Omelia per la solennità dell’Assunta
- Reggio Emilia, Cattedrale
15.08.2013
Cari fratelli e sorelle,
la festa dell’Assunta, [istituita da papa Pio XII durante l’anno santo del 1950, dopo una consultazione mondiale di tutto l’episcopato], si colloca proprio al centro dell’estate che, per molti, è un periodo di vacanza. Un periodo che dovrebbe essere di riposo e di rigenerazione del corpo e dello spirito. So bene che per tanti non è così: molti non possono concedersi né riposo, né vacanza. Ricordo queste persone perché possano scoprire un aiuto alla loro vita, possano ugualmente trovare delle strade di rinascita dalle loro fatiche.
Questo tempo, dunque, ci porta a considerare il rapporto tra corpo e spirito nella nostra persona. Potremmo fare molte considerazioni, anche estremamente importanti per il nostro momento presente. Mi limito ad alcune che ritengo essenziali.
Nella realtà di Maria Assunta in cielo troviamo la risposta alla domanda: chi è l’uomo? Chi è la donna? Per molte filosofie, per alcuni scienziati, l’uomo è una macchina ricoperta di muscoli, di nervi, di pelle. E come tale va considerata. Una macchina ha un inizio e una fine. Ha una sua utilità se risponde agli scopi per cui è stata fatta, altrimenti deve essere distrutta. Possiamo ridurre a questo la persona umana?
Possiamo pensare che l’uomo sia riconducibile nelle sue azioni e nelle motivazioni di esse a un meccanismo automatico espresso da formule matematiche, da reazioni fisiche o chimiche? Penso che ciascuno di noi si ribellerebbe di fronte ad una simile conclusione. In ogni uomo, di qualunque cultura, latitudine, età, c’è qualcosa che non può essere ridotto e ricondotto alle caratteristiche di una macchina. Proprio nel profondo di ciascuno di noi ci sono desideri, sentimenti, aspirazioni sempre nuovi, non riconducibili a una programmazione. La coscienza del bene e del male, il desiderio di amare e di perdonare, di essere amati e perdonati, attraverso la libertà, determinano sempre nuove scelte e nuove strade di vita. Per quanto tutto ciò possa essere percepito in modo confuso e possa talvolta suscitare in noi interrogativi e dubbi, non possiamo strapparlo dalla nostra vita. I filosofi più seri e più grandi, gli uomini più pensosi, gli artisti più illuminati hanno tentato di esprimere tutto ciò nelle loro pagine e nelle loro opere. Forse l’espressione più sintetica è quella che troviamo in Pascal: l’uomo supera infinitamente l’uomo (Pensieri, ed. Chevalier 438; ed. Brunschvicg 434). Guai, perciò, a considerare la persona umana semplicemente come una realtà manipolabile all’infinito. Un insieme di oggetti che possiamo utilizzare. Proprio in questi giorni il quotidiano Avvenire sta svolgendo un’inchiesta internazionale sulla tristissima vicenda delle donne utilizzate per essere madri per altri, per essere ridotte a uteri in affitto. Il corpo di una donna viene usato per rispondere a un desiderio sentito come diritto.
Cosa ha a che fare tutto ciò con la festa dell’Assunta? La liturgia di oggi celebra Maria salita in cielo con il proprio corpo trasfigurato e risorto. Lei, che non era stata toccata dal peccato, non subisce la corruzione corporea ed entra immediatamente nella vita nuova.
La festa di oggi ci insegna a vedere nell’uomo e nella donna l’unità della persona, l’unità tra anima e corpo, senza nessuna riduzione. In Cristo, vero uomo e vero Dio, ogni essere umano è voluto come spirito che governa un corpo a lui necessario e destinato all’eternità. Già nel tempo, già su questa terra noi possiamo vivere questa unità, seppure tra molti errori e cadute.
In questo modo la Chiesa vuole insegnarci a godere della creazione. Ogni cosa è un bene, come è scritto nel libro della Genesi (cfr. 1,4ss). Di tutto noi possiamo godere, se usiamo saggiamente i beni, senza che essi diventino degli idoli che rendono noi delle vittime. La festa di oggi è un grido di allarme contro ogni esaltazione idolatrica del piacere corporeo, ma anche contro ogni spiritualismo che ci allontana dalla vita e perciò da Dio. Materialismo e spiritualismo, in fondo, nascono dalla medesima paura di perdere ciò che si ama. Nello spiritualismo si fugge la paura della morte, costruendo un mondo parallelo, un mondo angelicato, una realtà di sogno che non esiste. Nel materialismo questa stessa paura si esprime nell’attaccamento ossessivo a tutto ciò che passa. Non è forse segno di questa paura dell’uomo contemporaneo il culto del corpo oggi così diffuso? L’estetismo, da questo punto di vista, è una maschera del materialismo.
La glorificazione di Maria, assunta in cielo in anima e corpo, ci dice che non solo la nostra anima, non solo ciò che è spirituale, ma anche il nostro corpo, la materia e il tempo sono destinati alla gloria. Nella fede cristiana, liberata dalle filosofie che potevano tenerla prigioniera, non vi è nessun disprezzo del corpo come di tutto ciò che è materiale. Il corpo, infatti, è custodia dell’anima, così come il tempo è custodia dell’eterno. Quando si esce da questa visione unitaria dell’esistenza umana, visione di cui il dogma dell’Assunzione è l’espressione più chiara, si finisce inevitabilmente per scadere in assolutizzazioni parziali che offendono la natura umana.
Nel Messale gotico-gallicano (secolo VI-VII) la solennità di oggi è chiamata «sacramento non spiegabile», «da onorarsi più degli altri giorni», perché «la Vergine Madre di Dio è emigrata dal mondo a Cristo. Non è stata contagiata dalla corruzione e non ha patito la schiavitù del sepolcro» (Missale goticum, 28 n. 94). Lungi dall’essere un privilegio strano, la sorte di Maria indica tutto ciò che è riservato anche a noi.
Guardiamo allora a Maria, chiediamole di introdurci nell’insegnamento che ci viene dal mistero della sua Assunzione e, soprattutto di continuare a benedire e proteggere il nostro popolo e la nostra città da questa cattedrale a lei dedicata. «Ti preghiamo, o benedetta, per la grazia che hai trovato, per quelle prerogative che hai meritato, per la Misericordia che tu hai partorito, fa’ che colui che per te s’è degnato di farsi partecipe della nostra miseria ed infermità, grazie alla tua preghiera, ci faccia partecipi delle sue grazie, della sua beatitudine ed eterna gloria» (Bernardo di Chiaravalle, Sermo 2 de Adventu, 5: PL 183, 43).
Amen.