Omelia nella santa Messa per le Ordinazioni dei diaconi permanenti
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari figli che state per essere ordinati diaconi,
care famiglie, parenti e amici dei nostri ordinandi,
cari fratelli e sorelle,
ascoltiamo il sì di questi nostri fratelli alla chiamata del Signore. Attraverso di esso risplende questa sera, in modo rinnovato, la promessa che Gesù ha fatto a tutti noi prima di ascendere al cielo: sarò con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo (cfr. Mt 28, 20).
Egli esprime questa sua presenza in molti modi, ma essa è particolarmente evidente nell’elezione che Cristo fa di alcuni uomini ai quali domanda di essere suoi strumenti privilegiati in mezzo al mondo. Se ai presbiteri chiede, come cuore della loro missione, di rinnovare continuamente il mistero della sua passione, morte e resurrezione attraverso la celebrazione del sacrificio eucaristico e attraverso il suo perdono nel sacramento della Penitenza, ai diaconi chiede di essere i collaboratori privilegiati nel ministero del Vescovo. Egli ordinariamente li affianca ai presbiteri nel servizio delle comunità parrocchiali.
Nella mia lettera pastorale ho parlato dei mondi diversi in cui vive la vostra persona: il mondo della famiglia, quello della professione e, infine, quello delle responsabilità specifiche che vi sono affidate nella comunità parrocchiale. In realtà sarebbe molto pericoloso dividere la vostra vita in diversi settori o momenti. Una è la persona, una è la fede, una è la testimonianza che siete chiamati a rendere a Cristo in ogni occasione della vostra giornata, in ogni rapporto umano che la attraversa. Permanente, come quello con la moglie e con i figli; stabile, come quello con un compagno di lavoro; occasionale, ma non meno importante, come quello con una persona incontrata lungo la strada, che ci chiede aiuto con il suo sguardo o con la sua mano.
Non voglio inoltrarmi perciò in questa occasione nelle riflessioni che ho già svolto nella lettera pastorale. Vorrei piuttosto rispondere alla domanda: che cosa vi attende ora?
Innanzitutto vi attende una progressiva e continua scoperta della persona di Gesù. Ogni vocazione, che nasce dal battesimo, rappresenta un’immedesimazione e un’apertura verso la vita del Salvatore. Questo itinerario affascinante non può avvenire se non ci sarà nella vostra giornata un tempo dedicato alla preghiera e al silenzio. Oso raccomandarvi in modo particolare la Liturgia delle Ore. So molto bene quanto le vostre giornate saranno assediate da responsabilità e impegni. Il rischio di perdere ciò che è essenziale, forse proprio a causa dei servizi che dobbiamo compiere, è alle porte. Ma in questo modo disperderemmo la cosa più preziosa che ci è consegnata dalla nostra vocazione e dall’ordinazione diaconale.
L’altro grande dono che vi è fatto, e che siete chiamati continuamente a restituire, è il dono della comunione. Innanzitutto con i parroci con cui siete chiamati a collaborare, con gli altri sacerdoti, con i religiosi e tutti i membri del popolo di Dio che vi sono affidati. Se le nostre unità pastorali e le nostre parrocchie non avranno come centro, come cuore infuocato, la comunione vissuta, non potranno essere quella luce che splende e che attrae, riscalda e indica il cammino.
Oggi siete chiamati a collaborare, con il vostro ministero, nelle comunità da cui provenite. Domani potrete essere affidati ad altre comunità. In qualunque luogo vi troverete, il primo e fondamentale sacrificio da vivere sarà quello della testimonianza comune a Cristo.
Voglio poi ricordarvi che la vostra stessa condizione di vita, famigliare e sociale, vi pone, come è stato detto più volte, sulla soglia della Chiesa. Cosa vuol dire questa strana espressione? Che cos’è il “ministero della soglia”? Non certo l’indicazione di una incertezza, di una vocazione debole, di un tentennamento di fronte alle richieste che Gesù ci fa continuamente mettendoci davanti le urgenze della sua missione.
Ministero della soglia vuol dire “ministero della missione”. Anche se alcuni di voi, o forse tutti, sarete chiamati a servire all’altare, a predicare, il vostro servizio primario è la carità dell’incontro. In questo modo realizzate una delle principali insistenze di papa Francesco. Le nostre comunità non siano chiuse in se stesse, ma, all’opposto, sempre protese a incontrare le persone, le loro attese, le loro domande, le loro fatiche. L’ansia dell’incontro, della comunicazione, ha mosso la vita di Gesù. Soprattutto la sete che la sua umanità mostrava verso le donne e gli uomini che attraversavano i suoi percorsi. La stessa sete muova anche voi e vi porti ad incontrare l’immensa realtà delle povertà che ci circondano.
Lazzaro (cfr. Lc 16, 19-31) è veramente alla nostra porta: sono i giovani che nella loro disponibilità grande, anche se disorientata, attendono dei padri e delle madri che li aiutino ad uscire dalle loro paure per camminare con coraggio verso al vita che li attende. Poveri sono le famiglie, soprattutto quelle che vivono al proprio interno divisioni, fatiche, stanchezze e attendono perciò altre famiglie da cui essere aiutate e illuminate per riscoprire il dono della loro unità e la bellezza del camminare assieme nel Signore. I poveri sono le tante persone che soffrono, che non hanno casa, che non hanno lavoro, che non hanno speranza. I malati, i tormentati dal dubbio e dalla disperazione, i profughi che fuggono dai loro Paesi. A tutti siete mandati, sia inserendovi nelle strade che la nostra Chiesa già percorre verso di loro, sia accogliendo colui che viene verso di noi in un modo che ci sembra occasionale, ma che in realtà è voluto da Dio.
Realizzerete in questo modo alcune parole che la liturgia di oggi ci presenta. Nel brano del profeta Amos siamo invitati a preoccuparci della “rovina di Giuseppe”. Il grido del profeta sembra rivolto proprio a noi, alla nostra società opulenta e dimentica di ciò che veramente conta. Mentre Cristo soffre nei poveri, in coloro che sono abbandonati e rifiutati, in coloro che aspettano una parola di fede e non trovano nessuno che parli loro di Dio, il mondo canterella sulla montagna di Samaria, immerso nella dimenticanza e nella distrazione (Am 6, 1.4-7).
Ricordate inoltre le parole del Salmo che abbiamo appena recitato:
Il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri (Sal 145, 8-9).
La vostra vita sia epifania di questo versetto del Salmo. È attraverso di voi che il Signore vuole amare, rialzare e proteggere.
Tutta la vostra esistenza sia, come quella di san Paolo, una professione di fede davanti a molti testimoni (cfr. 1Tim 6, 12). Essa può avvenire in tanti modi: attraverso le parole, ma soprattutto attraverso le scelte della nostra vita e la luminosità del nostro volto.
Cari fratelli, la nostra Chiesa, e il vescovo con essa, si attendono molto da voi. Soprattutto, come ho cerato di dire in questa omelia, che siate gli uomini della preghiera, della comunione e della missione verso l’umanità povera e ferita. Siate vicini al mio ministero, tornate spesso a raccontarmi le vostre scoperte e le vostre fatiche. Aiutiamoci assieme a rendere bella e luminosa la nostra Chiesa attraverso la luce della nostra fede e della nostra carità.
Sia lodato Gesù Cristo.