Omelia nella santa Messa per il passaggio da Reggio dell’urna contenente reliquie di san Giovanni Bosco
- Reggio Emilia, Cattedrale
22.02.2014
Cari fratelli e sorelle,
cari amici, cari giovani che siete venuti così numerosi per venerare san Giovanni Bosco,
il passaggio dell’urna che contiene le sue spoglie mortali è un’occasione di gioia e di festa per tutta la nostra Diocesi. Ma soprattutto è un’occasione per riflettere assieme sulla vita e sull’opera di questo grande figlio della Chiesa.
Diverse sono le prospettive attraverso cui potremmo considerare la sua figura, tante le cose che potremmo dire sulla sua fede, sulle opere da lui nate, sul carisma particolare e fecondo che lo Spirito di Dio gli ha donato e che continua a fiorire ancora oggi in tutto il mondo.
Ma ciò che mi sembra più interessante, per noi questa sera, è andare al cuore della sua testimonianza e riflettere su ciò attorno a cui tutta la sua figura si raccoglie: l’educazione dei giovani. Qual è il segreto dell’attrattiva così forte che don Bosco esercitava su centinaia e centinaia di ragazzi, provenienti quasi sempre dalla strada? Che cosa li attirava in lui? Quale percorso il sacerdote di Torino tracciava davanti alle loro giovani esistenze?
Vorrei provare a riassumere in poche parole il genio educativo di don Bosco. Tre mi sembrano i fondamenti della sua opera di padre: la chiarezza della sua vocazione, l’amore fiducioso alla Chiesa e il coraggio di una proposta globale, totale, fatta ai ragazzi.
La chiarezza della vocazione e l’amore alla Chiesa
Don Bosco vive in un momento storico non meno travagliato del nostro. Anzi, dal punto di vista politico, sociale e culturale, forse più difficile. Basti pensare che la sua vita attraversa i duri anni dei moti risorgimentali, delle agitazioni provocate da continue rivoluzioni e restaurazioni. La stessa fede della Chiesa deve affrontare sfide nuove e inaspettate, che riflettono nel panorama italiano gli attacchi che il cristianesimo aveva iniziato a subire con l’Illuminismo (la rivoluzione francese risale a solo trent’anni prima). I seminari si svuotano e nel 1855 la legge Rattazzi sancisce la soppressione degli ordini religiosi. Dal punto di vista culturale il suo è il tempo di Feuerbach, di Marx, di Darwin…
In questo contesto ancor più straordinaria ci appare la statura di don Bosco. La stima di cui era circondato anche da parte dei più convinti detrattori della Chiesa. L’intelligenza con cui seppe far sorgere nuove congregazioni, proprio mentre tutte le altre venivano soppresse e, cosa abbastanza paradossale, proprio con l’aiuto di Rattazzi.
Molti, anche giovani sacerdoti come lui, iniziarono un’opera simile alla sua, raccogliendo intorno a sé, per carità cristiana, tanti ragazzi altrimenti destinati a diventare dei disperati. Ma quasi nessuno di quei sacerdoti riuscì a resistere alle seduzioni della rivoluzione sociale che “politicizzava” tutto, e così, assieme ai loro ragazzi, si lasciarono trascinare da una visione politica della vita, finendo per essere inglobati in quel sistema contro il quale volevano combattere.
In don Bosco tutto ciò non ha alcuna presa. Il suo cuore è raccolto attorno ad un’unica certezza: Gesù è la risposta vera che ogni uomo cerca per la sua vita. E questo vale anche per i ragazzi che ancora non lo sanno. Questa certezza nasceva in lui dalla sua esperienza di fede, dal suo rapporto personale e fiducioso con Dio. Proprio per questo era libero da ogni compromissione con il potere. La libertà nasceva in lui dalla fedeltà alla vocazione, dalla certezza della fede: ubi fides, ibi libertas.
La libertà che don Bosco viveva, alimentata da un indomito struggimento per il bene dei suoi ragazzi, era in lui anche fonte di creatività. Dio è sempre nuovo e sempre nuove sono le strade che ogni epoca è chiamata a percorrere per seguirlo. Questa coscienza, che si nutriva anche di una sapiente considerazione della storia della Chiesa, lo rendeva audace nel proporre forme “alternative” di vita cristiana. I parroci di Torino non capivano tutto questo e accusavano don Bosco di portare via i giovani dalle parrocchie. In loro prevaleva spesso l’attaccamento ad una forma tradizionale rispetto all’urgenza di far incontrare Cristo ai ragazzi. Non capivano che l’oratorio di don Bosco non era innanzitutto una struttura che si poneva in alternativa ad altre strutture, ma una vita.
San Giovanni Bosco non ha mai perso troppo tempo nel considerare le critiche che gli venivano rivolte. Neppure quelle di chi gli rimproverava di far affezionare i ragazzi alla sua persona. Non temeva questo poiché sapeva bene che egli era totalmente relativo a Gesù. Ma Gesù si voleva servire di lui per essere vicino a quei giovani. Il cristianesimo è sempre un evento personale e don Bosco ce lo insegna in modo luminoso. Il bene dei suoi ragazzi, la sua confidenza in Dio, assieme ad un’obbedienza lieta al suo vescovo, erano per lui fonte di pace e alimento della sua opera.
Egli era “l’uomo della fede” e della provvidenza, come presto venne chiamato da coloro che con ammirazione guardavano i frutti della sua opera. Un “prete pazzo”, secondo gli altri, un “sempliciotto” che non capiva la necessità di assumere una posizione politica.
Occorre stare con il papa: questo era il suo unico criterio in campo politico. Un criterio semplicistico, secondo le accuse di alcuni. Alienante, secondo altri. In realtà era il segreto della sua libertà dal potere. In un’epoca in cui persino gli anticlericali, animati dalla speranza di un papa liberale, gridavano “Viva Pio IX!”, don Bosco insegnava ai suoi ragazzi che era più giusto gridare “Viva il Papa!”. Ciò che più gli interessava era far crescere in loro l’amore alla Chiesa. Ma solo raramente lo esplicitava. Il più delle volte era il suo esempio a educare i giovani che sempre più numerosi lo seguivano e imparavano ad amare la Chiesa.
Una proposta globale
Il cuore del metodo educativo di don Bosco si può riassumere nell’intuizione che il cristianesimo è una vita e non qualcosa che si aggiunge ad essa. Proprio per questo era convinto che non sono innanzitutto le regole ad educare, né l’indottrinamento, né la proposta di alcuni momenti “spirituali” che si pongano accanto all’esperienza di ogni giorno
. Per educare veramente i giovani occorre vivere con loro, far loro vedere, dall’interno della vita stessa, la convenienza umana del seguire Gesù. Nessun aspetto della vita era censurato nell’avventura che i ragazzi vivevano con quel sacerdote. Assieme mangiavano, studiavano, si divertivano, si impegnavano in opere di carità. Costruivano laboratori, scuole, tipografie. Tutta una vita fioriva attorno a loro, a partire dalle esigenze concrete che essi stessi avevano.
In tutto questo don Bosco non dimenticava mai – come purtroppo oggi molto spesso accade – che ciò che di più caro aveva da comunicare a quei ragazzi era Gesù Cristo. E il primo modo in cui lo comunicava era la sua stessa esistenza. Erano la sua testimonianza, la sua fede rocciosa, la sua fiducia nella provvidenza ad affascinare quei ragazzi.
Pur vivendo assieme a loro, egli sapeva che non poteva confondersi con loro. Doveva condurli. Ma per condurli occorreva armarsi di pazienza, aspettare i tempi di ognuno, essere liberi da misure e calcoli. Attraverso le esperienze quotidiane che viveva con loro, don Bosco sfidava la loro libertà, correggeva e incoraggiava. E loro si sentivano innanzitutto voluti bene. Capivano che in mezzo a loro c’era un padre da guardare e da seguire. Egli non aveva un progetto su di loro, non voleva inglobarli in una struttura, non aveva il problema del successo della sua opera pastorale. Tutto nasceva in lui dalla gratitudine per la sua vocazione e dal desiderio che anche altri potessero incontrare ciò che lui aveva incontrato. E i ragazzi si accorgevano di questo. Avevano davanti a loro un uomo vero, realizzato, libero.
Un uomo che, proprio per questo, aveva a cuore la loro felicità. Era questa la ragione, spesso inconsapevole, per la quale lo seguivano: egli sapeva dove e come condurli, conosceva la strada.
Anche oggi, cari fratelli e sorelle, ciò di cui hanno bisogno i nostri giovani non sono strategie pastorali, organizzazione di eventi, comunicazione di dottrine o teorie. Essi hanno bisogno di incontrare uomini e donne afferrati totalmente da Cristo, che li aiutino a scoprirlo nel cuore della loro stessa vita, a scuola, in università, nel lavoro. Nel modo di utilizzare il tempo libero, nell’esperienza dell’amore, nei drammi che a volte devono attraversare. Padri e madri che conoscano la strada e la sappiano indicare con fermezza e misericordia assieme.
Questo era don Bosco per i suoi ragazzi. Questo è chiamato ad essere ognuno di noi per le persone che gli sono affidate.
Chiediamo a san Giovanni Bosco la grazia della sua stessa libertà nel seguire il Signore, la sua passione educativa nel prenderci cura dei giovani, la sua stessa pace nel consegnare a Dio i frutti della nostra vita.
Amen.
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