APPUNTI PER LA PRESENTAZIONE DELLA BIOGRAFIA DI DON GIUSSANI DI ALBERTO SAVORANA
- Reggio Emilia, Aula Magna Manodori – Università degli Studi di Modena e Reggio
01.02.2014
A quasi dieci anni dalla sua scomparsa, possiamo chiederci, senza retorica: quale parola ha oggi da dire don Giussani alla Chiesa e al mondo? Quale è l’attualità, la pertinenza, la vitalità di ciò che ha detto, ha fatto, ha lasciato? Quale è anzi la loro somma utilità?
Parla attraverso queste mie parole la persona che, assieme ad altre, ha conosciuto don Giussani da vicino e gli è stato accanto, come figlio, per 45 anni, pur nella lontananza geografica; la persona che ha ricevuto moltissimo da lui e che gli deve gratitudine perenne; ma anche il giovane che, diventato prete quasi quarant’anni fa per vivere come lui, è ora vescovo della Chiesa, chiamato a discernere i carismi e a valorizzarli per il bene di tutto il popolo di Dio.
Cosa insegna don Giussani?
1. Un genio della fede
Innanzitutto, a chi lo ha accostato in vita o lo accosta ora attraverso i suoi testi, anche attraverso le pagine di Alberto Savorana, e il movimento di CL, egli appare come un genio della fede. Senza tacere altri doni della sua ricchissima personalità a cui accennerò più avanti, il grande dono di don Giussani alla chiesa e agli uomini mendicanti di Dio, è di aver aiutato decine e decine di migliaia di persone e scoprire la vera natura del cristianesimo, vincendo, senza tematizzarlo eccessivamente, ogni moralismo, intellettualismo e clericalismo. Nelle parole e nell’opera di don Giussani il cristianesimo era ed è puramente un incontro di grazia, tra l’uomo e Cristo. L’uomo aperto, l’uomo in attesa, ma anche l’uomo dimentico, perduto, sprofondato nel male perché, in un’ultima libertà, incapace di negare la luce. La luce di Cristo che passa. Che passava allora (sulle strade della Palestina, divenute nostre, per noi che lo ascoltavamo raccontare gli incontri di Gesù come fosse ora, perché era davvero allora, ogni volta allora) e che passa nell’istante attraverso uno dei suoi, di coloro che lo avevano seguito, in una catena ininterrotta fino a te e me.
Questa realtà del cristianesimo come avvenimento di grazia che accade in un incontro e diventa esperienza di luce, di pace, di apertura a ogni traccia di bene, speranza per ciò che verrà, ha vinto il moralismo molto diffuso negli anni cinquanta e sessanta (ma non è diffuso anche oggi?) che divideva il mondo in degni e indegni, buoni e cattivi, ma ha superato anche ogni intellettualismo che riduceva la fede a una serie di verità da conoscere, ha vinto il clericalismo che vedeva nella cristianità un potere da difendere e nel mondo un nemico da cui allontanarsi stando nel chiuso delle sacrestie e degli oratori.
Un cristianesimo essenziale, kerigmatico, aperto, missionario: furono queste le caratteristiche fondamentali della proposta di Giussani che certo egli seppe e dovette continuamente ripensare ed esprimere in nuove forme e con nuove parole lungo tutto l’arco della sua vita.
La Chiesa ha più che mai bisogno di questa riscoperta della vera natura del cristianesimo. Il magistero degli ultimi papi, (in particolare Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco), seppure con accenti profondamente diversi ma non divergenti, ha molto insistito su questo carattere del cristianesimo come avvenimento.
Tutto ciò fa considerare nella loro giusta urgenza, senza accentuarne l’importanza, i dibattiti sulla chiesa come minoranza, sulle questioni di potere interno alla chiesa.
Ciò che è fondamentale è scoprire il modo con cui Dio ha voluto manifestarsi al mondo ed entrare gioiosamente in questo disegno. Coerentemente con questa visione don Giussani è stato un grande maestro del battesimo come via normale alla pienezza, un grande evocatore di tutte le vocazioni, da quelle laicali a quelle sacerdotali e religiose, senza mai metterle in esclusione le une dalle altre. Un privilegio ha dato alla dedizione laicale a Cristo nel mondo con cui vedeva uno dei segni dei tempi.
Era contro ogni visione elitaria del cristianesimo, insofferente di chi si sente così grande da mettersi contro i vescovi e il Papa. Ha amato la sobrietà regale della liturgia arricchita soprattutto dal canto fermo e dalla polifonia. Non ha mai assolutizzato una particolare espressione culturale: per questo ha accettato nella liturgia, con moderazione, anche chitarre e cantautori del movimento, ma sempre purché fossero consoni alla santità dell’atto liturgico.
2. Un genio dell’umano
Proprio per questa concezione della fede Giussani fu un genio dell’umano. La sua opera più conosciuta e diffusa nel mondo, “Il senso religioso”, testimonia questa sua conoscenza del fenomeno umano, come direbbe Malraux, del fattore umano, secondo l’espressione di Graham Green.
Un genio dell’umano innanzitutto perché egli ha amato tutto dell’uomo, della vita umana: ha amato il bere e il mangiare (ma il bere bene e il mangiare bene), assieme agli amici, nei posti belli. Non ha mai amato né la ricchezza, né lo sfarzo, è vissuto molto tempo in povertà, ma ha amato la bellezza.
La bellezza che a lui giungeva dalla poesia, dalla musica, dal canto.
In questo modo egli ha aperto ciascuno dei suoi figli alla conoscenza: della storia, della letteratura, dell’arte, delle scienze… Non c’era campo dell’umano che non lo appassionasse e da cui non si sentisse particolarmente toccato. Ma era nell’incontro con ogni singola persona che vibrava questa sua curiosità, apertura e interesse. Chi lo seguiva non si sentiva parte di un gruppo, di una comunità chiusa, ma parte del mondo.
3. Il metodo dell’evangelizzazione
Oltre ad essere un genio della fede dell’umano Giussani è stato un genio della Chiesa. Ha portato chi lo seguiva a immedesimarsi con il metodo della manifestazione di Dio nel mondo. Dio si rivolge a taluni per parlare a tutti. Comincia da un piccolo seme, da un piccolo gregge, ma vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. L’esperienza dell’elezione per Giussani, cuore del suo metodo educativo, non è mai stata l’affermazione di una chiusura, ma il centro affettivo di una apertura ecumenica.
La rivoluzione del mondo comincia nella persona, nel suo incontro con Dio fatto uomo, ma penetra poi in tutti i campi dell’umano, proprio attraverso la vita quotidiana dell’uomo e della donna. La comunione, secondo l’accento che a questa parola ha dato don Giussani, è la vera realizzazione della persona che consiste nello scoprire nel “noi” la vera identità dell’io. Giussani è stato un grande cantore della vita quotidiana vissuta in modo straordinario, con la coda dell’occhio abitata da Cristo. La sua ecclesiologia, profondamente radicata nella teologia di san Giovanni e san Paolo, arricchita dalle frequentazioni con il mondo ortodosso, ha molte cose da insegnare oggi ad una Chiesa che vuole rinnovarsi ma non scomparire.
4. La vita come vocazione
Forse la parola più importante che don Giussani ha lasciato è proprio l’esperienza della gioia che nasce nell’uomo quando si accorge di essere amato, di essere oggetto di una misericordia incomprensibile e infinita, quando scopre la positività di tutta la vita, paradossalmente anche del male. Questa positività, vissuta da Giussani soprattutto negli anni della malattia, è il suo insegnamento più importante in un’epoca come la nostra che stenta a trovare le ragioni per vivere. La vita come vocazione è dunque la parola più alta di don Giussani alla Chiesa e al mondo. Quella che vorrei arrivasse anche attraverso di noi a tutti i giovani che incontriamo.
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