Omelia per la messa nell’apertura dell’Anno Accademico dell’Istituto Teologico Interdiocesano
- Reggio Emilia, Cappella del Seminario
15.11.2013
Cari fratelli e sorelle,
cari professori, cari studenti,
si inaugura oggi un nuovo anno di lavoro dell’Istituto Teologico Interdiocesano. Desidero innanzitutto salutare e ringraziare tutti coloro che insegnano, a vario titolo, in queste aule. Il loro contributo è essenziale perché ci sia una scuola. Assieme a loro saluto gli studenti. Studiare, imparare, non è mai un cammino unidirezionale. Studiare si può soltanto in una comunione di vita, di ricerca, di domande, di interessi. In particolare questo è sommamente vero per la filosofia e la teologia, saperi distinti e collaboranti che nascono sempre come desiderio di intelligenza di un’esperienza vissuta.
“Vita quaerens intellectum”: potremmo così definire la filosofia, prendendo a prestito un’espressione di sant’Anselmo che propriamente riguarda la teologia, fides quaerens intellectum.
L’esperienza che vogliamo qui criticamente e organicamente studiare è la vita cristiana. Una scuola di Teologia deve trovare perciò nella conoscenza di Cristo – e quindi anche della Chiesa che è il suo corpo – la sua origine, il suo fine, il suo metodo, l’unità delle sue discipline. E l’unità di vita tra docenti e discenti, almeno per il seminario di Reggio, ne è qui un fortunato ausilio.
All’inizio dei Soliloquia Agostino immagina un dialogo con la ragione che gli dice: «Che cosa vuoi conoscere?». Lui risponde: «Dio e me stesso», e pensa che la ragione gli dica: «Ma come, ti accontenti? Nihil amplius?». E Agostino: «Nihil aliud. Non mi interessa altro».
Siamo qui per conoscere Dio e l’uomo. Tutte le nostre esistenze, le nostre domande, le nostre fatiche, le leggi del mondo e i segreti dell’animo umano sono ricompresi in tale conoscenza. Gesù, nel Vangelo di Giovanni, esprime tutto ciò con un’espressione sintetica: Questa è la vita vera: che conoscano Te e colui che hai mandato (cfr. Gv 17,3). Il nostro studio non ha altro significato che questo.
È interessante notare che questa conoscenza del Padre, nella quale siamo introdotti dal Figlio nello Spirito Santo, è definita da Gesù come “vita”. Questa considerazione ci conduce subito al cuore di che cosa sia lo studio e la conoscenza. Non si tratta appena di un esercizio intellettuale, che al limite può esser fatto indipendentemente o a lato della vita. La conoscenza vera, ci dice Gesù, è al contrario proprio un entrare nelle profondità della vita.
La parola latina studium rimanda alla fatica, al lavoro, ma soprattutto alla passione. Studium è conoscenza affettiva, secondo quella circolarità di conoscere e amare, di caritas et veritas, di cui ci ha parlato spesso papa Benedetto XVI.
Dio è comunione e ha creato l’uomo e la realtà tutta imprimendo in essa il sigillo della comunione. Solo entrando in questa esperienza di amore è possibile capire qualcosa del mondo, dell’uomo e di Dio. È, questa, una verità profonda, inscritta nel tessuto stesso della realtà. Già nell’antica Grecia la filosofia aveva intuito che «solo il simile conosce il simile» (cfr. Empedocle, fr. 109). Solo entrando nell’esperienza della comunione è possibile conoscere colui che è comunione e tutto ciò che da essa proviene. Anche Platone parla della possibilità di accedere al mistero profondo della realtà come di una scintilla che si accende improvvisamente in una comunanza di vita (Platone, Lettera VII, 341 B – 342 A). Se separiamo lo studio dalla vita con i nostri fratelli e le nostre sorelle, ci precludiamo quindi la possibilità stessa della conoscenza. Allo stesso modo, se pensiamo di indagare senza alcun coinvolgimento affettivo la realtà di Dio o dell’uomo, non solo giungeremo a delle considerazioni fredde, incapaci di scaldare la nostra vita, ma ci allontaneremo nello stesso tempo anche dalla luce della verità. Non si può conoscere se non ciò che si ama. E, nello stesso tempo, non si può amare se non ciò che si conosce. Questa dinamica, che nella storia della Chiesa è stata illuminata soprattutto dall’esperienza della scuola monastica, esige l’unità della vita. Entriamo qui nell’affascinante considerazione dell’unità tra studio, preghiera, missione, riposo, che è il cuore del metodo educativo di una pedagogia cristiana. Lo studio, vissuto come passione per Cristo, arricchisce la vita di fede e di preghiera. Ma accade anche il contrario: la fede e la preghiera rendono più intelligente il nostro sguardo, più capace di cogliere l’essenza di ciò che studiamo, più capace di andare al cuore del Vangelo e scoprire, così, le tante forme, anche diverse dalla propria, nelle quali si può essere discepoli di Cristo nell’unica Chiesa. Tutto ciò infiamma e alimenta la nostra vita cristiana. Lo studio, in particolare, diviene un prezioso luogo di “riposo dello spirito” del quale non si può più fare a meno e continua per tutta la vita, ben oltre gli anni di formazione. Se un seminarista, diventato prete, non continua a studiare, significa che non è mai entrato in questa dimensione dello studium Christi.
Le letture della liturgia che abbiamo ascoltato disegnano un itinerario che descrive proprio questa avventura affascinante della conoscenza, dove tutto è ricondotto ad unità. Verrei soffermarmi brevemente solo sulla prima lettura, tratta dal libro della Sapienza, e sul Salmo 18. Sono tre le parole che ci vengono consegnate da questi testi: bellezza, stupore e contemplazione.
1. Bellezza. I cieli narrano la gloria di Dio e l’opera delle sue mani annuncia il firmamento. La bellezza della creazione è la prima strada data all’uomo per incontrare Dio. È un linguaggio universale, che tutti gli uomini, di qualunque fede, epoca, cultura, tempo e latitudine possono intendere. Continua infatti il salmo 18: senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce, per tutta la terra si diffonde il loro annuncio e ai confini del mondo il loro messaggio. Un messaggio che, prima ancora dei libri o di particolari capacità intellettive, ha bisogno di un cuore semplice, aperto alla vita, capace di stupirsi di fronte a ciò che lo raggiunge. La base della conoscenza è la realtà stessa della creazione.
2. Ecco allora la seconda parola: stupore. Già Aristotele parlava dello stupore e della meraviglia come del motore di tutta la filosofia. Afferma il libro della Sapienza che gli uomini, affascinati dalla bellezza delle cose del mondo, sono colpiti da stupore per la loro potenza ed energia. …Vivendo in mezzo alle opere di Dio, ricercano con cura e si lasciano prendere dall’apparenza perché le cose viste sono belle.
3. La bellezza e lo stupore di fronte ad essa sono l’anima della contemplazione. Questa è la forma più alta di conoscenza. Anche e soprattutto della conoscenza teologica. Difatti – come abbiamo ascoltato – dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore. …principio e autore della bellezza.
Cari fratelli e sorelle, la bellezza che ci attrae e che inizia a brillare nella creazione è la carità. Ed è Cristo il nome di questa bellezza e di questa comunione.
Auguro a tutti di vivere lo studio, la ricerca e l’insegnamento, attratti dalla bellezza di Cristo, desiderosi di scoprire i tratti sempre nuovi del suo volto e di entrare così, insieme, nella vita vera.
Amen.
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