Omelia per la Festa della sacra Famiglia
- Reggio Emilia, Basilica di San Prospero
30.12.2012
Cari fratelli e sorelle,
la Chiesa ha voluto che questa prima domenica dopo il Natale ci immergesse nella vita della sacra Famiglia a Nazareth. Non sappiamo quanti anni abbiano vissuto assieme Gesù e i suoi genitori. Non sappiamo infatti quando sia morto san Giuseppe. Sappiamo che Gesù ha lasciato la casa e la madre per la sua missione pubblica a trent’anni. Nazareth è stata dunque una casa importante per lui, il luogo ove ha posto le fondamenta dei tre anni di missione in Palestina.
Cosa ci insegna la sacra Famiglia?
1. Innanzitutto ci insegna l’importanza del padre e della madre per la crescita e l’educazione dei figli. Gesù, che pure aveva una coscienza viva di essere Figlio di Dio (cfr. Lc 2,49), è stato affidato dal Padre celeste a una famiglia terrena, la sua famiglia. Egli è infatti nato da una donna (Gal 4,4; Lc 2,16; Mt 1,16) resa madre per opera dello Spirito Santo, una donna che era sposa di Giuseppe, il quale ha accettato questo figlio (cfr. Mt 1,18- 25) perché così gli ha chiesto Dio Padre. È diventato in questo modo padre putativo di Gesù, incaricato della sua nutrizione e della sua crescita, materiale e spirituale.
Anche il Figlio di Dio ha avuto bisogno, per crescere come uomo, di una famiglia, formata da un padre e una madre.
Questo è il piano naturale previsto dal creatore, rivelato a noi in tre espressioni del libro della Genesi: Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile… (Gen 2,18); lasceranno l’uomo e la donna la loro casa, si uniranno e saranno una cosa sola... (cfr. Gen 2,24); siate fecondi e moltiplicatevi (Gen 1,28).
I figli hanno diritto, ordinariamente, di trovare un padre e una madre, a cui guardare, da cui imparare le prime parole e i primi passi della vita. Un uomo e una donna. Nessuna legge umana può cancellare questo dato della natura. Oggi, da parte di taluni, si vorrebbe procedere oltre e cancellare addirittura l’originaria distinzione tra maschi e femmine. «Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato … Se non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria» (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2012).
2. Il padre e la madre non sono chiamati semplicemente a mettere al mondo dei figli. Sono chiamati ad educare, cioè a introdurre il figlio nella vita. È necessario prenderlo per mano e condurlo a incontrare le cose e le persone. È questa, inizialmente, la bella esperienza della scoperta delle parole, poi della scoperta delle cose e degli altri. Essa avviene nei primi anni della vita, soprattutto attraverso l’esperienza del gioco.
Si trova così che la vita ha le sue leggi, i suoi obiettivi, le sue battaglie, sacrifici, gioie, vittorie e sconfitte. Nel rapporto con i genitori, non senza difficoltà e problemi, il figlio impara l’amore e anche la necessità del distacco e, infine, dell’autonomia.
3. Ma cosa sta alla radice di tutto ciò? Cosa lo permette?
Nella famiglia di Nazareth vediamo l’amore reciproco di Maria e Giuseppe. Amore nato nella tenera età della donna, messo alla prova da eventi a prima vista incomprensibili, come la divina maternità, infine sigillato proprio dalla segreta consapevolezza di custodire una vocazione bellissima.
L’amore di Giuseppe e Maria ha dovuto affrontare difficoltà gravi a Nazareth, a Betlemme, in Egitto… ma ha sempre vinto perché si affidava al Padre. Impariamo anche noi che la fedeltà è possibile se, pregando, la domandiamo a Dio. L’amore nella prova si rinnova, si approfondisce e può vincere il tempo.
4. Nazareth, come ha detto stupendamente Paolo VI nel suo viaggio in Terra Santa, durante la seconda sessione del Concilio Vaticano II, ci insegna il silenzio e il lavoro: «La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo… In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito… Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia… Infine impariamo la lezione del lavoro… la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana» (Paolo VI, Discorso a Nazareth, 5 gennaio 1964). La casa di Nazareth, dunque, ci insegna a scoprire le cose essenziali che rendono bella e forte la vita: l’amore per i rapporti veri, per la semplicità, la sincerità, il sacrificio per coloro cui vogliamo bene, la laboriosità. Illuminate dalla certezza della Provvidenza, tali virtù diventano in noi, con l’aiuto di Dio, carità che sa accogliere e perdonare, speranza verso un futuro non tanto sognato, ma preparato, giorno dopo giorno, nel succedersi degli anni.
Cari amici, la famiglia di Nazareth non è la protagonista di un romanzo romantico. Sappiamo quanto Giuseppe (anch’egli trapassato da una spada nel ritrovamento di Gesù nel Tempio) abbia sofferto e quanto abbia sofferto Maria, soprattutto durante i giorni della Passione e della Croce. Nella casa di Nazareth sono state vissute tutte le esperienze della vita famigliare. Essa indica la strada a noi che vogliamo imparare a vivere sulla terra nella continua ricerca dei beni che non passano.
Amen.
Allegati