Omelia nella IV domenica di Pasqua in occasione delle ordinazioni diaconali di Armando Caramaschi, Matteo Galaverni, Domenico Reverberi e Armin Eshaghpoor Goktape
- Reggio Emilia, Cattedrale
11.05.2014
Cari fratelli e sorelle,
la liturgia della Chiesa è ancora attraversata dalla luce della Pasqua. Abbiamo ascoltato, negli Atti degli Apostoli, Pietro che solennemente, alzatosi in piedi e a voce alta, il giorno di Pentecoste ha espresso, come davanti a tutto il mondo e per tutti i secoli futuri, l’annuncio che fonda la nostra speranza e la nostra fede: …Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso.
Gesù di Nazareth, che abbiamo imparato a conoscere e a seguire lungo i misteri dell’anno liturgico, che ci ha affascinato per la sua umanità, per la profondità delle sue parole, per la conoscenza dell’animo dell’uomo, ha accettato volontariamente di subire la passione e di morire per noi. In questo modo ha sconfitto dall’interno la potenza del male e della morte e ha donato a noi la vita. Per questo è stato costituito, da Dio, Signore, capo di tutta la creazione, primogenito dei salvati. È Cristo, Unto di Dio, il Messia atteso nei secoli e ora manifestatosi come salvatore amante della vita e degli uomini.
Il brano della lettera dell’apostolo Pietro, che abbiamo poi ascoltato nella seconda lettura, approfondisce i tratti della passione di Gesù. Ci riempie di commozione la lettura di queste parole, probabilmente un inno antichissimo, nato proprio dalla commossa considerazione della passione: l’innocenza di Gesù, la sua mitezza, la sua certezza nelle braccia del Padre, il suo amore sconfinato per noi. E poi la conclusione dell’inno, che vede tutta l’umanità errante, come pecore senza pastore, ma ecco finalmente spuntare, all’orizzonte dell’umanità, il pastore e custode delle anime degli uomini.
Cari fratelli e sorelle, oggi noi viviamo un grande momento che realizza, in un modo particolare, ciò che Cristo ha ottenuto per noi dalla croce.
Nell’ ordinazione diaconale di questi quattro nostri fratelli, Armando, Armin, Domenico e Matteo, vediamo attuarsi nel tempo, ancora una volta, la promessa di Gesù: Non vi lascerò orfani (Gv 14,18), “non vi lascerò soli”. Certo, egli manda lo Spirito per questo. Nello stesso tempo manda gli Apostoli.
Il sacerdozio, a cui questi quattro nostri fratelli sono indirizzati, è il segno che Cristo non lascia mai solo il suo popolo. Mi è caro dunque, in questo momento, salutarli con particolare affetto, così come saluto il mio venerato predecessore, il vescovo Adriano, l’arcivescovo Ignazio della Chiesa di Esfahan, in cui viene incardinato il nostro Armin, i sacerdoti qui presenti, i diaconi, i genitori, parenti ed amici dei nostri candidati che oggi verranno consacrati diaconi. Ringrazio in modo particolare tutti coloro che li hanno accompagnati nel loro cammino in questi ultimi anni: i superiori e i padri spirituali del seminario (don Gabriele Burani, don Paolo Bizzocchi, don Matteo Bondavalli), i loro parroci e responsabili (don Carlo Sacchetti, don Benedetto Usai, don Luca Ferrari, don Gigi Lodesani, don Franco Pirisi, don Giovanni Costi, don Emilio Perin, don Giancarlo Bellani def. e don Francesco Salvarani def.).
A tutti vorrei che giungesse il clima di luce, di festa, che emerge dalla liturgia di questa domenica, e che questa festa, soprattutto per i nostri quattro amici, durasse tutta la vita: la festa di essere stati scelti da Gesù per essere testimoni della sua passione e resurrezione in mezzo al mondo. Non si può essere testimoni della sua passione e della resurrezione di Gesù se non si vive ciò che ha vissuto lui, se non ci si lascia completamente permeare dalla sua vita.
Per questo desidero rivolgere la mia attenzione in particolare alle parole del Vangelo. Come ha vissuto Gesù così anche noi dobbiamo vivere. Innanzitutto, egli – dice l’evangelista Giovanni – è entrato dalla porta. Per raggiungere le sue pecore è entrato dalla porta, non è salito sul tetto per calarsi nelle stanze interne della casa. Non ha sfondato le finestre. Anche voi dovrete entrare dalla porta. Per non essere ladri e briganti dovete entrare dalla porta delle persone, rivolgervi al loro cuore e alla loro mente, alla loro libertà, parlare loro di Cristo, dipingere ai loro occhi l’immagine viva del Salvatore, attraverso il racconto della sua vita, attraverso la meditazione e la presentazione delle Scritture, attraverso la distribuzione dell’Eucarestia. Soprattutto dovrete entrare dalla porta della vita delle persone attraverso la preghiera: pregando per loro e con loro, aprirete i loro cuori alla voce di Gesù. Infatti – dice san Giovanni – le pecore ascoltano la sua voce: egli le chiama e le conduce fuori. Alle persone dovete far sentire la voce di Gesù. Anche se egli parlerà attraverso la vostra voce, è la sua che deve risuonare nei cuori degli uomini, sono le sue parole che voi dovete portare loro. È il timbro della sua umanità, che almeno un poco, per grazia, deve brillare sui vostri volti e rendere certi gli uomini della sua presenza.
Come ha fatto Gesù dovete poi condurre fuori le pecore, aiutarle cioè a crescere, educarle. Educare vuol dire proprio “condurre fuori”. Condurre fuori dalle tentazioni di richiudersi in se stessi a piangere sul proprio male o sui propri limiti. Condurre fuori vuol dire aprirsi alla speranza, sapere che Dio rinnova il nostro cuore e la nostra mente con la sua grazia e ci rende capaci, non per nostro merito ma per suo dono, di costruire un mondo nuovo, quello che lui ha pensato nel Figlio.
Gesù – dice il Vangelo – cammina davanti a noi, e noi lo seguiamo perché conosciamo la sua voce. Questa confidenza in Gesù è espressa anche nell’altra similitudine con cui si chiude il Vangelo: non solo Gesù entra per la porta, ma dice Io stesso sono la porta delle pecore. Dunque per arrivare agli uomini dobbiamo passare attraverso di lui. È lui che ci prende per mano, che ci conduce agli uomini, è lui che ci mette sulla bocca le parole da dire, che ci suggerisce gli atteggiamenti da avere, è lui che ci aiuta anche nei momenti difficili della contraddizione, ad avere pazienza, a saper tacere, a sapere quando e come parlare. Lui è la porta per arrivare agli uomini.
Cari fratelli, siate dunque fiduciosi, non lasciatevi mai abbattere dalle difficoltà, non lasciatevi fermare dalle parole del pregiudizio o dalla divisione, ma siate sempre luminosi della luce della resurrezione, lasciatevi riempire di questa luce, lasciatevi riempire dall’annuncio che oggi abbiamo riascoltato, lasciate che il vostro cuore e la vostra mente risplendano della sicura e dolce certezza che Gesù è presente con noi fino alla fine dei tempi.
La celebrazione della Liturgia delle Ore sia da voi vissuta ogni giorno con puntualità e sacrificio ma anche con gioia, anzi, oso dire, con esultanza, non solo per voi ma per tutta la Chiesa e per tutto il mondo.
Portate con dignità l’abito sacerdotale, che non è un segno di privilegio, ma sarà per tanti motivo di interrogazione e di riferimento a Gesù.
Partecipate ogni giorno al sacrificio eucaristico preparandovi così ad essere, a Dio piacendo, ordinati presto per il sacerdozio.
Portate nel vostro cuore le necessità di tutta la Chiesa e in particolare della nostra Diocesi, le necessità di coloro che da subito si rivolgeranno a voi per chiedere le vostre preghiere, il sacrificio del vostro tempo e della vostra vita. Ma soprattutto ringraziate il Signore di questa elezione che egli ha fatto di voi, per fare, delle vostre persone, un segno della sua presenza vittoriosa in mezzo alla storia degli uomini.
Amen.