Omelia nella IV domenica di Quaresima (benedizione della nuova chiesa di Baragalla)
- Baragalla, Parrocchia del Sacro Cuore, 10 marzo 2013
10.03.2013
Cari fratelli e sorelle,
ringrazio Dio che mi dà l’opportunità di incontrarvi e di benedire questa chiesa – che d’ora in poi, vi vedrà radunati per la celebrazione eucaristica e per tanti altri importanti appuntamenti della vostra vita – in questo giorno del figliol prodigo. Preferisco leggere questo vangelo attraverso lo sguardo del Padre e chiamarlo “Vangelo del Padre misericordioso”. È lui il vero protagonista di questa vicenda e noi diventiamo protagonisti soltanto se entriamo dentro la sua azione, se entriamo dentro il suo cammino verso di noi.
Saluto con affetto il parroco, don Luciano Pirondini, e i suoi collaboratori, in particolare don Emilio Perin, sempre pronto a servire le necessità della Parrocchia.
Saluto e ringrazio per il loro lavoro attento e paziente l’architetto, dott. Raffin, e il direttore dei lavori, dott. Montanari assieme ai loro collaboratori. Il dott. Panizzi, il dott. Ferrarini, l’artista Massimo Poldelmengo, i geometri e le maestranze dell’Impresa Teca: i dottori Fieni, Lusenti, Manzini, Maffei e Mantegazza. Ringrazio tutti gli ingegneri progettisti, i consulenti e tutti coloro che, a diverso titolo, con la loro professionalità e dedizione hanno collaborato alla costruzione di questo tempio.
Il vangelo dell’amore misericordioso è il vangelo centrale di tutto il cristianesimo. Misericordia: dobbiamo capire bene che cosa sia questa esperienza, da non confondere con un semplice umanesimo o, peggio ancora, con una considerazione della vita in cui è assente l’amore per la verità, dove bene e male non si distinguono più.
L’amore misericordioso è innanzitutto Dio e la sua opera. Noi siamo i figli di questo Padre. Il Padre ci ama, ci tiene nella sua casa dove ci rende partecipi di tutti i suoi beni. Questa è la sua principale caratteristica: ciò che è mio è anche tuo. Ciò è vero innanzitutto nei confronti del Figlio unigenito. Il Padre da sempre dona tutto se stesso al Figlio e il Figlio lo riama donando tutto se stesso al Padre. È soltanto in questo dialogo eterno che possiamo comprendere qualcosa della creazione del mondo e della passione, morte e resurrezione di Gesù. Egli ha mandato il Figlio nel mondo perché anche noi potessimo diventare figli, perché anche per noi fosse vero ciò che egli ha vissuto con il suo Unigenito, perché tutto il suo essere potesse diventare nostro, tutta la sua vita nostra.
Ma egli non fa piovere su di noi i suoi doni come su un mondo inerte, passivo, solamente ricettivo. Egli vuole la nostra collaborazione, la collaborazione della nostra libertà. Per questo accetta il rischio del figlio che vuole partire. Gli dà la sua parte di eredità e lascia che si allontani dalla casa. Conosce bene i pericoli che il figlio può incontrare, ma non lo trattiene: sa che ciò che ha vissuto col padre è sufficiente per alimentare il suo cuore e la sua mente, sa anche che se egli non si incontra con la realtà della vita quotidiana, con i suoi problemi, con le sue sfide, con le sue difficoltà, ciò che ha vissuto con lui non sarà mai veramente un suo personale convincimento e godimento. Dio vuole che abbiamo a incontrarlo come persone che incontrano una persona. Non ha paura della nostra libertà, non ha paura dei nostri errori, anche dei nostri peccati, dei nostri rifiuti. Egli sa che proprio in fondo ai nostri errori e ai nostri rifiuti possiamo vedere ancora Lui e possiamo iniziare il cammino del ritorno.
Ciò che mi colpisce, nella vicenda del figliol prodigo, non è tanto la sua esperienza di dissipazione ma, all’opposto, il fatto che la memoria del padre non lo abbia mai abbandonato. Nel fondo del suo cuore c’è il padre. E proprio nel momento in cui si sente abbandonato da tutti, in cui è diventato come una bestia – costretto a cibarsi dello stesso cibo degli animali, anzi, a non avere neppure quello – si alzò e andò da suo padre. La libertà è certamente anche la decisione di allontanarci da casa, per far nostro, verificare, vagliare tutto quello che abbiamo ricevuto, ma libertà è soprattutto e più ancora riconoscere i legami d’amore che ci costituiscono, i legami affettivi profondi che fanno di noi una persona in rapporto fecondo, ricettivo e oblativo con altre persone. Per questo si alzò e tornò da suo padre: perché sentiva dentro di sé che la presenza del padre lo costituiva.
Cari fratelli e sorelle,
oggi noi benediciamo questa chiesa, una chiesa nuova, grande, bella, che è stata lungamente voluta, anzi, sognata, anche come centro di un’attività pastorale che comprende diverse parrocchie e diverse chiese. Dio vuole stabilire la sua casa tra di noi non perché rimaniamo chiusi in essa, ma per mandarci nel mondo. Noi sappiamo che dovunque è la sua casa, ma sappiamo anche che per imparare a riconoscerlo dovunque dobbiamo cominciare a riconoscerlo qui, a riconoscerci tra di noi. Noi siamo la sua casa, la sua Chiesa, alimentata dalla sua parola e dall’eucarestia.
Quando tra qualche mese avremo la possibilità di consacrare questa chiesa, vedremo ritornare continuamente, nella liturgia della consacrazione, l’immagine splendida della Gerusalemme celeste che scende sulla terra: la Chiesa. Essa è adorna di tutti i doni di Cristo e di tutti i nostri doni. Accade a noi ciò che accade ai figli del Padre della parabola. La Chiesa, come afferma san Paolo (cfr. 1Cor, 12), è ricca di tutti i nostri carismi, carismi diversi, che tutti devono essere accolti, vagliati e valorizzati per la costruzione della comunità.
Vorrei che in questa giornata del Padre misericordioso vi sentiste partecipi di tutta la Chiesa universale che prega per l’elezione del nuovo Papa, vi sentiste partecipi della Chiesa diocesana e in particolare sosteniate l’opera del Vescovo con la vostra preghiera, con il vostro consiglio e il vostro aiuto. Vi sentiste partecipi della sollecitudine pastorale del vostro parroco e dei sacerdoti che qui con lui lavorano. Questa casa di Dio fra gli uomini possa veramente essere e diventare sempre di più un luogo di comunione vissuta, di quella comunione che nasce dal battesimo che ci fa una sola cosa in Cristo (cfr. Ef 4,1-6), che è alimentata dai sacramenti della Penitenza e dell’Eucarestia e vive attraverso tutte le diverse vocazioni, religiose e laicali, che cerca di esprimere nella carità il fascino della fede, così che gli uomini possano realmente, come ha detto Gesù, raccogliersi all’ombra di questo albero (cfr. Mc 4,32), possano trovare qui, in questa vostra casa, anche la loro casa e camminare con voi verso il Padre che tutti ci attende.
Amen.