Omelia per la solennità della Madre di Dio (Giornata mondiale della Pace)
- Reggio Emilia, Cattedrale
01.01.2013
Cari fratelli e sorelle,
beati gli operatori di pace (Mt 5,9). Questo è il tema, anzi lannuncio che il Papa Benedetto XVI propone a tutta la Chiesa, a tutto il mondo in questo primo giorno dellanno (cfr. Benedetto XVI, Messaggio per la XLVI Giornata mondiale della pace). Dal lontano 1968, il primo giorno dellanno è stato dichiarato dal papa Paolo VI Giornata mondiale della pace. Anche se sono evidenti i risvolti sociali e politici di tale festa, essa è propriamente una festa cristiana. Nasce dal cuore stesso dellannuncio di Natale: pace in terra a tutti gli uomini che sono aperti allamore di Dio (cfr. Lc 2,14). Il dono della pace, della comunione fra gli uomini, è il dono conclusivo del cristianesimo. Dio, infatti, ha mandato suo Figlio per radunare tutti gli uomini e fare di loro un solo popolo, anzi una cosa sola (cfr. Gv 17,21).
Le beatitudini, poi, che inaugurano ed esprimono in sintesi la vita pubblica di Gesù, contengono parole certamente dette da lui, che descrivono la sua stessa vita e la vita che egli ha portato a tutti gli uomini. Egli è stato il più grande pacificatore, operatore di pace, colui che ha fatto la pace realizzando dei tanti popoli uno solo, abbattendo i muri di divisione (cfr. Ef 2,14). Pace tra gli uomini realizzata attraverso la pace con Dio, nella sua croce e nella sua resurrezione. In questo modo egli raccoglieva «linnata vocazione dellumanità alla pace» (Benedetto XVI, Ivi, 1), ad una vita umana piena, felice, realizzata.
La pace è dunque un dono di Dio da chiedere insistentemente, aprendosi alla sua opera che realizza la comunione attraverso i percorsi della conoscenza, dellaccoglienza, del perdono, della scoperta dellaltro. Per questo la pace è anche opera delluomo che si apre a quella del Padre che è nei cieli. La nostra fratellanza umana è troppo fragile se non nasce dal riconoscimento dellessere tutti figli di Dio. Se viene meno il Padre, è immensamente più difficile riconoscersi come fratelli. Se invece il nostro cuore si apre al «colloquio costante con Dio … luomo può vincere quel germe di oscuramento e di negazione della pace che e il peccato in tutte le sue forme: egoismo e violenza, avidità e volontà di potenza e di dominio, intolleranza, odio e strutture ingiuste» (Benedetto XVI, Ivi, 3).
È ciò che ho voluto esprimere nel mio motto episcopale con lespressione sintetica del profeta Isaia: opus iustitiae pax (Is 32,17). La pace, cioè la comunione, nasce dallentrare in un rapporto vero con Dio che apre ad un rapporto nuovo con gli altri e con il mondo. Noi, popolo cristiano, abbiamo dunque un compito fondamentale come creatori di pace: siamo chiamati a vivere in noi stessi linizio di quella trasformazione del mondo che la carità portata da Cristo opera nella storia delluomo, pur in mezzo a tutti i nostri peccati e le nostre debolezze, e a testimoniarla agli uomini che la vita ci fa incontrare.
Cristo ha portato unesperienza profonda della pace. In ragione di essa ogni piccolo frammento di bene nascosto nel cuore di ogni uomo è accolto e valorizzato. Nello stesso tempo lideale proposto è alto, intero e non nasconde nessuna verità. Non vuole indicare una strada soltanto per i cristiani, ma per tutti gli uomini. Quando la Chiesa esalta il rispetto per la vita umana, a cominciare dal suo concepimento e sino alla sua fine naturale, non intende fare un discorso di parte, sottolineare valori o battaglie a lei cari. Allopposto: intende indicare che non vi può essere difesa della pace se non vi è difesa dei più deboli. Luccisione del più debole comporta, come in unesplosione atomica, danni nella vita dellumanità che rendono più difficili il perdono, la pace e perciò la lotta alla povertà e allingiustizia.
In questo giorno di inizio danno desidero augurare a tutti gli uomini e le donne che vivono nel territorio della nostra Diocesi di poter esprimere attraverso il lavoro i doni della propria personalità. Il lavoro è un dono di Dio che ci rende partecipi dellopera del Creatore e anche di quella del Salvatore, quando la nostra fatica è offerta e vissuta in unione alla passione e resurrezione di Cristo. Molti non hanno lavoro o lhanno perduto. Non possiamo attribuire tutto ciò al caso o ad una anonima volontà cattiva. Certamente la globalizzazione dei mercati costringe a ripensare tante forme di impresa. Tutto è possibile, però, attraverso sinergie, collaborazioni, nuove forme di rapporti là dove leconomia è al servizio del lavoro e non dellarricchimento, della ricerca esasperata del profitto che si rivela poi spesso illusorio e caduco. Uneconomia che cerca la crescita dei profitti sganciata da ogni rapporto con la reale crescita del lavoro e della vita, produce infine frutti malati. Anche qui si vede come lallontanamento della vita da Dio, dallamore per i fratelli, lavvitamento su se stessi e sul proprio successo produce frutti di morte.
È con grande speranza perciò che viviamo questapertura del nuovo anno. Consapevoli di tutte le ragioni di incertezza e di difficoltà, sappiamo che il lungo lavoro di rigenerazione delluomo, di educazione di nuove generazioni, produce frutti estremamente positivi nei tempi brevi o lunghi della storia. È questa la speranza che anima il vostro vescovo e, sono certo, i cuori di tutti voi.
Con il mio augurio per il nuovo anno che nasce.
Amen.
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