Omelia per la festa delle Case della Carità nella solennità di S. Teresa di Gesù
- Reggio Emilia, Palazzetto dello Sport
15.10.2015
Cari fratelli e sorelle,
ogni anno, nel giorno della memoria liturgica di santa Teresa d’Avila, ritorna la festa delle Case della Carità in cui alcuni fratelli, sorelle, membri secolari e famiglie rinnovano i loro voti.
Quest’anno il nostro incontro, che è preghiera e partecipazione al più grande atto di carità che la storia possa registrare – la morte e resurrezione di Gesù, Figlio di Dio – avviene a poche settimane dall’inizio dell’anno giubilare straordinario che il Papa ha voluto chiamare Giubileo della misericordia.
Come le Case della Carità possono aiutarci a imparare la misericordia? Come possono farci entrare nel fiume della misericordia che è Gesù?
Innanzitutto perché nascono da questo fiume. La mente e il cuore di don Prandi sono stati colpiti dall’umanità di Gesù e hanno posto nella terra di Fontanaluccia un seme che è poi cresciuto nel tempo fino alle dimensioni di oggi. «Mi sembra che voi, Gesù, mi vogliate ad una perfezione non comune – scriveva nel 1930 – e mi par di vedere che voi fate di tutto per tirarmi a questa perfezione» (cfr. S. Chesi, Dicevano: “è fuori di sè”. Don Mario Prandi e le Case della Carità, Diabasis, Reggio Emilia 2005, 74).
Il nome della misericordia è innanzitutto il nome di Gesù, volto visibile del Padre, che lo ha mandato sulla terra perché gli uomini, attraverso le sue parole e le sue azioni, potessero vedere Dio, potessero toccarlo ed essere toccati, guardarlo ed essere guardati, ascoltarlo ed essere ascoltati, potessero cominciare ad amarlo perché egli ci ha amati per primo (cfr. 1Gv 4,19).
La Casa della Carità è innanzitutto un luogo in cui incontriamo Gesù: nell’Eucarestia, al centro della Casa, nella Parola di Dio, letta, proclamata, meditata e studiata, nel povero che è Gesù tra noi, egli che da ricco che era si fece povero per arricchire tutti noi con la sua povertà (cfr. 2Cor 8,9).
Che cosa può insegnarci che Dio è misericordia più dell’Eucarestia, segno supremo del desiderio di Gesù di restare con noi, contemporaneo ad ogni generazione di uomini; più della Parola di Dio, attraverso cui siamo resi partecipi della storia attiva e feconda di Dio con gli uomini, dalla creazione all’ultimo avvento di Cristo; più dei poveri, dei malati, di coloro che sono segnati dalle prove e con la loro esistenza ci richiamano a ciò che è essenziale e rimane per sempre?
Le Case della Carità sono anche un luogo in cui vivere la misericordia.
Possiamo diventare fonte di luce, noi a cui è stata donata la luce. Ci vengono qui in aiuto le opere di misericordia corporale e spirituale che in questo anno giubilare dovremmo tutti riscoprire e imparare di nuovo. Esse ci invitano ad uscire da noi stessi e a donare qualcosa che abbiamo di materiale – come un vestito, un bicchiere d’acqua, del cibo, un po’ del nostro tempo per chi è malato, incarcerato, solo – o ad offrire aiuto a chi soffre nello spirito: a consigliare, confortare, istruire, sopportare.
Nella vita quotidiana delle Case, pur dentro la naturale fragilità di tutti coloro che vi abitano, possiamo imparare ad imitare Dio. Possiamo imparare ad imitare la gratuità di Dio che ci ha voluti e ci ha amati senza esigere prima qualcosa da noi; possiamo imparare la sua continua iniziativa verso di noi prendendo iniziativa con i nostri fratelli. Far alzare dal letto chi non lo può fare da solo, conversare con chi è solo, giocare o anche semplicemente stare accanto a una persona, in silenzio,… sono le strade semplici per vivere la misericordia, per imparare la misericordia in una Casa della Carità, per vivere così anche quando torniamo nella nostra casa, quando siamo tra i nostri familiari, amici, a scuola, al lavoro.
È questo anche l’insegnamento che ci viene dal Vangelo che abbiamo ascoltato. Gesù si presenta alla Samaritana come bisognoso: Affaticato per il viaggio – nota l’evangelista – sedeva presso il pozzo (Gv 4,6). Chiede da bere alla donna perché è assetato e stanco. E la Samaritana, incontrando la sete di Gesù, scopre di essere lei stessa bisognosa e affaticata. Comprende la propria sete ed è lei, a un certo punto, a chiedere al Signore: dammi la tua acqua, perché io non abbia più sete (cfr. Gv 4,15).
È questa l’esperienza autentica della misericordia: venendo incontro al bisogno dell’altro scopriamo la nostra vera identità, la nostra sete di amore, di perdono, di comunione.
Ma solo accogliendo l’abbraccio misericordioso di Gesù, che ha pietà della nostra miseria, possiamo poi vivere la carità autentica verso i nostri fratelli nei luoghi della nostra esistenza quotidiana. Come la Samaritana che corre in paese per comunicare a tutti il dono che lei per prima ha ricevuto (cfr. Gv 4, 28-29).
Cari fratelli e sorelle, chiediamo anche per noi la grazia di poter incontrare Gesù e di saperlo riconoscere, trasfigurato nella santa Eucarestia o assetato e sfigurato nei poveri. Possa egli donarci la sua acqua perché diventi in noi fonte zampillante per ogni uomo e ogni donna che incontriamo sul nostro cammino.
Interceda per tutti noi Santa Teresa di Gesù che oggi solennemente celebriamo nel Cinquecentenario della sua nascita.
Amen.
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