Omelia nella santa Messa per il giubileo degli insegnanti
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle, cari insegnanti, cari dirigenti scolastici, voi tutti qui presenti,
la fondamentale domanda a cui dobbiamo rispondere assieme è: ‘che cosa significa misericordia?’. Entrando in chiesa abbiamo cantato «Misericordes sicut Pater», siamo chiamati ad essere misericordiosi come il Padre. Come è misericordioso il Padre? Per comprendere almeno un poco cosa vuol dire misericordia per noi, dobbiamo guardare alla misericordia del Padre.
Il primo atto con cui Dio si è mostrato misericordioso verso di noi è stato quello di crearci, ci ha fatti passare dal nulla all’essere. Questa è stata la prima, immensa, misericordia da cui scaturiscono tutte le altre. Infatti Dio non avrebbe potuto salvarci se prima non ci avesse creato, e non ci avrebbe creato se prima non ci avesse amato, se nell’eternità non avesse pensato a noi e non ci avesse voluti.
Questo pensiero riempie il nostro cuore di meraviglia e di una gratitudine infinita. La nostra gratitudine è, come noi, finita, ma vorrebbe tingersi di infinito di fronte a qualcosa di così straordinario, sempre nuovo.
Il primo modo di essere misericordiosi, dunque, è guardare a noi stessi e ai nostri ragazzi, ai nostri studenti come a creature, come a esseri che sono voluti da Dio per se stessi. Il loro fine è quello di godere della luce e della comunione con Dio, di diventare persone in relazione con gli altri e dotati di una dignità singolare e straordinaria.
Il secondo modo con cui Dio si è mostrato misericordioso verso di noi è l’averci messi in una famiglia, qualunque essa sia stata. Non ci ha fatti nascere per poi abbandonarci, ci ha messi nella famiglia del mondo, nella famiglia di questo nostro Paese, l’Italia, di questa nostra città, in una famiglia concreta, con un padre e una madre.
Dobbiamo guardare a noi stessi e a ogni ragazzo e ragazza che ci sono affidati con questo sguardo, guardare a loro come a dei figli, a delle persone che hanno bisogno di relazioni con adulti che non usino di loro, ma che servano la loro vita dicendo ‘si’ o ‘no’ quando vanno detti e insegnando loro le verità che portano in avanti l’esistenza.
Si è veramente liberi quando ci si riconosce come creature. La libertà non è assenza di legami, come crede gran parte del nostro mondo. La libertà non è l’assenza di doveri o soltanto la proclamazione di diritti. La libertà vera, dato che l’uomo è stato creato per essere in comunione con Dio e gli altri uomini, è la maturità degli affetti. La libertà è il riconoscimento di ciò che ci costituisce e di ciò verso cui andiamo. È molto importante che voi consideriate questo e lo trasmettiate ad ogni ragazzo. Questo è il fondamento di ogni vera umanità: riconoscere che la nostra vita non è un’assenza di rapporti, di relazioni, di legami e di dipendenze.
Siamo dipendenti da chi ci ha fatti, dal fornaio che ci dà il pane, da coloro che ci preparano le verdure e la carne, siamo dipendenti da coloro che ci guidano. Questo non è qualcosa di negativo. È, al contrario, una condizione per crescere, per diventare liberi, per diventare noi stessi. L’uomo non è un assoluto: l’uomo che si fa Dio si distrugge come persona.
L’altra misericordia che Dio ha avuto verso di noi è stata quella di farsi incontrare. Dio ci è venuto incontro, ci si è manifestato. Nel rispetto della laicità della scuola, ci sono tanti modi per essere testimoni di questa gioia. Il modo migliore per farlo è quello di testimoniare che la nostra vita è una vita piena, lieta: siamo stati oggetto di un’altra grande misericordia, che è quella di essere stati chiamati ad essere insegnanti. Ogni giorno siamo messi di fronte alle domande dei ragazzi, alle loro necessità, alle loro attese. Questo fa rinascere la nostra umanità e ci obbliga ogni giorno a rispondere alle domande più profonde del nostro e del loro cuore, non lascia mai “tranquilla” la nostra vita, ma la rinnova ogni giorno attraverso l’esigenza di conoscenza e di amore che c’è nei ragazzi.
Non lamentiamoci di questa generazione di ragazzi! Spesso sono disorientati, ma sono anche molto aperti. Se trovano degli adulti veramente interessati a loro e capaci di essere proposta per la loro umanità, tanti rispondono positivamente alle nostre provocazioni, perché hanno sete di conoscenza, di verità, hanno sete di affetti duraturi. Questo, infatti, è ciò che costituisce la nostra umanità, in qualunque epoca della storia o in qualunque luogo del mondo noi nasciamo.
Quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù (Gv 6,24). In questo versetto del vangelo di san Giovanni che è stato proclamato questa sera mi sembra di vedere l’ansia dei ragazzi. In questo movimento continuo di uomini che cercano Gesù noi tutti possiamo intravvedere la descrizione dei nostri giovani che sono alla ricerca di Gesù. Non lasciamo che questa loro ricerca vada delusa! Anche quelli che nel vangelo cercavano Gesù avevano una grande confusione dentro. Non facciamo della confusione, della incertezza e degli errori o resistenze degli altri l’alibi per mancare alla nostra testimonianza e alla nostra responsabilità educativa.
Quante strade abbiamo davanti per parlare a questi ragazzi che cercano la vita, la bellezza, la verità! La poesia, la storia, la geografia, oppure la bellezza dell’ordine della matematica…
Dopo la moltiplicazione dei pani e dei pesci la gente seguiva affannosamente Gesù, ma egli dice loro: In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati (Gv 6,26). Il miracolo, infatti, era il segno di qualcosa d’altro che avrebbe dovuto essere la ragione più vera del seguire Gesù. In ogni materia che insegniamo c’è il segno di qualcosa d’altro. La storia, la geografia, la matematica, proprio perché nascono dall’uomo, hanno dentro il segno del destino dell’uomo, hanno dentro l’indicazione che l’uomo, come diceva Pascal, supera immensamente se stesso. Il nostro destino è segnato da questa insaziabilità che sperimentavano anche coloro che nel vangelo seguivano Gesù. Questo è il segno del divino e dell’eterno dentro di noi, è il segno che niente di ciò che ci è dato deve essere trascurato, ma anche che niente di ciò che ci è dato è sufficiente a saziare la nostra sete. Siamo fatti per qualcosa che non passa e che arriva a noi attraverso tutto ciò che passa, come una poesia, un logaritmo o lo studio della geografia. Attraverso ciò che passa siamo aiutati a scoprire ciò che non passa e che può colmare il nostro cuore. Datevi da fare – ci dice Gesù – non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà (Gv 6,27).
Vi auguro, cari insegnanti, di poter vivere con i vostri ragazzi questa grande avventura, di ricominciarla ogni giorno. Anch’io, per un po’ di tempo, sono stato insegnante e so bene quanto sia necessario, quando si insegna, rinnovare ogni giorno la speranza. Quando si esce da una classe sembra, a volte, che tutti ci abbiano seguito, che abbiano percepito qualcosa di ciò che noi volevamo comunicare loro. Ma poi succede che si rientra in classe il giorno dopo e si ha la netta percezione di dover ricominciare da capo. In realtà non è così. Ciò che comunichiamo, ciò che doniamo, lascia nei nostri ragazzi un segno, un tesoro che nel tempo fruttificherà. Vi incoraggio, allora, a dare continuità e profondità al nostro insegnamento, ad essere “misericordiosi come il Padre”, non perché possiamo raggiungere la misura della sua misericordia, ma perché possiamo imparare da Dio che cos’è la misericordia: rispondere all’esigenza di vita, di bellezza e di verità che hanno i nostri ragazzi.
Sia lodato Gesù Cristo!