Omelia ai funerali di don Bruno Magnani
- Stiolo, Parrocchia di san Damiano Papa
14.02.2013
Carissimo don Bruno,
avremmo dovuto vederci qualche giorno fa: so che tu lo desideravi, non ti è stato possibile. È uno
dei sacrifici a cui è costretto un Vescovo: non poter disporre più del proprio tempo. Ma l’incontro
avviene, avviene ora, avviene in un modo diverso da come l’avevamo preventivato. In un modo
forse più profondo, più significativo, almeno per me, perché tu mi parli ormai da Dio, da ‘accanto a
Dio’, e realizzi ciò che mi avevi scritto il 20 dicembre scorso. Fra le tante lettere che ho ricevuto al
mio ingresso in diocesi, che costituivano per me quasi più un peso che un sollievo, la tua ha
costituito indubbiamente una sorpresa, una luce, un grande conforto. “Sono un vecchio prete di 90
anni”, mi hai scritto, “ordinato sacerdote nell’anno in cui Lei è nato. Come nel Natale crediamo che
la presenza di Cristo si incarni nel cuore di ogni credente, così oggi crediamo che la presenza di
Gesù Buon Pastore si incarni in tutta la sua pienezza, nella nuova vita della nostra Chiesa diocesana.
La accolgo come amico e padre, come si accoglie il Mandato da Dio”.
Ho letto queste parole dalla sua lettera non solo per esprimervi la mia gratitudine, che avevo anche
allora manifestato in un mio breve biglietto, ma perché in queste parole è il suo cuore: il suo cuore
di credente, il suo cuore di sacerdote, il suo cuore di amante; e chiudeva: “Nell’attesa di incontrarLa
di persona, Le porgo i miei più vivi saluti e devoti ossequi”.
Ecco dunque il nostro incontro di oggi, incontro in cui – don Bruno – io ti presento a Dio, e a te
chiedo di accompagnarmi, con la tua preghiera e la tua esperienza sacerdotale.
Dalle testimonianze che ho letto su di lui, e anche dal suo testamento spirituale, che ha scritto qui a
Stiolo, il 19 novembre 1991, appare con chiarezza innanzitutto un sacerdote innamorato del suo
sacerdozio, un sacerdote realizzato, un sacerdote felice: “sono felice di essere sacerdote” – scriveva
– “anche se sono consapevole di non essere sempre stato all’altezza del mio sacerdozio, di non aver
corrisposto al 100%”. Questa è veramente la felicità, quella che con la consapevolezza dei propri
limiti fa dire: “Bellissimi sono stati per me i miei 45 anni di sacerdozio”.
Ecco, don Bruno: il primo dono che ti chiedo è di dare a tutti noi, sacerdoti di questa Chiesa, il tuo
stesso entusiasmo, di dare a noi questa felicità, almeno qualche raggio di essa. Di farci sperimentare
come sia bella la vita del sacerdote, perché segnata da una grande lezione e da una grande
possibilità di dedizione. “Non importano le nostre miserie, le nostre debolezze, le nostre
insufficienze, le nostre incomprensioni – scriveva sempre Don Bruno – questo rientra nella norma
della vita”. Quale realismo, quale sapienza in queste parole! Vorrei che tutti i nostri sacerdoti
partecipassero di questo stesso sguardo sulla vita. Uno sguardo che era innanzitutto di fede: il suo
testamento spirituale inizia infatti: “Adoro e ringrazio infinitamente Dio Padre, che mi ha creato,
fatto cristiano e sacerdote”. Molti di voi penso ricorderanno questa preghiera, il ‘Ti Adoro’: la
dicevamo al mattino e alla sera; adesso è un po’ dimenticata. È una preghiera meravigliosa, perché
in poche parole racchiude tutto il senso del nostro essere sulla terra e del nostro cammino verso Dio.
Con queste parole don Bruno iniziava il suo testamento spirituale. La sua fede che era adorazione,
stupore di esserci e, nello stesso tempo, consapevolezza di un compito, di una vocazione. Guardava
ai giorni indietro, ma non con compiacenza: con gratitudine. Ricordava i suoi genitori, ricordava le
sue sorelle e suo fratello, ricordava il suo parroco di un tempo – don Marino –, ricordava la sua
nonna materna, “che fin da piccolo – scriveva – mi ha instillato il desiderio di fare il sacerdote”;
ricordava don Dino Torreggiani, don Ennio Caraffi, i suoi primi superiori nel seminario di San
Rocco, “che nella loro santità hanno saputo svelare e risvegliare nel mio animo l’amore verso gli
uomini, la preghiera, il sacrificio”.
Donaci, Don Bruno, questa stessa fede: questa fede forte, e nello stesso tempo creativa; questa fede
sicura, e nello stesso tempo amante; questa fede felice, e nello stesso tempo misericordiosa. E poi, la Carità. “Sappiate una cosa – scrive ai suoi parrocchiani – vi ho sempre amati tutti
indistintamente, più di me stesso e con disinteresse. Ho cercato di fare come mi ha insegnato da
ragazzo don Nino: amare le anime sopra tutto”.
E infine, la Speranza. “Spero di vedere in Cielo tutte le anime care che ho conosciuto e amato sulla
Terra”. Che cosa possiamo desiderare di più, per noi, se non queste grazie essenziali, che possono
dare alla vita umana, anche a quella più povera, più disagiata, in difficoltà, una luce che permette di
attraversare con fecondità e letizia tutta quanta l’esistenza.
Don Bruno, chiediamo allora a te di non smettere di lavorare per noi. Hai lavorato tanti anni, ma –
come diceva Santa Teresa di Lisieux – “adesso andrò per lavorare”. Dunque devi lavorare ancora
per noi, devi lavorare per il bene di questa diocesi, devi lavorare per il vescovo, devi lavorare per i
tuoi parrocchiani: devi ‘lavorare’, cioè ottenere da Dio le grazie di cui abbiamo bisogno, ottenere da
Dio quella sapienza, quella leggerezza, che tu hai vissuto, ottenere da Dio ciò di cui abbiamo
bisogno, perché questa vita sia luminosa della luce di Dio: non confonda la Luce permanente di Dio
con le luci fuggevoli del mondo; non confonda le Consolazioni di Dio con le consolazioni
transitorie che possono dare gli uomini; non confonda la Profezia che viene da Dio con i profeti di
questa terra, che ci ingannano, che ci illudono e poi ci deludono.
Donaci da Dio, don Bruno, le grazie di sapienza e di forza necessarie per attraversare questa
esistenza. E a te la nostra gratitudine per aver donato tutta la tua vita alla nostra Chiesa e ai tuoi cari.
Così sia.
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