Omelia per la Messa Crismale
- Reggio Emilia, Cattedrale
02.04.2015
Cari fratelli e figli,
eccoci di nuovo assieme, per la terza volta, in questa occasione assolutamente particolare: il giorno in cui Gesù ha istituito l’Eucarestia e ha affidato agli apostoli, ai loro successori, nonché ai presbiteri che partecipano del loro ministero, il suo invito pressante: “Fate questo!”.
Assieme ai presbiteri, saluto i diaconi, corona e gloria del vescovo e della nostra Chiesa, che per tradizione partecipano a questa messa crismale.
Congregavit nos in unum Christi amor! L’amore di Cristo ha fatto di noi una sola cosa. È questo l’inizio dell’inno che da secoli la Chiesa canta durante il giovedì santo nella messa in coena Domini. Ma vale anche per noi l’invito a meditare le sue parole.
Ubi charitas et amor, Deus ibi est. Dove la comunione viene vissuta nell’amore, lì è presente Dio.
Vorrei questa mattina porre a me e a ciascuno di voi una domanda. Desidero che ciascuno risponda, nel profondo del proprio cuore: è proprio vero che noi siamo una cosa sola? E cosa vuol dire: essere una cosa sola? Per aiutarci a rispondere a queste domande ho proposto alla nostra Chiesa di meditare quest’anno le lettere di Paolo agli Efesini e ai Colossesi.
Le avete lette, le avete studiate, avete lasciato imprimere nei vostri cuori le parole dell’apostolo?
Chiediamoci allora: è viva l’unità tra di noi? Sembrerebbe fin troppo facile rispondere di no. Guardandoci dall’esterno uno potrebbe dire: No, non siete una cosa sola. Troppi anni dividono i più anziani dai più giovani, troppa diversità di formazione. E poi tra di voi troppe differenze di temperamenti, di doni, di storie personali, di appartenenze ecclesiali, sociali, politiche. Tutt’al più siamo forse una sola cosa nelle intenzioni, nei sentimenti, ma non nella mente e nel cuore. Ma sarebbe giusto limitarci a dire così?
No, questa risposta contiene un profondo misconoscimento. Che cosa dimentica? Che cosa dimentichiamo ogni giorno? Siamo una cosa sola innanzitutto perché Cristo nel battesimo ci ha innestati nel suo Corpo: Exultemus et in ipso iucundemur! Gesù ci ha chiamati dalla nostra solitudine, dalla nostra voglia di stare al chiuso, nella privatezza, nei sogni, nei piccoli pensieri e corti sentimenti, e ci innesta nel suo Corpo, ci dona speranza di immortalità, apertura del cuore all’universo.
Scopriamo l’unità con gli altri perché è Lui che ce la dona, Lui che ci fa uscire dai nostri rancori, dalle nostre rivendicazioni e passioni, rendendoci capaci di perdono.
Grazie Signore per il dono del Battesimo! Quando, il giovedì, prego con il Santo Rosario i misteri della luce, nel primo mistero ricordo tutti i battezzati. Chiedo al Signore di farci sempre consapevoli del dono e della responsabilità che ne nasce.
Grazie, Signore, per il dono del Sacerdozio! Ecco la seconda fonte della nostra unità, che scaturisce dalla prima. «Con l’ordinazione sacerdotale siamo innestati in una particolare unità con gli altri sacerdoti della nostra Chiesa. In virtù della comune sacra Ordinazione e missione tutti i presbiteri sono tra loro legati da un’intima fraternità, che deve spontaneamente e volentieri manifestarsi nel mutuo aiuto, spirituale e materiale, pastorale e personale, negli incontri e nella comunione di vita, di lavoro, di carità» (cfr. Lumen Gentium 28). Le parole con cui il Concilio Vaticano II esorta tutti i presbiteri del mondo, valgono in modo particolare per i preti di una Chiesa attorno al loro vescovo.
Stanno iniziando nella nostra diocesi molte nuove comunità ministeriali, altre verranno alla luce nei prossimi tempi. Il cuore di una parrocchia, di una unità pastorale, è una comunità di preti, diaconi, laici che si trova a pregare, a leggere e meditare la Parola di Dio, che ha in comune, almeno ogni tanto, momenti di pranzo o cena, che condivide – per quanto possibile – i propri beni e i propri doni, che sa vivere assieme momenti di svago, di riposo, che ospita nella propria casa le persone attratte dalla loro comunione, come anche i poveri e bisognosi.
Allora facciamo esperienza di Dio. Della sua luce e della sua gioia. Timeamus et amemus Deum vivum. Et ex corde diligamus nos sincero. Amiamo il Dio vivo e lo scopriremo vivere tra noi, in noi, nella nostra carità.
Questo profondo radicamento ci metterà in ascolto della differenza dell’altro, ci farà desiderare di comprenderla e anche di correggerla, con pazienza e sempre riconoscendo nell’altro un fratello. Ci farà anche desiderare di camminare verso uno sguardo condiviso sulle questioni della storia. «Il regno di Dio, – ha scritto G. Lohfink – non è… proiettato in un futuro assoluto, ma spunta già ora nel presente. Perciò anche la città escatologica non può essere un futuro assoluto. Essa comincia già a profilarsi: nella cerchia dei discepoli che seguono Gesù. Insieme con Gesù, essi sono già ora la città in cima al monte» .
Amen.