Omelia nell’Azione liturgica in passione Domini
- Reggio Emilia, Basilica di San Prospero
18.04.2014
Cari fratelli e sorelle,
nel giorno solenne in cui la Chiesa ci invita a fare memoria della passione e morte di Gesù le nostre parole devono tacere. I nostri occhi e il nostro cuore sono rivolti al Crocifisso. Egli si è caricato delle nostre sofferenze,
si è addossato i nostri dolori;
e noi lo giudicavamo castigato,
percosso da Dio e umiliato.
Egli è stato trafitto per le nostre colpe,
schiacciato per le nostre iniquità.
Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui;
per le sue piaghe noi siamo stati guariti (Is 53,4-5). Non è il tempo dei ragionamenti, delle analisi, dei calcoli. Si compie l’atto supremo dell’amore, l’atto glorioso della nostra salvezza. Non è possibile ignorare la violenza, il sangue e la morte ignominiosa a cui Gesù si è volontariamente sottoposto per salvarci. Eppure la sua passione è luminosa, poiché, come dice Pietro riprendendo il profeta Isaia: grazie alle sue piaghe noi siamo stati fatti nuovi (cfr. 1Pt 2,25). Dalla passione di Cristo si dipana sul mondo intero la luce della sua carità. Soprattutto nel vangelo di Giovanni, che abbiamo appena ascoltato, la croce appare come il trono regale da cui Cristo regna.
Ci ha amati sino alla fine (cfr. Gv 13,1). Ci ha amati, cioè, per sempre. Niente ha potuto fermare il suo amore. Per questo la croce ci è cara, per questo è gloriosa: essa è il segno luminoso dell’irriducibilità dell’amore di Dio per noi, per ognuno di noi. Della sua “follia” d’amore. Chi potrà separarci ormai da lui? Non i nostri peccati, il nostro male, la nostra sofferenza. Tutto ciò non è un’obiezione per Dio.
Gesù crocifisso sconvolge i criteri mondani che spesso abitano non solo la nostra vita, ma anche il nostro rapporto con Dio. Noi pensiamo di dover meritare il suo amore. Di doverne essere all’altezza. E invece la croce ci svela la gratuità assoluta di Dio. Egli ci invita ad alzare lo sguardo da noi stessi – dai nostri limiti, da quello che siamo capaci di fare – e a rivolgerlo a Cristo per lasciarci abbracciare da lui. Dalla croce sgorga una vita nuova, una nuova creazione fondata nella certezza di essere amati oltre ogni nostro merito.
Nasce così in noi il desiderio di rispondere a questo amore. Un amore che ci ha preceduti e ci supera continuamente. Che continuamente ci sorprende e ci commuove. Ma come potremmo noi rispondere a tanto amore? Come esprimere la nostra gratitudine? Sarebbe impossibile se Gesù stesso non ci venisse incontro donandoci il suo Spirito. Troppo grande la sproporzione tra noi e lui. Tra il nostro amore meschino e la sua infinita compassione.
È Dio stesso che, incarnandosi, ha colmato definitivamente questa sproporzione. Potremmo dire che l’ha quasi invertita. Si è fatto debole, bisognoso, mendicante. Così, dalla croce, ci ha insegnato la strada del nostro ritorno a lui: Ho sete, dice. Ha sete del nostro amore, dalla nostra attenzione, della nostra gioia. Ha sete dei nostri cuori.
Tutta la storia della Chiesa consiste, nella sua essenza, nel dialogo tra questa sete di Gesù e il desiderio da parte di tanti uomini e tante donne di rispondere a lui. È la storia dei santi. Di coloro che lo hanno seguito e lo seguono testimoniando nel mondo la sua carità.
Cristo ha bisogno, oggi come agli inizi della Chiesa, di persone che si lascino amare da lui e che siano pronte a seguirlo, fino al martirio se fosse necessario.
Come ho avuto modo di notare a proposito del martirio di Rolando Rivi, la Chiesa ha sempre rappresentato e continua a rappresentare una pietra di scandalo per il mondo. In essa c’è qualcosa di non assimilabile alla mentalità mondana, e ciò costituisce una minaccia perenne per il potere. Ognuno di noi è testimone di quanto costi, nella nostra società “libera”, dare testimonianza a Cristo nella scuola, nel lavoro, in famiglia, nelle scelte della vita quotidiana. I
l secolo scorso è stato il secolo dei martiri. Giovanni Paolo II, che tra qualche giorno venereremo come santo, ne ha elevati agli onori degli altari 286. E sono solo una minima parte delle innumerevoli schiere di cristiani che in Cina e in Africa, sotto il regime comunista o nazista, durante la persecuzione messicana e quella spagnola, hanno testimoniato con il sangue la loro appartenenza alla Chiesa.
Viviamo in un tempo in cui la testimonianza a Cristo ha assunto un’urgenza enorme. Nella nostra Italia e in Europa non ci sono più le persecuzioni violente che i cristiani hanno subito nel Novecento, soprattutto sotto i regimi totalitari. Eppure la persecuzione è oggi ancora più subdola e pericolosa. Riguarda la cultura, la concezione dell’uomo e della donna, la famiglia, l’educazione delle nuove generazioni.
Non possiamo rimanere indifferenti di fronte alle sfide del mondo contemporaneo. Ci è stato consegnato un tesoro prezioso. Come dice papa Francesco: non lasciamocelo rubare! Cristo ci ha svelato in modo definitivo chi è l’uomo, che cosa c’è nel suo cuore. Ce lo ha mostrato nella sua vita: ecce homo. È dalla considerazione della sua umanità che si è affermata, nella nostra Europa, quella cultura della vita, dell’uomo, della famiglia, dell’educazione, della vita sociale che ha fatto grande la nostra terra e che oggi è messa in discussione. Siamo chiamati a dare una testimonianza, serena e coraggiosa assieme, della bellezza e della grandezza dell’esistenza che vive nell’umanesimo cristiano.
Il mondo ha bisogno di Gesù, anche se non lo sa! Tutti noi abbiamo una responsabilità enorme. Non lasciamoci scoraggiare. Chiediamo a Dio la forza di una testimonianza efficace, gioiosa, intelligente. Chiediamolo oggi a Gesù Crocifisso. Chiediamoglielo con le parole del Salmo che abbiamo poc’anzi proclamato, parole umili, di fiducia e di speranza: In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso… Sul tuo servo fa’ splendere il tuo volto,
salvami per la tua misericordia.
Siate forti, rendete saldo il vostro cuore,
voi tutti che sperate nel Signore.
Amen.