Omelia nella XXVI domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
- Gustalla, Cattedrale
28.09.2014
Cari fratelli e sorelle,
non ho voluto mancare a questa occasione. Non si tratta ancora della riapertura definitiva della nostra Cattedrale, ma di una tappa significativa verso di essa. Non ho poluto perciò esimermi dall’impegno di venire in mezzo a voi e celebrare qui per la prima volta la messa, nella Cattedrale di Guastalla, da quando sono stato nominato vostro vescovo. Ricorre domani il secondo anniversario della mia nomina. Vi chiedo perciò di pregare per me, perché sia sempre un fedele e appassionato servitore della volontà di Gesù, pastore in mezzo a voi. Sapendo che qui è stato san Carlo, che ha consacrato questa Chiesa, madre della nostra diocesi. Che qui ha presieduto la liturgia il beato cardinal Ferrari, nei sei mesi trascorsi in mezzo a voi, chiedo al Signore la grazia di poter godere almeno un raggio della santità di questi grandi maestri e padri.
La lettera di san Paolo ai Filippesi, che abbiamo ascoltato questa mattina, ci spiega da dove trae origine la cattedrale: dalla volontà di Dio di mandare Suo Figlio in mezzo a noi, assumendo in tutto e per tutto la condizione umana. Dio si fa uomo per essere vicino a noi, per raggiungerci attraverso le occasioni quotidiane della vita. Questo è il senso della Cattedrale. Il cardinale Giovanni Colombo, che ho avuto modo nella mia vita di conoscere e ammirare, nella sua omelia pronunciata in questa chiesa il 22 giugno 1975 per il IV centenario della sua dedicazione, disse: «La Cattedrale è il luogo dell’appuntamento tra il Padre che sta nei cieli e i suoi figli pellegrini sulla terra, dove questi portano i loro bisogni e Dio reca i suoi misericordiosi esaudimenti». «La Cattedrale è il cuore da cui fluisce e cui rifluisce la storia di un popolo. Chi può dire tutte le vicende pubbliche e private, religiose e civiche, intime ed esteriori, che trassero ispirazione, forza e meta dalla Cattedrale? Chi può narrare le ansie e le angosce che sgorgarono dal cuore dei vostri padri e dei vostri avi e da questi altari salirono al cielo? Chi può raccontare le consolazioni e le speranze che dal cielo discesero nell’animo dei vostri antenati e infusero loro la forza per andare incontro alle ore liete e a quelle tristi, così da non insuperbire nel successo e da non disperare nelle sconfitte? La certezza che Dio è con il suo popolo, che ha posto la sua dimora tra le nostre case, che dialoga con gli uomini come con amici, che ci accompagna sulle vie del mondo verso la patria, che ci offre la capacità di essere quello che vogliamo e dobbiamo essere, cioè, interamente e semplicemente noi stessi: questo è il senso religioso della Cattedrale».
San Paolo dice che Gesù si è fatto obbediente fino alla morte e per questo Dio lo ha esaltato. Nella Cattedrale splende il cuore del cristianesimo, la morte e la resurrezione di Gesù. Ogni celebrazione eucaristica presieduta qui dal Vescovo e dai sacerdoti da lui inviati nei mille angoli della Chiesa, è morte e resurrezione di Cristo, è possibilità per tutti noi di partecipare a tale evento e di ritrovare la nostra vita rinnovata.
Qui impariamo, sempre per usare le parole di Paolo, cosa sia la consolazione, il conforto, la comunione di spirito, i sentimenti di amore e di compassione, la gioia, l’unanimità e la concordia, tutto ciò di cui il mondo e noi stessi abbiamo sommamente bisogno. Ma questa possibilità di conversione del cuore è data dal radicamento in Cristo. Qui, nel confessionale e nell’Eucarestia, ogni uomo e ogni donna può ritrovare il perdono e, in esso, la nascita di nuovi rapporti nella propria famiglia e nella società. Sradicando Cristo dalle coscienze, cancellando le tracce di Dio dal mondo, rendiamo sempre più lontana la pace e il progresso, e sempre più difficile la convivenza tra gli uomini.
Sempre il cardinal Colombo diceva nell’occasione ricordata: «Vi confido, fratelli, che una società senza Cristo mi spaventa, perché non è mai soltanto una società acristiana, ma finisce sempre per diventare una società disumana. Respinto Cristo, Dio diventa una concezione inverificabile. Se non c’è più un padre di tutti, non ci sono più fratelli. Se non ci sono più fratelli, allora gli uomini non sono più impegnati a volersi e a farsi del bene, cioè a vivere da uomini; allora è fatale che essi, in preda ai peggiori egoismi, si lascino andare a diventare lupi gli uni per gli altri».
Vi confesso fratelli il mio sogno: tutto il lavoro che si sta facendo in Diocesi per la ricostruzione delle chiese segnate dal terremoto sia come una grande metafora, un grande stimolo alla costruzione della Chiesa fatta di pietre vive cioè di uomini e donne. A tutto il lavoro di rinnovamento esteriore corrisponda una rinascita della vita ecclesiale nel cuore dei credenti, una riscoperta della bellezza del battesimo, del nostro radicamento in Cristo Gesù che come auspica Papa Francesco ci renda autenticamente missionari, in grado di andare verso gli uomini per testimoniare loro la Grazia della vita cristiana. Chiediamo al Signore dunque che il rinnovamento delle pietre non avvenga invano. Abbiamo costruito molto, forse troppo, negli ultimi 50 anni. Certamente tutte queste costruzioni sono nate da un desiderio sano di realizzare una casa per Dio e per gli uomini. Ora non dobbiamo perdere di vista lo scopo delle nostre costruzioni che esse servano al rinnovamento del popolo di Dio e diventino segno della Sua presenza in mezzo agli uomini e anticipo della Gerusalemme celeste.