Omelia nella domenica delle Palme
Cattedrale di Reggio Emilia
Cari fratelli e sorelle,
la liturgia della domenica delle Palme è così drammaticamente ricca di avvenimenti e di insegnamenti che ogni parola in più suonerebbe grandemente superflua. Tutta la potenza del nostro sguardo deve fissarsi sui fatti di quelle ore, aiutata dall’immaginazione e soprattutto dalla preghiera che chiede di potere entrare umilmente in un amore così grande.
Questa è infatti la realtà della Passione che è descritta quest’anno nel vangelo di san Luca: un amore incommensurabile, incomprensibile nella sua infinitezza per ciascuno di noi da parte di Dio. Non solo Dio ci ha voluti, ma ha voluto anche che noi partecipassimo della sua vita. Dopo il rifiuto di Adamo, in cui era emblematicamente racchiusa la fragilità della nostra libertà, Dio ha preso infinite volte l’iniziativa per riportarci nel suo seno, come un pastore che cerca le pecore smarrite, come una chioccia che cerca i suoi pulcini, come un amante che cerca la persona che ama. Infine, di fronte a tutte le resistenze dell’uomo, ha voluto mandare suo Figlio. Cristo si è caricato di tutte le nostre colpe togliendo di mezzo la divisione fra Dio e l’uomo, ma ha fatto ancora di più: ci ha ridonato la comunione con il Padre, ci ha lasciato il suo corpo e il suo sangue, dato e sparso per noi. Ci ha lasciato la Chiesa, il suo Spirito.
Durante la settimana che inizia ritorneremo su tutti questi avvenimenti per riviverli, soprattutto nel giovedì, nel venerdì e nel sabato santi. Quest’oggi vorrei soltanto porre a voi una domanda: dove ci collochiamo tra tutte le figure emerse intorno a Gesù in questo racconto di passione? Ci collochiamo forse nell’incertezza paurosa di Pilato, che pur riconoscendo l’innocenza di Gesù ha avuto timore di perdere il proprio posto di fronte al potere di Cesare? Gesù ci chiede di amarlo sopra ogni altro attaccamento umano. In questo modo ci libera dall’idolatria delle cose e ci rende liberi di usare saggiamente dei beni terreni in vista di quelli eterni.
Oppure ci collochiamo nella sequela delle donne che piangono, ma non sanno ancora riconoscere ciò che deve cambiare nella loro vita? Piangono sul legno verde, ma non sanno di poter diventare legno secco se il loro cuore non diventerà di carne.
Io vorrei che tutti ci collocassimo al posto di Pietro, non tanto per tradire anche noi Gesù, lo abbiamo già fatto tante volte, ma per avere come Pietro il dono delle lacrime. Quando Gesù lo guardò, con gli occhi pieni di tristezza, per la debolezza dell’apostolo, e nello stesso tempo di una sconfinata compassione, Pietro si accorse di quanto Gesù lo amasse anche dentro il suo peccato e si mise a piangere. Quelle lacrime lavarono la sua colpa. La differenza tra Pilato e Pietro è enorme. Ambedue tradirono Gesù per paura, ma Pietro – che aveva seguito Gesù e lo amava – trasse da quel tradimento un’umiltà che lo sostenne per tutta la vita.
Questo sia anche il contenuto della nostra preghiera durante questa settimana santa.
Amen.