Omelia nella santa Messa per la consacrazione di Lucia Cani nell’Ordo Virginum
- Reggiolo, Parrocchia di S. Maria Assunta
22.09.2013
Cari fratelli e sorelle,
carissima Lucia,
oggi la nostra diocesi è in festa: una persona decide di rispondere all’amore di Dio consegnando a lui tutta se stessa. È il miracolo più grande, il frutto più bello, la testimonianza più eloquente della vita nuova che Gesù ha portato.
L’Ordo virginum è una delle prime forme di vita consacrata che la cristianità ha conosciuto, rifiorita nei nostri tempi dopo il Concilio Vaticano II (cfr. Esort. Ap. Vita consecrata, 7). Occorre andare alle sue radici per comprenderne la realtà profonda.
Il Vangelo e gli Atti degli Apostoli ci testimoniano che già durante la vita terrena di Gesù molte donne vivevano di fatto questa consegna di sé a lui, anche se non ancora in una forma di consacrazione esplicita. D’altronde tutto ciò non era neppure pensabile nella cultura semitica. Come sapete, nell’Antico Testamento la massima espressione della religiosità femminile era la fecondità, la possibilità di diventare madre. Questo era il modo attraverso cui la donna poteva costruire il popolo di Dio. La verginità non era considerata un valore, piuttosto era una condizione da cui rifuggire, assimilata in molti casi alla sterilità (cfr. Gdc 11,37). Soltanto nel Nuovo Testamento inizia ad affermarsi una considerazione più profonda della donna e assieme della fecondità. Il fascino esercitato da Gesù Cristo, l’esperienza di una realizzazione totale di sé nella vita con lui, fa sorgere in tanti uomini e donne il desiderio di lasciare tutto per seguirlo, superando gli stessi condizionamenti religiosi, sociali e culturali della società in cui vivevano. Tale era l’attrattiva di Gesù su di loro. E tale rimarrà per un fiume enorme di persone anche dopo la sua resurrezione.
Sin dalla Chiesa primitiva, la verginità costituisce, assieme al martirio, la testimonianza più alta della resurrezione di Cristo. Se lui non fosse risorto – se lui non fosse vivo ora – non potrebbe continuare ad affascinare gli uomini fino al punto da far sorgere in tanti cuori il desiderio di vivere solo di lui. Non si può dare la vita per un ideale astratto, per quanto grande esso sia. Soprattutto non si può dare la vita per qualcuno che non c’è più.
Le parole della liturgia di questa sera ci aiutano a penetrare in questo mistero e illuminano quanto tra poco vivrà la nostra Lucia.
La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore… Ti farò mia sposa per sempre (Os 2,16.21). Queste espressioni del profeta Osea dipingono con un’immagine sponsale il rapporto tra Dio e il suo popolo. Sono la descrizione del mistero nuziale della Chiesa. Ma nello stesso tempo descrivono il rapporto che Dio desidera stabilire con ognuno di noi. Ogni cristiano, infatti, nella strada della sua vocazione propria, è chiamato personalmente da Dio (la condurrò nel deserto), è chiamato ad un rapporto unico e totale con lui (parlerò al suo cuore). Da questo rapporto d’amore sgorgano la fecondità della vita, il compimento affettivo e la fedeltà (ti farò mia sposa per sempre).
È una storia d’amore che – come ci ricorda il Vangelo – nasce dall’iniziativa gratuita di Dio: non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi… e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto (Gv 15,16). Anche nelle parole di Gesù, dunque, ritroviamo i due elementi principali che abbiamo visto nelle parole di Osea: l’elezione da parte di Dio e la fecondità, che deriva dalla risposta a questa elezione.
Rimanete nel mio amore (Gv 15,9), dice ancora Gesù, solo così potrete portar frutto. Solo nella fedeltà è possibile sperimentare la vita nuova di Cristo. L’esperienza mostra che soltanto quando si ama si può accettare di donare se stessi. In questa donazione è contenuto il segreto della propria realizzazione umana.
Non si tratta, dunque, di rinunciare alla propria umanità, ma di viverla secondo lo sguardo originario del Padre che in Gesù ci viene rivelato. «Nella verginità liberamente scelta – scriveva Giovanni Paolo II – la donna conferma se stessa come persona, ossia come essere che il Creatore sin dall’inizio ha voluto per se stesso, e contemporaneamente realizza il valore personale della propria femminilità» (Mulieris Dignitatem, 20).
Cara Lucia, come abbiamo cantato nel Salmo, il re si è invaghito della tua bellezza (Sal 44,12), quella bellezza che Dio stesso ha impresso nella tua anima e che è l’immagine del Figlio suo. Ogni giorno dovrai scoprire e custodire questa bellezza. Come dice san Leandro di Siviglia, per te da oggi Cristo sarà «sposo, fratello, amico, parte dell’eredità, premio, Dio e Signore. In lui trovi lo sposo da amare… in lui trovi il vero fratello… Egli è l’amico di cui puoi fidarti» (Leandro di Siviglia, Lettera alla sorella Fiorentina, Città Nuova, Roma 1987, 65) e in lui, secondo la suggestiva espressione della preghiera consacratoria che tra poco pronuncerò, possederai tutto: In te, Signore, possieda tutto, perché ha scelto Te solo, al di sopra di tutto (RCV, 38).
In queste parole è contenuto il cuore della vita consacrata e assieme il paradosso della vita cristiana: è solo nel momento in cui si “abbandona” tutto, nel momento, cioè, in cui si abbandonano a Dio le redini della propria vita, che tutto diventa veramente nostro.
San Paolo, nella seconda lettura che abbiamo ascoltato, ci insegna il segreto di questo possesso: Offrite i vostri corpi come sacrificio vivente… Non conformatevi alla mentalità di questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare (Rom 12,1-2). Occorre lasciarsi trasformare, convertire il nostro sguardo, i nostri criteri di giudizio. Occorre una lotta contro la mentalità corrente da cui spesso inconsapevolmente mutuiamo il nostro modo di pensare. Se non si entra, con la preghiera e il sostegno dei sacramenti, nello sguardo che Dio ha sulle cose e sul mondo, non è possibile vivere la verginità. Non è possibile viverla come pienezza affettiva. La verginità, infatti, è lo sguardo di Gesù. Solo se entriamo in tale sguardo, nel modo con cui lui guardava e guarda ogni cosa e ogni persona, queste ci appariranno nella loro luce e nella loro originaria verità.
È questo il mio augurio, cara Lucia: che ogni giorno tu possa immedesimarti con lo sguardo di Gesù, che ogni giorno tu possa conoscere un po’ di più colui che da oggi sarà il tuo sposo e così portare la sua luce per le strade del mondo.
Ti accompagni e ti protegga sempre la Vergine Madre, «vertice e prototipo della verginità, madre dell’incorruttibilità» (Leandro di Siviglia, Lettera alla sorella Fiorentina, Città Nuova, Roma 1987, 65).
Amen.
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