Omelia per la Messa Crismale
Cattedrale di Reggio Emilia, 28 marzo 2013
28.03.2013
Cari fratelli e figli,
lasciate che vi chiami così. Innanzitutto fratelli; se non fosse per questa comune figliolanza dal Padre, come potrei essere vostro vescovo? Conta innanzitutto ciò che sono con voi ed è questo che fonda ciò che posso essere per voi.
In questo senso, allora, chiamandovi fratelli posso anche chiamarvi figli. Non conta letà anagrafica; solo nella Chiesa, penso, si può essere padri anche di persone più anziane. Conta la disponibilità del cuore ad abbracciare gli altri, a sentirli come parte della propria carne e del proprio spirito, come parte improvvisamente donata da Dio alla propria vita e perciò dono prezioso.
Cari fratelli e figli, è per me motivo di grande gioia e consolazione celebrare assieme a voi questa liturgia nella quale siamo condotti a riscoprire il dono che è stato fatto a ciascuno di noi, il dono della nostra vocazione.
È la prima volta, da quando sono a Reggio Emilia, che il presbiterio diocesano si ritrova attorno al Vescovo. È unoccasione privilegiata per iniziare a considerare assieme la bellezza della vita sacerdotale. Assieme ai sacerdoti voglio salutare i diaconi che questa mattina partecipano alla liturgia della messa crismale. La vostra presenza così numerosa è una peculiarità della nostra Chiesa diocesana. Voi potete dare un contributo molto importante alla realtà delle parrocchie e delle comunità, come tramite tra i sacerdoti e il popolo.
Nelle parole di questa mattina voglio riferirmi soprattutto ai sacerdoti.
Durante questi primi quattro mesi trascorsi con voi, sia in incontri personali che nei raduni dei vicariati, che terminerò a giugno, ho potuto incontrare molti di voi. Soprattutto ho potuto ascoltarvi e cominciare a conoscervi.
Se dovessi racchiudere in una sola frase ciò che più mi ha colpito in questo inizio del mio episcopato reggiano-guastallese, direi: la fedeltà dei sacerdoti. Attraverso tante biografie che mi avete regalato, ho potuto cominciare a conoscere grandi figure sacerdotali che hanno arricchito la nostra Chiesa in tutto il Novecento. Ma è soprattutto nellincontro personale che ho ammirato la vostra fede, la vostra laboriosità, la vostra capacità di adattamento alla diversità dei tempi. Sono soprattutto ammirato da coloro che ben oltre i settanta e gli ottanta anni svolgono ancora un attivo e intelligente ministero sacerdotale. A tutti loro il mio grazie più affettuoso. Nello stesso tempo rivolgo il mio saluto a quanti sono malati, giacciono in ospedale o in una casa di cura, rispondendo in questo modo, non meno importante, alla vocazione del Signore.
Dalla vostra laboriosità è nata nei decenni una grande quantità di opere: dagli asili alle scuole, dagli oratori alle case di carità, a molteplici forme di attenzione ai più poveri, ai più abbandonati, ai più soli. La carità vissuta è una gloria del sacerdozio nella nostra diocesi. Essa ha bisogno continuamente di ritrovare le proprie radici, le proprie autentiche ragioni per poter essere efficace testimonianza di Cristo.
Senza la carità lo sappiamo la fede è morta. Ma senza la fede, che si esprime nella carità, il nostro amore si ridurrebbe a un anelito umanitario che si spegnerebbe presto, lasciandoci stanchi e delusi. Rendo grazie, dunque, a Dio per la vostra vita e la vostra testimonianza e, nello stesso tempo, chiedo al Signore il dono di vocazioni sacerdotali autentiche, pienamente umane e realizzate. Così che possano sostituire le cordate di sacerdoti più anziani. Nello stesso tempo chiedo a Dio la luce per ripensare assieme a voi le necessità della diocesi, per concentrarmi su quelle più importanti. Verso una essenzialità della nostra presenza centrata sullevangelizzazione che i tempi e lesempio stesso del magistero di Pietro negli ultimi decenni, in particolare ora di papa Francesco, richiedono.
La vocazione sacerdotale è una delle strade più alte e più belle che luomo possa percorrere. Essa vive di una comunione continua con Dio e con gli uomini. Naturalmente, come tutte le vocazioni, può andare soggetta alla stanchezza, alla routine, allo scandalo, alle debolezze umane. Se adeguatamente sostenuta e aiutata, costituisce un ponte tra il cielo e la terra, tra gli uomini e Dio, rappresenta un nodo fondamentale della storia santa e anche una figura importante del cammino verso lunità tra gli uomini.
Il sacerdozio ordinato è stato voluto da Gesù quando ha istituito lEucarestia e ha detto agli apostoli fate questo in memoria di me (Lc 22,19; 1Cor 11,24-25); quando li ha inviati in tutto il mondo ad annunciare levento dellincarnazione, morte e resurrezione del Figlio di Dio fatto uomo (cfr. Mt 10,5-20; Lc 10,1-9; 24,44-50); quando li ha mandati a battezzare e a perdonare i peccati (cfr. Mt 28,19; Gv 20,21-23).
Il ministero sacerdotale è stato voluto da Gesù come servizio al suo corpo, al popolo cristiano. Durante la sua predicazione e i tre anni trascorsi con gli apostoli, il Figlio di Dio ha operato in loro un cambiamento di mentalità: non li ha chiamati per renderli partecipi di un potere, ma perché la loro vita fosse spesa interamente a imitazione di quella del maestro. Affinché gli uomini conoscessero e amassero Dio.
Gli apostoli e i loro successori, i vescovi, del cui sacerdozio partecipano i preti, hanno imparato da Gesù a guardare in modo nuovo il mondo e la storia. Il sacerdote è profeta, è colui che aiuta gli uomini a vedere tutto con lo sguardo del Padre, a riconoscere il disegno di Dio che guida la storia. A vedere allopera la grazia del Padre che libera e salva il suo popolo.
Ma egli non si limita a questo. Apre i cuori e la mente degli uomini per riversarvi i doni che ha ricevuto da Gesù. Il prete, come non ha una sapienza propria da comunicare, così non ha regali propri da fare agli uomini. La sua vita è tutta relativa a Gesù da cui riceve parole e grazie da trasmettere al mondo. Le grazie fondamentali di cui il sacerdote è dispensatore sono i sacramenti. Voluti da Gesù, trasmettono la sua vita agli uomini, i quali, attraverso il perdono dei peccati, entrano in unassimilazione alla persona stessa di Cristo nel dono dellEucarestia. Tocchiamo qui il cuore della vita sacerdotale, la parte più alta e misteriosa della missione del prete. Egli è chiamato a prestare la sua voce al Salvatore. Attraverso le sue parole i peccati sono perdonati, il pane e il vino diventano corpo e sangue di Cristo. Tutto ciò avviene per la potenza dello Spirito di Dio e non è messo in discussione dalla fragilità e dai peccati del sacerdote.
Il nostro primo compito dunque, ciò per cui Cristo ci ha chiamati e assimilati a sé, è la celebrazione dei sacramenti, innanzitutto dellEucarestia e della Penitenza. Tutto il resto lo possono fare anche altre persone. E invece spesso la nostra vita si lascia attirare da altro, da dinamiche mondane che ci conducono nelliperattività. Tutto ciò, mentre ci dà lillusione di costruire, in realtà distrugge la nostra vita e quella di chi ci sta vicino. Anziché avvicinarci, ci allontana dagli uomini, dai loro veri bisogni e dalla nostra stessa vocazione.
Celebrare la Messa, dunque, è lazione più importante che abbiamo da compiere nella giornata. Essa certamente non è la sola, ma ad essa si ricollegano, come attraverso tanti fili invisibili, tutti gli istanti della nostra vita.
Nella liturgia della santa Messa rivivono nel tempo i misteri della vita di Cristo. Tutto si ripresenta non in una ripetizione, ma in un accadimento che rivela la contemporaneità di Cristo ad ogni momento della storia. Nella liturgia Gesù è lunico attore: noi gli prestiamo il nostro corpo, la nostra voce, la nostra intelligenza, la nostra libertà. È questa la ragione fondamentale per cui le modalità della celebrazione liturgica devono lasciare emergere lazione di Cristo, le sue parole, così come ci sono consegnate dalla Tradizione della Chiesa. Ogni protagonismo del sacerdote è fuori luogo. Ogni parola aggiunta rispetto a quelle prescritte, ogni innovazione arbitraria attira forse lattenzione del popolo su chi celebra, ma la distoglie certamente da Cristo.
La celebrazione della Messa non è mai fine a se stessa, ma è culmen et fons (Sacrosanctum Conciulium, n. 10). La Messa è lorigine della comunione e rende noi che la viviamo attori di una comunione viva allinterno del popolo cristiano. Una liturgia che si chiudesse in se stessa, che si autocelebrasse, che si compiacesse della propria bellezza, non sarebbe una liturgia cristiana.
Dobbiamo, dunque, riscoprire il valore comunionale della Messa senza mai disgiungerlo dal suo valore sacrificale. LEucarestia è il sacrificio della croce. Il sacerdote non può dire: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue, senza accettare anche di essere assimilato in modo particolare, e in una misura che spetta a Dio decidere, alla passione di Gesù. A noi preti è chiesto, come a molti uomini, di partecipare al dolore dei nostri fratelli e talvolta anche di portare la croce di chi non può o non sa portarla.
Ma nella Messa vive anche levento della resurrezione. Cristo non si è limitato a morire per noi. Egli è morto donandosi e ci ha lasciato la strada per prendere parte alla sua donazione.
NellEucarestia non viviamo soltanto il mistero della morte di Cristo, ma anche la risposta che il Padre ha dato allatto di obbedienza del Figlio. Egli è diventato per noi resurrezione, si è fatto contemporaneo ad ogni istante della nostra vita e attraverso di noi vuole diventare resurrezione nella vita degli uomini.
Per questo lEucarestia è un vero banchetto che realizza la comunione.
Cari fratelli sacerdoti, quale responsabilità abbiamo! Ma prima e più ancora: quale dono abbiamo ricevuto! Vi auguro di riscoprire continuamente la bellezza e il fascino della nostra vita. La Madonna ci ottenga le grazie di cui abbiamo bisogno e realizzi ununità sempre più profonda tra noi attraverso il mistero che celebriamo.
Amen.
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