Omelia nella festa della dedicazione della Cattedrale. Chiusura diocesana del Giubileo straordinario della Misericordia. Accolitati di Alberto Debbi, Marco Lucenti, Prince Osei Ampong ed Emanuele Sica
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
cari Alberto, Marco, Prince ed Emanuele, che state per ricevere il ministero dell’Accolitato,
cari sacerdoti, diaconi, religiosi,
siamo qui riuniti per concludere assieme, con questa santa celebrazione, il Giubileo straordinario che papa Francesco ha voluto per tutta la Chiesa. È un’occasione preziosa per guardare ai frutti di questo anno per ognuno di noi e per la nostra Chiesa diocesana. Quando si vive un’esperienza importante, infatti, perché non rimanga solo un pio ricordo, occorre fermarsi e chiedersi: che cosa ho imparato, quale parola il Signore ha suggerito al mio cuore in questo anno, quale passo nella fede ho fatto o sono chiamato a fare? Non si tratta di compilare un freddo bilancio, ma di riconoscere e custodire i semi che in questi mesi sono stati piantati affinché possano germogliare e portare frutto nella nostra esistenza.
Abbiamo vissuto una grande esperienza di Chiesa. I vari pellegrinaggi giubilari, per vicariato o per categoria, ma anche i tantissimi pellegrinaggi di singole persone o di piccoli gruppi, hanno condotto qui migliaia di persone. Questa Cattedrale si è riempita delle voci e della preghiera di tanti uomini, donne e bambini. Che cosa sono venuti a cercare? Che cosa li ha spinti a varcare la Porta Santa e a mettere la propria vita davanti al Signore? Solo Dio conosce i segreti dei cuori. Solo Lui ha potuto ascoltare le grida, le paure, le sofferenze, ma anche le lodi, i rendimenti di grazie, l’esultanza di tutti coloro che qui sono venuti a cercare conforto, luce, pace per le loro esistenze.
Il culmine di ogni pellegrinaggio è sempre stato l’incontro personale con Gesù, nel sacramento della Confessione e nella comunione con il suo Corpo, che ha aperto le vite di tanti ai bisogni materiali e spirituali dei fratelli più poveri. È questo l’insegnamento più grande che vogliamo custodire: la misericordia è l’abbraccio di Dio che si china sulle nostre ferite, ci perdona e così ci rende a nostra volta attori della misericordia, misericordes sicut Pater, misericordiosi come il Padre (Lc 6, 36).
Auspico che, dopo questo anno, il Confessionale torni ad essere nelle nostre Parrocchie un luogo privilegiato di incontro con il Signore, dove sempre si possa trovare un sacerdote pronto ad accogliere chiunque desideri ricevere il perdono di Dio. Vorrei che questo fosse un impegno concreto che la nostra comunità diocesana si assume: in ogni unità pastorale, in diverse fasce orarie e luoghi, sia sempre possibile trovare un sacerdote per le confessioni e in ogni parrocchia siano affissi i riferimenti del luogo e dell’orario in cui ogni giorno sia possibile confessarsi. E a voi, cari fratelli sacerdoti, dico: non aspettate che i fedeli vi chiedano di confessarsi, ma sedete nel confessionale: l’esperienza ci fa vedere che quando un sacerdote è presente nel confessionale, magari a leggere o a pregare, molte più persone, nel tempo, si accostano al sacramento della Penitenza.
Penso che la riscoperta della Confessione e delle opere di misericordia corporale e spirituale sia il lascito più prezioso di questo Giubileo. Soprattutto il legame inscindibile tra queste due esperienze. Non vi è infatti autentica carità nei confronti dei nostri fratelli e sorelle se essa non nasce dall’incontro personale con Cristo, dalla gratitudine per un dono che noi per primi abbiamo ricevuto e che desideriamo comunicare ad altri. Allo stesso modo ogni vero incontro con Gesù ci apre al riconoscimento della sua presenza nel prossimo, nella sua sete, nella sua fame, nel suo bisogno di compagnia e di consiglio, rivelatori del suo bisogno di Cristo.
Queste considerazioni ci aiutano a comprendere nel suo significato più vero anche la festa della dedicazione della Cattedrale che oggi celebriamo. Che cos’è infatti la Cattedrale se non l’immagine della locanda (cfr. Lc 10, 34) nella quale il Buon Samaritano ci conduce per prendersi cura di noi e per farci entrare nella sua carità divina? Gesù, nel Vangelo che abbiamo ascoltato, a coloro che decantavano la bellezza delle pietre e dei doni votivi di cui era ornato il Tempio, dice: Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta (Lc 21, 6). Solo la carità rimane, la carità del Padre e la carità che ognuno di noi avrà vissuto. In mezzo a tutte le tempeste, i tradimenti, gli sconvolgimenti apocalittici che il Vangelo descrive, chi vive nella fede e persevera in essa, chi vive cioè secondo la verità nella carità (Ef 4, 15), rimarrà come olivo verdeggiante nella casa di Dio (Sal 51, 10): nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. – dice Gesù. – Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita (Lc 21, 18-19).
La perseveranza di cui parla il Signore è innanzitutto la fedeltà alla vocazione che Egli ha donato a ciascuno di noi come strada per una più profonda conoscenza di Lui e adesione alla sua vita. Come dice san Paolo, una sola è la speranza alla quale siamo stati chiamati, quella della nostra vocazione (cfr. Ef 4, 4).
Per queste ragioni sono molto contento di poter consegnare questa sera alla nostra Chiesa la mia seconda Lettera pastorale, dedicata proprio al tema della vocazione, tema che papa Francesco ha posto al centro della considerazione della Chiesa universale per i prossimi due anni, che culmineranno nel Sinodo ordinario dei vescovi convocato per l’ottobre 2018 e che avrà come titolo: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale».
Mi auguro che questa mia lettera possa contribuire positivamente alla riflessione che il Santo Padre ci invita a fare e sia per tutti noi, e in particolare per i giovani della nostra diocesi e per coloro che sono impegnati nell’affascinante campo della loro educazione, un utile strumento di accompagnamento, crescita e fioritura delle vocazioni e in particolare delle vocazioni sacerdotali.
È anche un regalo che faccio a voi, cari Alberto, Marco, Prince ed Emanuele: l’accolitato che ora riceverete, e che durerà per tutta la vita, sia per voi lo spazio di una adesione sempre più luminosa alla grande vocazione a cui Cristo vi ha chiamati. Guardate agli apostoli di cui il vangelo racconta l’accolitato al seguito di Gesù, cioè la loro progressiva, lenta ma reale, immedesimazione con la vita del Maestro e con la sua obbedienza al Padre.
Amen
+ Massimo Camisasca