Parole introduttive alla presentazione del libro Il calice di legno. Dino Torreggiani e la sua Chiesa di Sandro Spreafico.
- Reggio Emilia
29.11.2014
La Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla, durante tutto il Novecento, ha avuto da Dio il dono di un numero impressionante di sacerdoti molto significativi, per la santità della vita o per la geniale creatività delle opere, educative, di assistenza… Sacerdoti che talvolta si sono segnalati per una carismatica lettura del cristianesimo che li ha portati ad uscire da ogni possibile categorizzazione e a non chiudersi in un ambito limitato d’azione.
Sarebbe un grande merito della nostra Chiesa se, assieme alle Istituzioni, avesse il coraggio di costituire un dizionario storico dei preti reggiani del Novecento, di cui esistono peraltro già moltissime biografie, purtroppo di diverso valore.
Studiare queste figure ci porterebbe ad una comprensione più profonda della stessa storia civile e ad illuminare meglio quel crogiuolo creativo che è stata Reggio nel secolo passato, così segnata da quelle “due chiese” – per usare il linguaggio di Montanelli – che sono state la cattolica e la comunista, due chiese che hanno sempre pensato se stesse avendo l’altra nello sguardo.
Ora tutto questo sembra superato. Ma non abbiamo bisogno ancora di quella passione?
Tra le tante figure di sacerdoti, nel libro presentato questa mattina spiccano in modo particolare tre nomi: Dossetti, Prandi e Torreggiani. La “biografia” di quest’ultimo è appunto il volume di cui si parla, opera di un lavoro ventennale del prof. Spreafico, a cui va la gratitudine non solo dei figli spirituali e degli amici di don Torreggiani, ma anche della Chiesa reggiana e – penso – di tanti che sono entrati nel raggio luminoso dell’opera multiforme e sempre drammaticamente nuova del fondatore dei Servi della Chiesa.
Spiegare che cosa ha accomunato e distinto queste tre figure è compito degli storici, un compito non facile, ma penso affascinante. D’altra parte sono ancora vivi ed operanti coloro che li hanno conosciuti e molti potrebbero con utilità aiutarci a rispondere a questa domanda.
Forse proprio ciò che li accomuna è anche ciò che li distingue: una radicalità nella vita, l’inesausta ricerca di un radicalismo cristiano inteso da ciascuno in modo proprio e originale.
Ho cominciato così a dire ciò che mi ha innanzitutto colpito nelle pagine di Spreafico, nelle parole e nelle scelte di don Dino: la ricerca di una frontiera ultima di santità, di totalità, di integralità, che si andava sempre spostando in avanti, in una sete insaziabile di identificazione con i poveri e con gli emarginati.
È difficile, proprio per questo, dire che cosa abbia caratterizzato la sua vita. Egli è stato l’iniziatore di molte intraprese, da cui mano a mano si staccava per un movimento interiore che lo portava a nuovi, più profondi orizzonti.
Da questo punto di vista, don Dino è stato innanzitutto e soprattutto un padre spirituale, un sacerdote che ha voluto legare la consacrazione sacramentale ai voti, quasi a cercare le strade per una più viva identificazione a Cristo. C’è in lui una fusione originale tra tradizione e ricerca di vie nuove per raggiungere gli ultimi che rende difficile, come ho detto, stringere in una sintesi la sua figura.
Torreggiani è stato certamente un uomo di grande preghiera, un uomo in cui «prima della povertà e dell’umiltà, veniva la preghiera, l’adorazione e il silenzio», come ebbe a dire mons. Baroni nel decennale della sua morte. Un uomo di inesausta ricerca della santità. Un’anima tormentata che ha dovuto molto soffrire. Proprio per questo soltanto uno studio approfondito dei suoi scritti potrà aiutarci ad aprire un poco il velo che copre inevitabilmente l’interiorità di una vita sacerdotale così ricca. «È bello morire stroncati dalla fatica – scriverà alla fine della sua vita – e l’ultimo a tacere sarà forse questo mio cuore sacerdotale».
Don Dino è stato un uomo obbediente: ha obbedito a ciò che lo Spirito gli suggeriva – o sembrava suggerire – in ogni tempo della vita, obbediva ai vescovi e ai papi che si sono succeduti da Pio XII a Giovanni Paolo II, da mons. Brettoni a mons. Baroni.
Anche questo tratto, del legame di don Dino con la sua Chiesa, coniugata con l’aperura missionaria dell’Istituto da lui fondato e presto diffusosi più all’estero che in Italia e a Reggio, è emblematico della sua figura: l’appartenenza alla “sua Chiesa” particolare apre in lui orizzonti universali. Scrive a tal proposito: «Siamo Servi della Chiesa, al suo trionfo totalmente consacrati; ma la Chiesa è il Papa, è l’episcopato, è tutto il corpo mistico di Gesù che a Roma ha il suo centro, il suo cuore».
Mi auguro questo libro possa contribuire a far conoscere e studiare la grande figura di don Dino Torreggiani. E Dio voglia che il suo esempio di appassionata vita sacerdotale accenda ancora oggi l’animo di tanti giovani chiamati a illuminare in forme nuove la nostra Chiesa.