La fede. Trascrizione incontro con i giovani del percorso diocesano vocazionale Il Pozzo di Giacobbe
Marola
La fede è un’esperienza molto vasta, molto estesa nella storia del mondo, dei popoli e delle persone e può essere raccontata in tanti modi. Io ve la racconterò così come appare dalla Bibbia, che è la storia di Dio con l’uomo. Questo è il significato della fede che ci interessa.
Prima di parlare di che cos’è la fede nel rapporto fra Dio e l’uomo vorrei fare due annotazioni a mo’ di introduzione al nostro cammino.
La fede come virtù naturale
La prima introduzione è che la fede oggi per molti è una parola e un’esperienza che divide e che proprio perciò va guardata con sospetto e va relegata nella sfera intima, privata e nascosta dell’io. Si può dire che non c’è telegiornale, giornale, trasmissione televisiva in cui, per una ragione o per l’altra, non si arrivi lì. In fondo, nascostamente o no, si pensa che la fede, proprio perché significa consapevolezza e identità, sia qualcosa non solo di divisivo ma anche di conflittivo. Alcuni dicono che dalla fede nascono i conflitti fra gli uomini, sono nate le guerre di religione e oggi vediamo che molte guerre hanno come retroterra le fedi. Questo è un attacco molto profondo alla fede perché se la fede fosse semplicemente un’identità negativa, causa di lotte e guerre, essa prima o poi verrebbe relegata nelle sfere più intime dell’io e infine cancellata come inutile. Se la fede, non solo è distruttiva, ma addirittura non può costruire e deve rimanere nascosta, allora è meglio dare la vita per altro. Questa è un’obiezione molto diffusa e radicale.
Ma la fede è proprio questo? La fede coincide con una visione fanatica della realtà, con un fanatismo irrazionale che quindi è necessariamente distruttivo?
Vorrei farvi notare quanto la fede sia necessaria per vivere nella vita quotidiana, la fede intesa come virtù naturale. Perché sono qui? Perché accetto l’invito di un amico? Perché la prima volta che son venuto qui ci sono venuto? Perché ho avuto fede in chi mi ha invitato.
Perché a scuola ascolto una lezione e presto attenzione a ciò che viene detto, che cosa scatta quando io ascolto con curiosità e attenzione uno che parla? Che cosa scatta quando seguo con fiducia quello che mia madre o mio padre mi dicono? Non verifico prima se vogliono ingannarmi.
La fede è un dinamismo che, invece di dividerci dalla vita, ci unisce ad essa, è un dinamismo naturale di tutta la nostra esistenza. La fede è il motore della nostra vita perché vivere vuol dire avere fiducia in qualcuno. Istintivamente quando nasco metto la mia bocca sul capezzolo di mia mamma e poi guardo la sua faccia e a poco a poco imito la sua voce e imparo le prime parole. Incontro i primi amici, mi unisco a loro; vado a scuola, lo faccio magari con fatica, ma poi nascono delle amicizie; poi sento dentro di me l’idea di diventare ingegnere.
Perché e quando tutti questi movimenti della nostra vita sono fede e non irrazionalità? Quando ci sono delle ragioni, istintive o meno, per credere alle parole di un amico, a un invito di una madre, alla sollecitazione di un maestro o semplicemente al fatto che guardo una montagna piena di neve e dico: «Come è bella!»; cosa c’è dietro tutti questi movimenti di sequela della vita? C’è dentro il fatto che qualcosa mi precede e mi attrae e non è irragionevole seguirlo se, andando dietro alle parole dell’amico, scopro che esse sono vere.
La fede è un dinamismo importante nella nostra vita, non è un dinamismo che ci divide dalle persone e dalle cose, ma piuttosto che ci unisce. La fede è seguire una promessa contenuta nella voce, nella presenza, nell’invito di un’altra persona.
Voglio insistere su questo perché se non comprendiamo questo possiamo realmente cadere nella trappola di chi dice che è meglio non avere identità. Non è vero che le identità sono causa di violenza. Causa di violenza sono le identità malate, le identità non risolte, di chi non ha capito veramente chi è, le identità di chi vive la sua fede in modo ideologico, come se fosse un partito e non come un incontro.
La fede vissuta porta ad amare non a dividere. Quando io sono soddisfatto di avere incontrato una cosa bella desidero comunicarla; quando leggo una bella poesia desidero farla conoscere; quando ascolto una bella canzone desidero cantarla con altri; quando vedo il sorriso di mia madre mi apro alla vita.
La fede è un rapporto fiduciale, pieno di ragioni, che mi spalanca agli altri e all’esistenza. La fede è un rapporto innanzitutto. Certamente la fede è una conoscenza, ma dentro un rapporto. Entro in rapporto con te e questo mi permette di conoscere meglio la vita. Senza la fede la storia sarebbe costretta a ricominciare con ciascuno, perché vivere vuol dire dare fiducia a qualcuno che mi ha preceduto.
Un rapporto fiduciale “pieno di ragioni”, però. Non seguo chiunque, bisogna discernere quegli inviti che entrano a costituire più direttamente un bene per la mia vita e per la vita degli altri. Se ascolto le parole di mia madre è perché so che altre volte mi hanno fatto bene; se ascolto con interesse un insegnante più di un altro è perché il primo mi ha detto cose che ho verificato non solo essere giuste, ma anche utili per la mia vita; se partecipo a una compagnia lo faccio perché mi ritrovo arricchito e non impoverito.
La fede, dunque, non è una sequela irrazionale. Si usa dipingere la fede come l’atteggiamento opposto alla ragione. La fede non è assolutamente un atteggiamento irrazionale. Essa significa dar credito a una persona, a una proposta, ma valutando le ragioni che porta.
Vivere è dare fiducia a delle persone che ci sembrano credibili per tante ragioni: per chi me le ha presentate, per quello che dicono, per come lo dicono. Senza questa credibilità dell’altro non si può vivere.
Non è possibile affrontare la matassa della vita senza il dinamismo della fiducia. La fiducia non è qualcosa di irrazionale, ma qualcosa che si basa su una convivenza precedente, su delle ragioni.
Attraverso la fiducia nell’altro io vengo preso per mano e condotto in un mondo in cui da solo non riuscirei ad entrare.
Ultimamente, per esempio, ho scoperto uno scrittore svizzero, Joel Dicker, di cui sono usciti in Italia due romanzi storici, uno sulla seconda guerra mondiale e uno ambientato negli Stati Uniti. Che cosa è accaduto leggendo questi romanzi? Cosa accade quando trovo un autore veramente affascinante, veramente importante? Che mi introduce in un mondo in cui io da solo non sarei riuscito ad entrare. La fede è un rapporto in cui io vengo portato a conoscere cose che da solo non avrei conosciuto. Attraverso gli altri vengo introdotto in mondi che da solo non avrei scoperto.
Questa è una cosa importante perché è il passaggio a quello che è la comprensione della fede cristiana: essere presi per mano da una persona, che è Gesù, che agisce attraverso suoi testimoni e che porta a vedere e a sentire delle cose che io non avrei sentito e visto da solo.
Beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono. In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l’udirono! (Mt 13,16-17).
La fede, dunque, è essere introdotti in un mondo che non è irragionevole, strano, paranoico o solo per alcuni. Possiamo dire che la fede è essere condotti a vedere questo mondo più in profondità. La fede sono nuovi occhi e nuove orecchie, ma ciò non vuol dire che la fede è un mondo di visionari che vedono cose che gli altri non vedono e ascoltano voci strane che vengono da chissà dove. La fede è un mondo di persone che vengono prese per mano e rese capaci di vedere ciò che gli altri non vedono.
Pascal diceva che ci sono delle ragioni che la ragione non conosce. Ci sono delle ragioni di vita a cui non basta la nostra ragione funzionale, quella che usiamo per dire che due più due fa quattro: c’è una dimensione nuova della ragione che è quella di cui parliamo quando parliamo della fede. Scoprire una profondità della vita non semplicemente perché c’è un microscopio elettronico più evoluto, ma perché c’è un occhio nuovo nel vedere le cose dell’esistenza.
Tutto ciò che ho detto adesso è illuminante per capire ciò che dirò da questo momento. Sotto tutto ciò che ho detto finora, infatti, sta una considerazione decisiva di cosa sia il cristianesimo. Esso non è una vita “strana” accanto alla vita normale. Il cristianesimo è una vita più profonda perché è una vita che nasce da Colui che ci ha fatti e che ci porta perciò ad ascoltare, a vedere e a vivere in un modo più profondo ciò che vivono tutti. Il cristianesimo perciò è una proposta per tutti – la fede non è un fatto divisivo – e il cuore del cristianesimo è un rapporto fra l’uomo e Colui che lo ha fatto e che quindi lo conosce. Un rapporto in cui l’uomo e la donna si lasciano prendere per mano e condurre da Colui che li conosce, che li chiama per nome e che li porta a vedere cose finora sconosciute, li porta ad entrare a risposte a cui la ragione funzionale non è in grado di arrivare. La ragione funzionale è in grado di arrivare a dire come esisto ma non perché esisto; la ragione funzionale è in grado di dire perché la mia vita finisce ma non cosa c’è oltre e non è in grado di dirmi perché io ci sono, io che non c’ero.
La fede non è entrare in un mondo di illusione o di visioni, ma entrare in questo mondo per cogliere delle risposte, delle ragioni che la ragione funzionale non riesce a dare. Nel rapporto con Dio avviene come nel rapporto con la mamma, con l’amico, con l’insegnante positivo. Dio ci chiama per prenderci per mano e per condurci verso regioni che non conoscevamo: Lui stesso. La profondità della vita è Dio. “Padre Nostro che sei nei cieli” vuol dire “che sei nella profondità della vita, che sei l’origine della vita”, questi sono i Cieli.
Quando l’astronauta sovietico Yuri Gagarin tornò dalla prima esplorazione intorno alla terra disse: «Sono stato in cielo, ma Dio non c’era», una cosa che anche un bambino di seconda elementare di allora poteva contestare. “Padre Nostro che sei nei cieli” non vuol dire che è nella ionosfera. I cieli sono i luoghi in cui Dio abita, cioè le profondità della vita.
[Queste canzoni non ci distraggono soltanto se le comprendiamo per quello che sono, cioè come un grido di una vita non risolta, un grido a cui attingiamo perché il cristianesimo non è la vita su un altro pianeta e trovare risposte alle domande degli uomini vuol dire cercare risposte alle nostre domande. Ecco perché ascoltiamo questi canti: perché nella loro voce c’è anche la nostra, perché Dio è una risposta alla domanda che è la vita, se non c’è la domanda non si percepisce neppure la risposta. Altrimenti sarebbe estetismo.]
Abramo, padre della nostra fede
Riassumo quello che ho detto finora. Dentro la vita di ogni giorno c’è un fenomeno naturale che non dobbiamo aver paura di chiamare fede o fiducia. La fiducia consiste nel dar credito a una persona, a quello che dice, a quello che fa, a quello a cui ci invita. Dar credito ragionevolmente: perché abbiamo visto in altre occasioni che quella persona vuole il nostro bene, non mente quando parla e ci porta verso strade nuove che da soli non potremmo percorrere. Questo stesso dinamismo è ciò che anima la fede come rapporto fra Dio e l’uomo.
Leggendo Genesi 12 notiamo quanto sia importante la figura di Abramo perché con lui comincia qualcosa di radicalmente nuovo. Fino a lui, e anche dopo di lui, il rapporto fra Dio e l’uomo era stato sempre il tentativo dell’uomo di dare un volto a Dio. Le religioni idolatriche che troviamo continuamente nella Bibbia consistevano nel tentativo degli uomini di dare un volto a Dio per averlo dalla propria parte attraverso dei sacrifici, delle offerte. Era quindi una statuetta, un animale, era tante cose in cui l’uomo identificava il volto di Dio. In questo momento accade l’inverso: non è l’uomo che cerca di dare un volto a Dio, ma è Dio che parla a un uomo, non si mostra nel suo volto ma si mostra nella sua parola, in un invito. Nel capitolo 12 della Genesi troviamo di colpo: Il Signore disse ad Abramo. Certamente tutto questo è stato preceduto da mesi, anni di parole in cui Dio ha cominciato a preparare il cuore di Abramo.
Dio prepara il suo rapporto con noi scendendo come parola nella nostra vita; può essere una parola che sentiamo dentro, oppure che leggiamo o che ci dice una persona. Dio ci raggiunge attraverso una parola che illumina la nostra esistenza. È singolare come questa prima parola di Dio sia un invito ad andarsene dal suo paese verso il paese che ti indicherò. Dio ci invita a cambiare punti di riferimento. Se io continuo ad incaponirmi ad avere i punti di riferimento di prima non potrò entrare in queste nuove regioni in cui, prendendomi per mano, Dio vuol farmi entrare.
Il primo invito di Dio è quello ad uscire dalle misure in cui finora ho vissuto; è un invito alla povertà del cuore, è un invito alla semplicità, un invito ad uscire dal garbuglio dei miei pensieri, delle mie paure e ad entrare in una nuova regione. Dio non dice ad Abramo quale sarà la nuova regione ma dice:«Verso il paese che ti indicherò», cioè te la farò scoprire a poco a poco perché se tu la vedessi subito non la capiresti. Dio vuol far compiere ad Abramo un itinerario, un cammino in cui ogni tappa sarà una scoperta nuova, una nuova esperienza, una nuova profondità della vita. In questo invito del Signore c’è qualcosa che vale per ogni uomo, per ogni donna: ogni uomo ed ogni donna sono chiamati ad uscire da quello che finora hanno pensato, vissuto e capito e ad andare verso un paese nuovo. Questo accade per tutti quando si incontra Dio o una persona che si ama. Uno non può stare in casa dei suoi e stare con la moglie, infatti quando si sta con la mamma e con la moglie il matrimonio fallisce. Uno non può stare in una vocazione in cui Cristo gli chiede tutto e nello stesso tempo pensare di vivere come prima. C’è un momento della vita in cui Dio chiede a tutti di uscire dalla patria, dalla casa del padre verso il paese nuovo che Dio gli indicherà. Questa è una cosa sconfinata perché questo cammino verso il paese nuovo non si concluderà mai se non nell’abbraccio definitivo con Dio oltre il tempo.
Quello che Dio chiede ad Abramo in questo momento è qualcosa di sconfinato e di permanentemente nuovo. Abramo, con cui Dio aveva già parlato per convincerlo, per attrarlo, non ha la più pallida idea di quello che capiterà alla sua vita anche se Elohim gli aveva detto che era ragionevole seguire la sua voce. Sarà una serie successiva di scoperte fino alla fine dei suoi lunghissimi giorni. Per questo Gesù riassume tutte le beatitudini in una: beati i poveri, beati coloro che non avranno mai niente da opporre a quello che Dio chiederà.
Abramo non parte senza ragioni. Dio lo aveva preparato. Dio è radicale, infatti gli chiede di uscire dalla casa in cui era stato fino allora e di mettersi in cammino verso una meta che Dio non indica, ma che indicherà strada facendo. Spesso le persone che vengono a parlare da me sono scandalizzate dagli zig zag che Dio sta facendo compiere alla loro vita. La cosa importante è capire se questi zig zag dipendono dalla nostra volubilità o invece è Dio che lentamente vuol farmi comprendere ciò a cui io non voglio arrendermi. Per questo è importante l’aiuto di un amico più grande che possa farmi capire, senza sostituirsi a me, se sono le mie fantasie oppure è veramente Dio che mi sta facendo fare un percorso contorto perché venga a galla con più chiarezza dove lui mi vuole portare.
Abramo ha delle ragioni che sono le promesse che Dio fa. Farò di te un grande popolo e ti benedirò e renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione. Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra.
Dio promette ad Abramo di essere addirittura il capostipite di un popolo che raggiungerà tutte le famiglie della terra. Praticamente è il rinnovarsi dell’alleanza con Adamo, che Adamo ed Eva avevano rotto. Creando Adamo ed Eva Dio aveva voluto in loro l’inizio di un popolo immenso che sarebbe stato parte della sua vita come un grande padrone di casa che apre le porte della sua casa a tutti gli abitanti della terra e dice: «Venite ad abitare qui da me, voi siete parte di me, siete il mio popolo». Siete il suo corpo, dirà poi san Paolo parlando di Gesù.
Dopo che l’iniziativa di Dio era stata respinta dall’uomo, Dio non si sfiducia, ma ricomincia con Abramo. Ad Abramo viene fatta questa promessa: «Tu sei il nuovo inizio di un popolo che avrà i confini del mondo». Anche a noi viene fatta la promessa di far parte di questo popolo che ha i confini del mondo.
Tutti coloro che incontreranno te e ciò che da te è nato troveranno la vita mentre tutti quelli che rifiuteranno ciò che da te è nato troveranno la morte.
La fede è Dio che ci prende per mano, che scende con la sua parola per aprirci a dimensioni nuove, sconfinate dell’esistenza. Già il Libro della Genesi dice che Dio scendeva per parlare con Adamo nel giardino dell’Eden. Adesso Dio scende per parlare con Abramo e lo invita ad uscire dal suo paese.
Perché Dio lo invita ad uscire dalla sua terra, dalla casa di suo padre, non poteva realizzare lì quello che avrebbe realizzato poi? Cosa si nasconde in questo invito? Che per fare spazio a Dio dobbiamo uscire dalle cose a cui finora siamo stati legati. Non perché Dio sia geloso, ma perché noi siamo piccoli e non possiamo ospitare tutto. Per cominciare a fare spazio a Dio e alla sua iniziativa dobbiamo, per un po’, lasciare da parte ciò a cui siamo legati, ciò che ci ha riempito. C’è un momento in cui bisogna fare spazio a ciò che Lui opera nella nostra vita. Se non si prega mai, se non si medita mai, se non si da fiducia agli amici che Dio ci ha fatto incontrare… Dio ha chiesto ad Abramo di uscire dalla sua terra perché era impegnato con i suoi buoi, con le occupazioni di tutti i giorni. Dio però lo sorregge in questo cambiamento con un’immensa promessa.
In Genesi 15 Dio dice: Non temere Abram, io sono il tuo scudo, la tua ricompensa sarà molto grande. Dio promette ad Abram di essere il capostipite di un popolo che avrebbe abbracciato tutto il mondo e Abram non riesce ad avere un figlio. Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli. Ed ecco gli fu rivolta questa parola dal Signore: ‘Non costui sarà il tuo erede, ma uno nato da te. Dio insiste sulla sua promessa, non viene meno e anzi la moltiplica e gli dice: Guarda in cielo e conta le stelle se riesci a contarle e soggiunge, tale sarà la tua discendenza. Egli credette al Signore che glielo accreditò come giustizia. Questa frase del libro della Genesi (Gen 16, 6) è la pagina su cui san Paolo ha costruito tutta la sua lettera ai Romani. Abramo è grande per la sua fede. La sua fede non era irrazionale. Dio gli aveva donato tante cose, ma non gli aveva ancora donato ciò che gli aveva promesso. La fede è lasciarsi prendere per mano e condurre in una terra che non conosciamo, secondo un itinerario di cui noi non siamo i padroni, perché attraverso quell’itinerario Dio ci vuole liberare dagli idoli, cioè dalle cose a cui siamo attaccati o dal modo in cui viviamo l’attaccamento alle cose e alle persone.
Qual è la forma più alta, più scandalosa di questo metodo di Dio? È quando Dio sembra chiedere ad Abramo il sacrificio del figlio (Gen. 22). Una pagina profondamente misteriosa della Bibbia che in realtà vuol dire il contrario di ciò che apparentemente sembrerebbe dire, cioè che i sacrifici umani non si devono più fare. Israele stesso ha dovuto capire che non si devono più fare i sacrifici umani per ingraziarsi Dio perché lui non li vuole.
Cosa vuole insegnare Jahvè ad Abramo in questo episodio? Dio vuole liberare Abramo dall’ultimo idolo che è il contenuto stesso della promessa di cui noi ci facciamo padroni. Apprezziamo tanto, ad esempio, una bella amicizia in cui Dio ci si manifesta, ma a poco a poco è talmente bella che ce ne facciamo padroni. Se nostro figlio non è come l’avevamo pensato, ci arrabbiamo. Così pure per la moglie o gli amici, Dio deve rispondere alle nostre domande nei tempi che vogliamo noi. Ecco cosa significa il sacrificio di Isacco: Dio vuole che siamo disponibili e non ci attacchiamo neppure alle cose che lui ci regala o ci promette.
I primi apostoli
Siamo all’inizio del vangelo di Giovanni, capitolo I. Il Battista aveva radunato attorno a sé un gruppo di discepoli per un battesimo di purificazione e di perdono dei peccati. Era il punto finale di tutta la storia cominciata con Abramo. Dio aveva promesso un popolo che avrebbe avuto come dimensioni l’intero universo, che sarebbe stato più numeroso di tutte le stelle del cielo e dei grani di sabbia sulle rive del mare. Che cosa era accaduto? Quanti erano adesso? Forse solo 10 aspettavano veramente questo compimento. La promessa sembrava ancora una volta fallire, come ai tempi di Abramo. Dio ha mandato continuamente i suoi profeti per risvegliare il suo popolo all’autenticità della promessa di Dio, mentre esso continuava a cadere nell’idolatria, dominato dalla paura e dall’impazienza. Infatti temeva che Dio non fosse più forte dei nemici, come noi temiamo che Dio non sia più forte dei nostri peccati, delle nostre incertezze e delle nostre fatiche. Così si faceva continuamente degli idoli, degli dei a portata di mano da cui sperava delle soluzioni più immediate. Dio invece ribalta la questione e dice che sono gli idoli che non si occupano del popolo, sono gli idoli che hanno orecchie e non sentono, hanno bocca e non parlano, hanno occhi ma non vedono. Dio invece vede, sente e parla, Dio è vicino.
Il compito dei profeti è quello di annunciare che Dio è vicino. Il compito del Battista, infine, è stato quello di annunciare che non solo Dio è vicino, ma che è lì: Ecco l’agnello di Dio!. Leggerete perciò Giovanni 1, 35-39. Si raduna tanta gente intorno al Battista. In quell’epoca una forte ricerca attraversava Israele, ma quelli che nel loro cuore erano veramente rimasti in attesa della manifestazione di Dio erano pochi. Giovanni vedendo Gesù passare dice: Ecco l’agnello di Dio!, ecco l’atteso, ecco colui che finalmente, in modo definitivo, compie la promessa, dà inizio al nuovo popolo in un modo così radicale che il nuovo popolo non si disperderà più completamente, come è accaduto nella storia di Israele, non perderà più la fede. Essa rimarrà, ci sarà una casa definitiva, la casa che Israele aveva tanto sognato. Israele ha fatto di tutto per trovare un punto visibile di unità di tutto il popolo: ha costruito il Tempio, ha accettato i profeti, ha voluto i re – e all’inizio Dio non era d’accordo né sulla costruzione del Tempio né sull’elezione dei re. Poi li ha accettati perché ci fosse un punto fisico, visibile di unità di tutto il popolo, ma il popolo si è disperso ugualmente fino a Babilonia.
Adesso ecco la domanda di Andrea e Giovanni che erano con il Battista: Dove abiti?. Intuiscono. Come aveva intuito Abramo all’inizio. È un’intuizione vera, data dall’incontro del loro sguardo con lo sguardo di quell’uomo, nato da tutto ciò che avevano sentito dire di lui dal Battista. La fede non nasce mai da zero, la fede ha sempre dei testimoni, una preparazione. Giovanni e Andrea avevano sentito parlare di Gesù dal Battista, avevano sentito dire che lui sarebbe finalmente stato l’iniziatore definitivo dell’alleanza fra Dio e il suo popolo. Se la fede è essere condotti per mano verso una regione che non conosciamo, ecco allora la domanda: Dove abiti?, prendici per mano e portaci finalmente a stare nel luogo dove tu stesso abiti, a vedere e a sentire le cose che il Padre ti ha detto.
Lo struggente desiderio di Israele – «Il mio desiderio è abitare nella casa del Signore» – finalmente può trovare una iniziale risposta. La fede come rapporto di amicizia, di fiducia, di scoperta, di introduzione a ciò a cui gli altri uomini non riescono a introdurmi. E stettero con Lui quel giorno e videro dove lui abitava, inizia uno stare con Lui, inizia il nuovo popolo, definitivo, inizia il compimento irreversibile della promessa fatta ad Abramo. Il Paese che io ti indicherò, il grande popolo fonte di benedizione, è questa casa dove abita Gesù e dove questi due cominciano ad abitare con Lui. Poi, a poco a poco, la casa diventa il loro essere assieme, diventano le parole che Gesù dice loro, diventa l’esperienza della vita che Gesù fa fare loro, diventano le nuove dimensioni dell’esistenza che Gesù apre loro, diventano gli squarci di cielo che Gesù apre nella loro mente e nel loro cuore. Fino a quando, a Cafarnao, Pietro dice di non aver capito niente tranne questo: che senza di Lui non capiranno niente. Tu solo hai parole che spiegano la vita.
Potrete leggere le parole così paradossali di Gesù in Matteo 17 e Luca 17: Se avrete fede niente vi sarà impossibile. Questa fede a cui niente è impossibile non è la forza del superman, non è una droga nuova inventata da Jahvè, un delirio cristiano, è un’immagine per dire che se avremo fede Lui ci accompagnerà dentro un’esperienza di vita che non possiamo neppure immaginare, in cui tutti i nodi che oggi ci sono nella nostra esistenza non saranno magicamente risolti, ma verranno affrontati con la pazienza e la forza che Dio ci donerà.
Maria
Da ultimo la figura di Maria. In lei tutto si raccoglie, si riassume e si semplifica (Luca 1, 26-38). Anche lei, come Abramo, viene raggiunta da una parola che probabilmente l’aveva raggiunta già precedentemente, che l’aveva preparata a quel momento, una parola perché non dubitasse, non pensasse che quanto stava accadendo fosse una sua riflessione personale, ma arrivava direttamente da Dio attraverso un angelo.
Immaginiamo questa ragazza di 14 anni, fidanzata con Giuseppe. Lei aveva già presentito nella sua preghiera, nella sua meditazione o quando correva dietro alle pecore, che in lei c’era una speciale chiamata, ma non poteva capire cosa questo volesse dire. Percepiva di essere chiamata a qualcosa di immenso, qualcosa che riguardava la storia di Dio con gli uomini, che riguardava proprio Abramo, che riguardava l’evento di popolo nato con lui e che lei era chiamata ad avere un posto particolare in quella storia, ad essere come l’inizio di una nuova, definitiva nascita di quel popolo. Le parole dell’angelo suscitano in lei tante memorie di parole lette e meditate nella Scrittura, intuisce che in lei si raccoglie la storia della figlia di Sion e che il Signore aveva voluto legarsi a lei in un modo particolare e assoluto: «Sei piena di grazia, il Signore è con te». Il suo turbamento non nasce dal dubbio, ma dalla sua umiltà, dalla percezione che qualcosa di immenso stava per accadere attraverso la povertà della sua persona e che ciò che sarebbe nato da lei sarebbe stato il compimento di tutta quella storia – Il Signore gli darà il trono di Davide, regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe, il suo regno non avrà fine, sarà chiamato figlio dell’Altissimo.
Come è possibile? Anche ciascuno di noi è chiamato come Maria, seppure in una forma diversa, ad essere strumento della nascita di Gesù nel mondo. Sant’Ambrogio scrive che tutti coloro che credono sono strumenti della nascita di Gesù nel mondo.
L’angelo dice a Maria: Vedi, Elisabetta nella sua vecchiaia ha concepito un figlio, nulla è impossibile a Dio. Quello che accade non è irrazionale, è qualcosa che tu non avevi previsto, devi allargare lo spazio della tua mente e del tuo cuore.