il profondo rispetto di Gesù per la vocazione di ciascuno. Non dobbiamo incolpare né, tantomeno, “bruciare” gli altri. Non è questa l’intransigenza che vuole Gesù. Dobbiamo invece vivere la ricerca del Signore e la sequela di Lui secondo quella totalità che Dio esige per sé. Solo così potremo scoprire tutti i tesori che Dio ha in serbo per noi.
La comunione, cuore della missione
Nel brano di san Luca che abbiamo ascoltato emergono con chiarezza le esigenze che contraddistinguono l’esistenza di chi vuole seguire il Signore. Il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo (Lc 9,58): con questa espressione Gesù non voleva negare di avere delle case dove riposare, di avere degli amici, quasi volesse dipingere se stesso come un uomo bruciato dall’attività. Dai Vangeli conosciamo che Egli strappava di giorno e di notte un po’ di tempo, ma anche notti intere, per stare con il Padre, per ascoltarlo e trovare nella profondità di quel rapporto la fonte della sua donazione quotidiana. Dal vangelo conosciamo anche l’esistenza di diverse case – a Nazareth, a Cafarnao, a Betania… – che Gesù ha eletto per il suo riposo, per stare con i suoi amici, per dare un centro alla sua predicazione, ma soprattutto per ricreare con i suoi l’intimità e il calore di quella comunione che egli viveva con il Padre nel seno della Trinità.
Così deve essere anche per voi cari fratelli. Dio vi ha cercati per primo e in lui troverete tutto. Se nella vostra giornata non ci sarà uno spazio adeguato di preghiera e silenzio sarete come il sale che perde il suo sapore (cfr. Mt 5,13; Lc 14,34). Se nella vostra vita e nelle vostre case non si riaccenderà continuamente il fuoco della comunione, il desiderio e il gusto di essa, la bellezza del prendersi cura gli uni degli altri, prima o poi finirete per smarrire il senso profondo della vostra vocazione.
La nostra vocazione, come ebbe a dire don Giussani, è «costruire Gerusalemme» (L. Giussani, La familiarità con Cristo. Meditazioni sull’anno liturgico, San Paolo, Cinisello Balsamo 2008, 21), edificare la Chiesa. Ma questo è possibile solo partecipando «all’edificazione della casa, assieme agli altri fratelli che Dio ha chiamato in essa, accettando il lavoro di conversione personale e di comunione fraterna che la casa richiede per essere edificata. Noi camminiamo, noi corriamo, se ci convertiamo; ma ci convertiamo solo se non fuggiamo dall’appartenenza ad una casa, ad una comunità, ad una forma di vita che giorno dopo giorno, con l’aiuto della grazia di Dio, ci dona e domanda la conversione del cuore e della vita» (cfr. M. G. Lepori, Seguire Cristo, Cantagalli, Siena 2015, 34.33).
Povertà, verginità, obbedienza
Ma nel vangelo che è stato proclamato troviamo ancora dell’altro. Nelle espressioni di Gesù c’è anche un invito molto forte alla povertà, a possedere soltanto ciò che è necessario. A non “infastidire” le nostre case e le nostre esistenze con beni che ci vengono suggeriti da una visione sbagliata delle nostre necessità. Concentriamoci su ciò che è veramente necessario. Anche nell’uso del tempo: non disperdiamoci in mille cose, in mille tecnologie, dietro mille sollecitazioni. Seguendo l’invito di san Paolo nella Lettera ai Galati, viviamo una educazione continua della nostra libertà, senza lasciarci imporre di nuovo il giogo della schiavitù (Gal 5,1).
L’espressione di Gesù – lascia che i morti seppelliscano i loro morti – si può spiegare in molti modi. Alcuni la intendono come un invito a non essere preoccupati delle divisioni dell’eredità. Ad ogni modo essa si accorda molto bene con quella gerarchia degli affetti che Gesù ha stabilito parecchie volte nel suo insegnamento. Nelle sue profondità questa espressione è un invito alla verginità: andare con Gesù significa amarlo con cuore indiviso, entrare in un ordine nuovo dell’amore in cui le cose e le persone iniziano a essere guardate e amate attraverso i suoi occhi che riaccendono nel mondo lo sguardo originario del Padre.
Entrare nello sguardo di Gesù, nulla anteporre all’amore per Lui, è un cammino lungo e non sempre facile, ma anche entusiasmante e luminoso. Non si tratta naturalmente di amare meno gli amici e i parenti, ma di lasciare che sia Gesù e la missione che egli ci affida a scrivere le modalità con cui esprimere il nostro affetto verso di loro e verso tutte le persone che incontriamo.
Infine un terzo invito di Gesù, un invito che capirete di più, forse, andando avanti negli anni: l’invito a non guardare indietro, ma sempre in avanti. Un invito a non lasciarvi chiudere dalle paure, dalle difficoltà che avete attraversato, dalle ingiustizie che avete visto, da ciò che non avete ancora capito. Dalla difficoltà del perdono. Guardare avanti vuol dire fissare la persona di Gesù che ci precede, che ci indica la strada, che ci dà la forza di percorrerla, che ci attende. Tutto questo non è possibile senza affidarsi ai padri attraverso cui il Signore si prende cura della vostra vita. Nelle parole di Gesù possiamo dunque scorgere un invito, oltre che alla povertà e alla verginità, anche all’obbedienza. Un invito ad affidarvi con gioia ai fratelli che vivono con voi e ai vostri superiori. L’obbedienza è la forma suprema dell’imitazione di Cristo, che fu obbediente al Padre. La vera obbedienza, la letizia dell’obbedienza, nasce dalla certezza che il bene della nostra vita non è nelle nostre mani, non possiamo definirlo noi. Nasce dalla precedenza data a ciò che Dio opera nella nostra vita. Per questo la virtù dell’obbedienza è anche la condizione della vera amicizia. Anzi don Giussani arriva ad affermare che «un’amicizia che non sia obbedienza è una cosa sentimentale, senza frutto né storia, senza scopo e senza durata, senza volto. […] La parola obbedienza non è nient’altro che la virtù dell’amicizia» (L. Giussani, Si può vivere così?, Rizzoli, Milano 1994, 127-128).
Cari fratelli abbiamo così trovato alcune fondamentali indicazioni per la nostra vita presente e futura. Il Signore ci conceda di viverle portando ciascuno il proprio dono e godendo ognuno dei doni degli altri per l’edificazione della Chiesa, Corpo di Cristo nel mondo.
Amen.
+ Massimo Camisasca