Omelia per la santa Messa in coena Domini
Cattedrale di Reggio Emilia, 28 marzo 2013
28.03.2013
Cari fratelli e sorelle,
il vangelo che abbiamo appena ascoltato ci riporta alle ultime ore della vita di Gesù con gli apostoli. In queste ore le parole e i gesti compiuti da Cristo si rivestono di una solennità tutta particolare e ci svelano il senso profondo della sua missione e dell’amicizia che egli ha vissuto con i suoi.
L’evangelista Giovanni introduce la lavanda dei piedi con queste parole: Gesù… avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine (Gv 13,1). Li amò, cioè, di un amore che da questo momento in poi non avrebbe più avuto fine. Li amò introducendoli nell’unica esperienza capace di attraversare il tempo e lo spazio di quel momento: la carità che è la vita di Dio. Gesù dona loro la sua vita.
Il Figlio di Dio, che si era abbassato nell’incarnazione, sembra volersi abbassare ulteriormente: dopo aver assunto la condizione di servo – spogliò se stesso assumendo la condizione di servo (Fil 2,7) scrive san Paolo – lava ora i piedi dei suoi apostoli assumendo così anche l’atteggiamento del servo. Vuole essere il servo e lo strumento della loro comunione. Vuole insegnare loro che la comunione è il bene supremo di fronte a cui tutto deve piegarsi. Egli mostra cosa significhi accogliere l’altro, accompagnarlo per condurlo verso Dio. Nello stesso tempo, in questa lavanda dei piedi, Gesù vuole parlarci di ciò che tra poco accadrà alla sua vita: Cristo è venuto per lavare il peccato del mondo.
Per comprendere quanto sta avvenendo dobbiamo leggere questo brano del vangelo di Giovanni assieme alla descrizione che gli altri evangelisti fanno di quest’ultima cena con gli apostoli. Nel quarto vangelo, infatti, la lavanda dei piedi prende il posto che negli altri ha l’istituzione dell’Eucarestia. Giovanni non ha bisogno di raccontarla. Già ne aveva parlato in un capitolo precedente del suo vangelo. Essa, come abbiamo ascoltato da san Paolo (cfr. 1Cor 11,23-26), era ormai divenuta esperienza centrale nella vita delle prime comunità cristiane. Il discepolo amato, così, ha la possibilità di completare il racconto di quelle ore, aiutandoci ad affondare lo sguardo nel significato profondo del sacramento che Gesù istituisce questa sera.
Sono due i fuochi che illuminano questo significato: il sacrificio e la comunione. Si tratta in realtà di un’unica esperienza che descrive ciò che avviene ogni volta che celebriamo la santa Messa.
Innanzitutto l’Eucarestia è sacrificio, la ripresentazione nel tempo dell’oblazione di Cristo. Non dobbiamo mai dimenticare che nella Messa riaccade il sacrificio della croce attraverso cui Gesù ci dona il suo corpo e versa il suo sangue. Questa oblazione trova, però, il suo senso profondo nella comunione che genera: Gesù si offre per aprirci le porte della comunione col Padre e tra di noi. Non c’è unità possibile tra gli uomini che non discenda da questo sacrificio.
La Messa è dunque esperienza e fonte di comunione, non a caso l’Eucarestia è chiamata così dal popolo cristiano. Noi, che partecipiamo dell’unico pane, siamo un unico corpo, ci ricorda san Paolo (cfr. 1Cor 10,17). La comunione è innanzitutto la vita che il Figlio vive con il Padre nello Spirito Santo. Tale vita ci è comunicata nella donazione del Figlio di Dio fatto uomo.
Giovanni Paolo II, nella sua ultima enciclica – Ecclesia de Eucharistia – ha scritto: «l’efficacia salvifica del sacrificio si realizza in pienezza ricevendo il corpo e il sangue di Cristo. Il sacrificio… è orientato all’unione dei fedeli con Cristo attraverso la comunione» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 16). Da questo punto di vista l’eucarestia è anche «vero banchetto». Sacrificio e comunione sono due dimensioni di un’unica realtà.
Sant’Agostino nel De civitate Dei, spiegando l’identità fra sacrificio e comunione, dice che il vero sacrificio che la Chiesa ha da offrire al mondo è la comunione fra coloro che credono (cfr. Agostino di Ippona, De civitate Dei, X, 6).
Amore voglio, non sacrifici, non offerte, ma comunione con me, dice il Signore (cfr. Os 6,6).
Cari fratelli e sorelle,
quanto abbiamo detto della Messa descrive quindi la vita stessa della Chiesa. Anche nella Chiesa, infatti, la comunione nasce continuamente dal sacrificio. Essa è fatta di uomini chiamati ogni giorno a convertire i loro personali egoismi per affermare la comunione e così entrare in un orizzonte più ampio nel quale ognuno può ritrovare se stesso nel “noi” della comunità ecclesiale.
Chiediamo al Signore di sperimentare tutto ciò nella nostra Chiesa diocesana che questa sera gioisce anche per l’annuncio che il Santo Padre Francesco ha posto il suo sigillo definitivo sul martirio di Rolando Rivi. Possa l’offerta della sua vita ottenere da Dio una nuova nascita nella fede di questo popolo e una profonda riconciliazione dei cuori.
Chiediamo al Signore la grazia di rendere visibile la nostra comunione, di gioire per essa e riposare in quell’unità che rinasce continuamente dai sacramenti e ci rende una sola cosa in Cristo.
Amen.