Omelia per la solennità del Corpus Domini
- Reggio Emilia, Cattedrale
19.06.2014
Cari fratelli e sorelle,
la solennità che oggi celebriamo attira l’attenzione del nostro cuore sul mistero più grande e più confortante del cristianesimo. L’Eucarestia è infatti la donazione estrema di Gesù ad ognuno di noi, la sua resurrezione che ci raggiunge in ogni tempo e in ogni spazio.
Nella celebrazione della santa Messa sono contenute tutte le forme principali della presenza di Cristo nel mondo. Innanzitutto la Chiesa, l’assemblea riunita dallo Spirito del Signore per celebrare i santi misteri intorno al suo pastore. Tutta la celebrazione eucaristica è tesa alla generazione del Corpo di Cristo. Gesù è poi presente nella persona del ministro che presiede la comunità. È presente nella sua Parola che viene proclamata durante la liturgia. Ma soprattutto è presente nel suo Corpo e nel suo Sangue. Quest’ultima forma della presenza di Cristo ha una rilevanza unica. Nell’Eucarestia, infatti, Cristo è presente interamente, come uomo e come Dio, tanto che a proposito delle specie del pane e del vino si parla di “presenza reale”. «Reale – afferma Paolo VI nell’enciclica Mysterium fidei – non per esclusione, come se le altre non fossero tali, ma per antonomasia» (Paolo VI, Mysterium fidei, 57). Nulla è dunque paragonabile alla celebrazione della santa Messa. Nessuna riflessione umana, per quanto illuminata, può essere strada di salvezza come l’Eucarestia. Da quest’ultima riceve luce ogni meditazione e ogni atto di preghiera. Proprio per questo occorre che facciamo tutto quanto è possibile perché a tutti sia dato di partecipare ai santi misteri, almeno ogni domenica.
Se noi avessimo una coscienza meno distratta di cosa, o meglio, di chi sia l’Eucarestia, tutta la nostra vita sarebbe segnata da una gratitudine e da uno stupore continui. Non perderemmo occasione di fermarci davanti ad esso per chiedere la compagnia di Gesù, per offrire la nostra vita, per ringraziare, per chiedere luce e conforto. Questa coscienza ci farebbe circondare i tabernacoli delle nostre chiese di grande decoro e onore.
Il mondo ci abitua a concentrare la nostra attenzione su ciò che è secondario e a distoglierla da ciò che invece è essenziale. Tutta la bellezza delle nostre chiese, per non dire tutta la storia dell’arte occidentale, ha avuto e ha tuttora il suo centro propulsore nella presenza reale di Gesù Cristo nell’Eucarestia. È la preziosità di questa presenza che nei secoli ha provocato la creatività del popolo cristiano. Tanti artisti hanno messo a disposizione di questo mistero la loro arte: orafi, pittori, scultori, intagliatori, architetti, tessitori. Dalla consapevolezza della centralità della Messa sono nate le cattedrali, le vesti liturgiche, i vasi sacri. E tutto ciò era ed è segno dell’amore e della gratitudine del popolo per il suo Signore, presente in mezzo alle nostre povere case. Non dobbiamo mai separare quanto è nato dall’amore per Dio da Dio stesso. Non ne comprenderemmo più il valore. Tutta questa bellezza e questa cura, separate dallo slancio d’amore che le hanno generate, ci potrebbero apparirci eccessive. Oppure attirerebbero in modo sbagliato la nostra attenzione trasformandoci in cultori delle vesti, dell’arte, dei formalismi.
I santi possono insegnarci la strada giusta. Mi commuove pensare a come san Francesco e santa Chiara, che avevano scoperto nella povertà estrema una strada privilegiata di sequela di Gesù, desideravano che il Santissimo Sacramento fosse custodito in vasi preziosi e circondato dai segni della regalità. Vestivano un ruvido sacco, ma si adoperavano perché le vesti dei sacerdoti che celebravano l’Eucarestia fossero luminose, preziose, capaci di esprimere la regalità di Colui che avevano tra le mani. Ancora oggi, nella cripta di santa Chiara, ad Assisi, è possibile ammirare un camice sacerdotale, cucito da Chiara stessa, la cui bellezza risalta ancor di più poiché è posto accanto al povero vestito della santa. E san Francesco, che ha fatto della liturgia il centro della sua vita – tanto da aver diffuso in tutto il mondo la liturgia della curia papale che egli aveva adottato per i suoi frati –, scrive: «Badiamo, quanti siamo chierici, di evitare il grande peccato e l’ignoranza che certi hanno riguardo al santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo, ai santissimi nomi e alle parole di lui scritte, che consacrano il corpo […]. Niente infatti abbiamo e vediamo corporalmente in questo mondo dello stesso Altissimo, se non il corpo e il sangue, i nomi e le parole mediante le quali fummo creati e redenti da morte a vita» (1Lch 3, FF 207. Cfr. anche: 2Test 12, FF 113).
Cari fratelli e sorelle, impariamo dai santi a stare di fronte al mistero eucaristico. Essi ci insegnano che l’Eucarestia è la prosecuzione dell’incarnazione, la realizzazione più alta della promessa di Gesù: Io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine del mondo (Mt 28, 20).
Egli ci aspetta sempre in ogni chiesa dove il suo corpo è custodito. Ci aspetta per donarci il suo ristoro, per ascoltare le nostre pene e parlare al nostro cuore. Ci aspetta per insegnarci l’umiltà e la povertà vera. Ci aspetta per nutrire il nostro corpo e il nostro spirito, donandoci la sua vita e il suo cuore. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui, ci ha ricordato Gesù nel Vangelo (Gv 6, 56).
Desidero qui esprimere una parola di gioia e di approvazione per tutti i luoghi in cui nella nostra Diocesi si vive l’adorazione eucaristica. Sono certo che questi centri di preghiera silenziosa e adorante sono anche luoghi di rinascita della fede, della speranza e della carità. Luoghi di rigenerazione del cuore e della mente nell’abbraccio di Gesù misericordioso.
Preghiamo allora, in questa santa Messa, con le parole stesse che la liturgia ci mette sulle labbra: Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.
Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi (Sequenza del Corpus Domini).
Amen.