Lettera alla Diocesi dopo la visita pastorale in Brasile
Porchiano
Carissimi fratelli e sorelle,
sacerdoti, diaconi, religiosi e laici,
dopo i miei viaggi precedenti presso le nostre missioni in Albania e in Madagascar, tra il 23 dicembre 2015 e l’8 gennaio 2016 ho visitato per la prima volta i nostri missionari in Brasile assieme a don Romano Zanni, mio vicario per la Carità e le Missioni. Ho molto desiderato questo viaggio, sia per conoscere direttamente la vita dei nostri missionari che vivono attualmente nella diocesi di Ruy Barbosa, sia per rendermi conto, almeno sommariamente, della lunga storia che ci ha portati fin qui.
Sono infatti esattamente 50 anni che, per impulso di mons. Gilberto Baroni, mio amato predecessore, è nata la missione in Brasile, attraverso l’incontro con un vescovo brasiliano durante il Concilio Vaticano II e l’invio dei primi missionari, cui è seguita l’importante lettera pastorale del 1968 intitolata: La Chiesa diocesana in stato di missione.
Questa storia di 50 anni – che abbiamo ricordato anche in Cattedrale durante la celebrazione della I domenica di Avvento, il 29 novembre scorso, e che è raccolta in un libro pubblicato di recente, dal titolo: 50 anni di cammino insieme. La Chiesa reggiana in Bahia – Brasile – è ritornata più volte nel racconto di tante persone incontrate nella Bahia. Soprattutto ho potuto vedere la fecondità di questa azione missionaria in alcune opere che continuano a dare frutto anche oggi. Sulla bocca di tante persone incontrate i nomi dei nostri sacerdoti sono tornati più volte in espressioni di ringraziamento, di benedizione, di lode.
Informandomi di questa storia, ho conosciuto anche pagine difficili, che ci richiamano all’importanza di una preparazione profonda di coloro che, sacerdoti, religiosi e laici, partono per la missione. Sono 29 i sacerdoti partiti per il Brasile dal 1965 al 2015; 11 le suore e parecchie decine i laici volontari.
L’idea originale di mons. Baroni era quella di una comunità missionaria, formata da diverse vocazioni. Accanto ai sacerdoti, accomunati in un’unica missione con compiti differenti, immaginava i laici, le famiglie. Anche oggi, nella nostra Chiesa diocesana di Reggio Emilia-Guastalla, abbiamo bisogno di riscoprire la comunione delle vocazioni nell’unica missione della Chiesa, abbiamo bisogno che il cuore delle nostre unità pastorali siano delle comunità in cui la salvezza portata da Gesù è riscoperta ogni giorno come fonte della nostra gioia e della nostra speranza. L’intento di mons. Baroni ha avuto una difficile attuazione: può essere ripreso oggi, accompagnando la vita dei nostri sacerdoti e delle Case della Carità con quella di alcune famiglie e di laici missionari?
Il Brasile è uno stato enorme, grande come un continente. In esso vivono popoli di diverse provenienze, che hanno creato un grande meticciato di tradizioni, culture, razze. La Bahia è uno stato del nord-est, collocato quasi a ridosso dell’equatore. La sua capitale è Salvador de Bahia, la città dove abita Antonina Neri, una delle prime volontarie, partita nel 1965, che ha scelto definitivamente quella città come sua patria, svolgendo da decenni un compito di promozione della vita delle donne attraverso una introduzione al lavoro che valorizza soprattutto le capacità manuali per la creazione di ricami ecc…
Fin dall’inizio i nostri missionari si sono stabiliti nella diocesi di Ruy Barbosa, che dal 1965 ad oggi ha visto il susseguirsi di 4 vescovi, 2 brasiliani, un americano e un belga. L’attuale vescovo, mons. André De Witte, guida la diocesi dal 1994. Essa è molto estesa, più di 10 volte la nostra diocesi. Conta 16 sacerdoti diocesani, 10 religiosi e 23 parrocchie, nella maggior parte delle quali sono distribuite delle cappelle. Ciò che colpisce è un sentimento religioso diffuso, che ha bisogno di essere accompagnato ed aiutato ad approfondirsi in una fede riconosciuta; un sentimento religioso oggi profondamente attaccato dalla diffusione della mentalità occidentale che fa del denaro e del piacere gli scopi fondamentali della vita.
Ipirà (60mila abitanti) è una delle più importanti parrocchie della diocesi, con circa 100 cappelle. È parroco oggi don Gabriele Burani, che succede a don Marco Ferrari. Qui sono stati parroci anche don Piero Medici, don Riccardo Cammellini, don Vittorio Trevisi. Sulla traccia dei suoi predecessori, don Gabriele incontra periodicamente e sistematicamente le comunità sparse sul territorio della parrocchia. È lì soltanto da un anno. Desidera ascoltare e conoscere. Intende dedicarsi alla formazione dei leader delle comunità, a una celebrazione ordinata e sobria della liturgia, a una valorizzazione dello spirito comunitario, che già vede vivere in molte realtà dei suoi fedeli, e alla cura di percorsi vocazionali. Quando don Luca Grassi, parroco a Pintadas, è a Ipirà pregano e vivono assieme e si aiutano nel discernimento delle priorità pastorali. Pintadas (10mila abitanti) è una parrocchia accanto a Ipirà, più piccola. Don Luca è aiutato da un centinaio di laici, attraverso cui può seguire le tante comunità di cui si compone la parrocchia. Conta di potersi dedicare soprattutto alla pastorale giovanile e a quella della famiglia.
Visitate queste due parrocchie affidate ai nostri due sacerdoti Fidei Donum, mi sono recato più all’interno, per incontrare i parrocchiani affidati ai Fratelli della Carità, essi pure Fidei donum. Ho attraversato immense regioni desolate dalla siccità. C’era un caldo opprimente, segnato da molta umidità. Tutto ciò mi ha fatto riflettere sulle condizioni di povertà e di disagio in cui vive la maggior parte di questa popolazione. Alla necessità dell’acqua, elemento vitale per la loro esistenza. Alla necessità della terra, un bene oggi forse non più apprezzato come nel passato e che provoca tante migrazioni verso le città.
I due fratelli della carità, don Luigi Gibellini e don Riccardo Mioni, sono parroci in solido di 4 parrocchie, più piccole delle precedenti Nova Redençaon, Ibiquera, Vagner e La jedinho. Per incontrare le loro comunità don Luigi e don Riccardo percorrono ore e ore di strade asfaltate e sterrate, che attraversano spazi sterminati, aridi quando è il tempo della siccità, verdi là dove c’è stata la pioggia che fa rinascere tutto. Ho celebrato in alcuni povoados (piccoli paesi), dove sono piccole cappelle, luogo di raduno delle comunità. Mi colpiscono queste celebrazioni, a lungo attese dalla popolazione, che le vive come incontro col Signore, unica forza della loro vita, e con i fratelli e sorelle con cui nell’incontro eucaristico esprimono il loro legame e la loro amicizia. All’eucarestia segue perciò, quasi sempre, un pranzo comune con il cibo portato da ciascuno. Ho celebrato diversi battesimi e ho impartito la cresima.
A Utinga ho visitato la casa per disabili costruita da don Trevisi e don Carlotti, dietro la quale alcuni spazi, oggi occupati dalle suore, costituivano il pre-seminario da loro inaugurato. Sempre a Utinga, sono stato con Enzo Bertani e la sua famiglia, un laico venuto in Brasile assieme a don Trevisi, che si è sposato qui, dove ora ha la sua residenza definitiva. È responsabile di un’enorme opera da lui creata, un oratorio con doposcuola formativo per centinaia di ragazzi.
A Ruy Barbosa, sede del vescovo, ho potuto incontrare mons. André, che ho rivisto anche nei giorni successivi con tutti i sacerdoti della sua diocesi.
Sempre a Ruy Barbosa è nata una Casa della Carità con tre nostre suore e una decina di ospiti, segno luminoso di una carità silenziosa, fondata sull’Eucarestia, sulla meditazione della Parola, sull’accoglienza del povero chiamato a vivere nella stessa casa. Sono sempre ammirato dalla pace, dalla letizia e dall’accoglienza che trovo nelle Case della Carità.
Alla fine del mio viaggio, ho potuto predicare anche due giorni di ritiro a tutti i sacerdoti e volontari. Il nostro incontro si è concluso con una giornata di riflessione comune sul futuro della nostra missione nella diocesi di Ruy Barbosa.
La grande povertà che tanti nostri fratelli e sorelle vivono in terra brasiliana ci interroga sul nostro modo di vivere anche qui a Reggio. Non possiamo lasciare inascoltato il grido della povertà. Molto hanno fatto i nostri sacerdoti in questi cinquant’anni di fronte al problema dell’acqua, della terra, del bisogno di educazione, di formazione, ma soprattutto del bisogno supremo dell’uomo, che è quello di conoscere Cristo, la sua Chiesa, il suo vangelo di salvezza. L’azione missionaria non può mai ridursi ad un’azione sociale, come continuamente ci ricorda papa Francesco. Il Signore Gesù, che ci invita a farci carico anche dei bisogni elementari dei nostri fratelli, ci spinge a riconoscere nelle loro esistenze il grido ancora più profondo, che è il bisogno di perdono, di comunione, di salvezza. I missionari di Gesù devono essere profondamente radicati in Lui e nella sua verità, se vogliono essere di aiuto alla persone che incontrano.
Questo viaggio in Brasile è stato per me di grande importanza. I missionari della nostra Chiesa, che rendono possibile un profondo incontro tra due Chiese sorelle, sanno di essere espressione della nostra Diocesi, sono chiamati a vivere una profonda comunione con il Vescovo che li ha inviati, chiamati ad imparare dalle persone che incontrano e nello stesso tempo a purificare e correggere, ove fosse necessario, ciò che nelle loro culture si oppone a Cristo.
La nostra esperienza di missione in Brasile costituisce una strada privilegiata per una più profonda comprensione dello stile, del linguaggio e delle immagini usate da papa Francesco, che conosce bene la realtà dell’America Latina segnata da tante povertà e dalla presenza di tante periferie sociali e culturali.
Spero che questa esperienza possa fecondare positivamente anche la vita della nostra Chiesa qui a Reggio.
Affido a Maria santissima, Madre della Chiesa, il viaggio che ho compiuto e imploro da lei le grazie necessarie per la nostra Chiesa missionaria.
Con la mia benedizione,
+ Massimo Camisasca