La gioia: Omelia nella III domenica di Avvento
- Reggio Emilia, Cattedrale
14.12.2014
Cari fratelli e sorelle,
siamo giunti alla terza domenica dell’Avvento. La liturgia torna a presentarci, nel Vangelo, la figura del Battista. Ma i testi di questa domenica sono attraversati da un tema che troviamo spesso in tutta la liturgia dell’Avvento. È il tema della gioia.
San Paolo, nella lettera ai suoi carissimi amici di Salonicco, sostiene che la volontà di Dio è che essi siano sempre lieti, pregando sempre e rendendo grazie in ogni circostanza della vita (cfr. 1Tess 5,16ss.).
Anche il profeta Isaia parla di gioia. Gioia per il ministero che ha ricevuto: portare un annuncio di letizia a coloro che sono miseri, consolare chi ha il cuore spezzato, liberare chi è schiavo, promulgare l’anno di grazia del Signore (cfr. Is 61,1-2).
Come è possibile la gioia, o almeno la letizia, in un mondo continuamente attraversato dalla realtà della guerra fra i popoli, dalle divisioni nelle famiglie, dai rancori, dagli odi, dalla morte? Come è possibile la gioia quando la vita è segnata dalla perdita di chi ci è caro, dall’umiliazione, dalle sofferenze, dal dolore innocente?
Non possiamo togliere subito lo sguardo da questi drammi per correre ad una consolazione superficiale. Soltanto accostandoci con umiltà al mistero del dolore e del male, ascoltando il grido che da esso sale, accompagnando in silenzio, con la preghiera del cuore, il dramma di tanti nostri fratelli e sorelle, possiamo guardare il Crocifisso. Ma possiamo guardare anche il bambino di Betlemme, piccolo ed inerme, attorno a cui, fin dai primi giorni, si può vedere la gelosia ingiustificata dei potenti e il sangue dei martiri. Non è un caso che la liturgia orientale, nelle sue icone, dipinga la culla di Betlemme come un incrocio dei bracci della croce.
Da dove nasce allora la gioia del Natale? Proprio dall’evento stesso dell’Incarnazione. Dio si è fatto uomo e non ha eliminato con ciò il nostro dolore. Si è fatto uomo per esserci vicino, per esserci accanto. Accettando di nascere nella nostra carne umana, Dio ha mostrato di amarci, non solo più di quanto noi amiamo noi stessi, ma tanto quanto ama se stesso. Egli nasce per morire per noi.
Nel Natale vediamo dunque spuntare la possibilità della letizia anche dentro la sofferenza. Sono stati espressione di questo, in modo sommo, con la loro vita e le loro parole, san Paolo e san Francesco d’Assisi. Il primo ha detto così: Sovrabbondo di gioia nelle mie tribolazioni (2 Cor 7,4). Il secondo ha parlato di “perfetta letizia”, che egli vive quando tutti lo rifiutano, sapendo che quella sofferenza lo rende una sola cosa con Gesù.
Non è forse questo il paradosso delle Beatitudini nelle quali il Signore dice: Beati voi – cioè pieni di gioia – che ora piangete, che ora soffrite, che ora siete perseguitati (cfr. Lc 6,21ss.)?
La gioia del Natale nasce dalla buona notizia che nell’Incarnazione Dio strappa la nostra condanna e ci salva dalla morte eterna. Nessuna sofferenza del mondo presente – dice sempre san Paolo – è paragonabile alla gloria futura che si manifesterà in noi (cfr. Rom 8,18). In tutto ciò in cui il mondo vede una sconfitta (la debolezza, la malattia, la vecchiaia, la povertà, l’umiltà, la generosità) la fede ci fa vivere l’esperienza della vittoria e della gioia.
La gioia del Natale è una gioia appena sbocciata, ma già preannuncia la grande gioia di Pasqua, ne è come l’anticipo. Forse proprio questa esperienza della gioia portata dal Natale ci può far capire quale rivoluzione della mente e del cuore abbia portato Gesù.
Amen.
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