Omelia nella solennità di Ognissanti
Cappella del cimitero Monumentale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle
ogni anno la Chiesa ci invita a contemplare «in un’unica festa i meriti e la gloria di tutti i santi» (cfr. Preghiera di Colletta) che fanno corona al Figlio di Dio che siede alla destra del Padre. Sono nostri fratelli, nostri amici, che ci hanno preceduto nel pellegrinaggio terreno e con la loro testimonianza ci ricordano il senso profondo della nostra esistenza e il destino a cui tutti noi siamo chiamati. Sono, come abbiamo ascoltato nella prima lettura, una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Stanno in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tengono rami di palma nelle loro mani (cfr. Ap 7, 9). È l’immagine definitiva della Chiesa che inizia sulla terra e si realizza pienamente in cielo nella comunione dei santi.
Questa espressione – “comunione dei santi” – che ripetiamo ogni volta che facciamo la nostra professione di fede, ci introduce nella luce della festa che oggi celebriamo. Occorre comprenderla in tutta la profondità del suo significato, senza ridurla a qualcosa che riguardi soltanto l’aldilà.
La comunione dei santi innanzitutto è la condivisione che nasce dal dono che Cristo fa di se stesso a noi. Essere in comunione non significa semplicemente condividere la vita dell’altro, ma condividere con l’altro la vita di un “terzo”. È molto importante considerare questo, che è il significato letterale della parola comunione. Comunione dei santi, dunque, vuol dire anzitutto partecipazione comune a Colui che è il Santo, cioè Dio, che ha manifestato la sua santità nell’incarnazione del Figlio. Partecipare assieme alla vita di Gesù, al suo sguardo sulle cose e sull’esistenza, al suo cuore. Come scrive san Paolo nella lettera ai Filippesi: Avere in noi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù (Fil 2, 5).
Questi sentimenti ci sono stati donati nel battesimo. In esso siamo stati resi santi non per nostro merito, ma per l’elezione che Gesù ha fatto di noi. La comunione ecclesiale non nasce innanzitutto da una convergenza di sentimenti, ma dall’opera di Cristo che risana dal profondo la nostra persona. In lui veniamo guariti da tutto ciò che ci divide da Dio e dagli altri, dalla nostra superbia, che ci separa dal Padre, dal nostro egoismo, che ci oppone ai fratelli, dalle nostre gelosie, rivalità, invidie, dalla nostra incapacità di perdonare e di ricevere il perdono. Alla comunione si accede attraverso la penitenza, che rinnova in noi la grazia ricevuta nel Battesimo: il sacramento della Confessione ci rende degni e capaci di ricevere il dono che continuamente Gesù fa di se stesso nell’Eucarestia, rendendoci suo popolo, suo Corpo vivente sulla terra.
Capiamo allora come la comunione dei santi nella quale per grazia siamo inseriti, non solo ci unisce a Cristo, il Santo di Dio, non solo ci fa partecipi della cose sante, ma ci lega anche gli uni agli altri in un vincolo per il quale nulla che accade alla vita dell’altro può essere indifferente alla mia vita, così come ogni pensiero, parola, opera o omissione della mia esistenza ha un riverbero su tutta la Chiesa, terrena e celeste. Nella comunione dei santi – afferma san Paolo – nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso (Rm 14, 7). Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui (1 Cor 12, 26). «Il più piccolo dei nostri atti compiuto nella carità – leggiamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica – ha ripercussioni benefiche per tutti, in forza di questa solidarietà con tutti gli uomini, vivi o morti, solidarietà che si fonda sulla comunione dei santi. Ogni peccato nuoce a questa comunione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 953).
Il legame con i nostri fratelli e le nostre sorelle in cui il Battesimo ci ha inseriti è, infatti, così potente da superare i limiti del tempo e dello spazio. È per questo che noi, dalla terra, possiamo pregare per i nostri cari defunti – come facciamo soprattutto oggi e domani qui e in tutti i cimiteri dove riposano le loro spoglie mortali – ed essi possono intercedere per noi. «La nostra preghiera per loro può non solo aiutarli, ma anche rendere efficace la loro intercessione in nostro favore» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 958).
Vorrei qui ricordare che l’atto di offrire in suffragio dei defunti delle opere di carità – di cui la più grande e più efficace è la santa Messa – non è appena un atto di pietà devozionale o sentimentale, ma è il più importante gesto di amore che possiamo vivere nei loro confronti. Essi spesso, per raggiungere la piena comunione con Dio, attendono con inesprimibile desiderio la nostra preghiera, il nostro perdono e l’offerta della nostra carità verso i fratelli.
Vi invito quindi, in questo anno della misericordia, a riscoprire questa fondamentale opera di misericordia spirituale che è la preghiera per i defunti oltre che per i nostri fratelli e sorelle che ancora camminano con noi qui sulla terra. Tutti insieme formiamo un corpo solo. «Noi crediamo – ha scritto nel Credo del Popolo di Dio il beato Paolo VI – alla comunione di tutti i fedeli di Cristo, di coloro che sono pellegrini su questa terra, dei defunti che compiono la loro purificazione e dei beati in cielo; tutti insieme formano una sola Chiesa; noi crediamo che in questa comunione l’amore misericordioso di Dio e dei suoi santi ascolta costantemente le nostre preghiere» (Paolo VI, Credo del popolo di Dio, 30).
Dio ci permetta di poter sperimentare nella nostra vita la bellezza e la beatitudine dell’appartenenza ad una così grande famiglia.
Amen
+ Massimo Camisasca