Discorsi nel solenne ingresso in Diocesi
- All'ospedale psichiatrico giudiziario
16.12.2012
Cari fratelli,
ho desiderato iniziare da qui il mio ministero di vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, dal
luogo dove più profonda è la prova.
Chi è il vescovo, vicario di Cristo, se non colui che cerca l’uomo? La malattia mentale
e la privazione della libertà [anche se provocata dalla giusta preoccupazione dello
Stato di punire colui che ha sbagliato, per indurlo a cambiare] sono strade di abissale
oscurità, di perdutezza dell’io, che mi invitano a prendere coscienza del fatto che sono
stato mandato in questa terra per cercare coloro che si sono perduti. L’uomo dolente,
l’uomo solo, l’uomo malato, l’uomo disperato. Cerco gli uomini per dire loro: A voi, gli
«sconosciuti del dolore» (Paolo VI, Messaggio ai poveri, ai malati e a tutti coloro che
soffrono a chiusura del Concilio Vaticano II, 8 dicembre 1965), voglio portare il perdono
e l’eucarestia di Gesù, voglio dire: non disperate, perché Dio si è fatto uomo per
esservi vicino”.
Ringrazio perciò il direttore di questo ospedale psichiatrico, per le parole che mi ha
rivolto e per il suo lavoro quotidiano. Ringrazio il cappellano, i medici, gli infermieri,
il personale direttivo, la polizia carceraria, i volontari. A loro dico: sappiate che vi è
chiesto un lavoro duro, forse ignoto e invisibile ai più, ma un lavoro grande, degno
dell’uomo. All’uomo non è concesso che raramente di operare guarigioni, ma è concesso
sempre di prendersi cura. In questo prendersi cura dell’altro sta la più grande
manifestazione dell’umano.
Io pregherò ogni giorno per voi, persone qui recluse e persone che qui lavorate. Sappiate
che nessun sacrificio o dolore è perduto, nessuno è senza peso e senza valore.
Con la mia benedizione.