Omelia nella santa Messa in suffragio delle vittime dell’incidente aereo del’8 ottobre 2001 a Linate
- Milano, Basilica di S. Ambrogio
08.10.2013
Cari fratelli e sorelle,
cari amici del Comitato “8 ottobre per non dimenticare”,
egregi sindaci e autorità,
siamo qui riuniti per celebrare assieme una Messa di suffragio per i nostri cari, vittime dell’incidente aereo che 12 anni fa si è consumato a Linate riempiendoci di dolore e facendo sprofondare centinaia di famiglie in preda allo sconforto.
Il mio saluto e il mio abbraccio innanzitutto ai famigliari delle vittime, in particolare al signor Pasquale Padovano, unico superstite, a sua moglie Teresa e a sua figlia Anna.
Desidero inoltre ringraziare il dott. Paolo Pettinaroli, presidente della “Fondazione 8 ottobre”, per tutto l’impegno profuso in questi anni.
Quanto è accaduto ci pone di fronte a domande ben più profonde di quelle relative alle cause tecniche e alle responsabilità formali. Nessuna giustizia umana può colmare il vuoto lasciato da una persona cara che ci è stata strappata. La morte sempre ci interroga sul senso della vita, e una morte così improvvisa e apparentemente “senza senso” ci spinge con maggior forza a interrogarci sul significato dell’esistenza. Dentro l’esperienza della vita di ogni uomo c’è un grido: “voglio continuare a vivere”. È un grido talvolta soffocato, dimenticato, ma sempre presente. Ritorna fuori in tanti modi, soprattutto di fronte agli eventi che sembrano contraddire questo desiderio strutturale di eternità. Non è possibile rassegnarsi all’idea che tutto debba o possa finire. Che ciò che accade non abbia un senso.
Noi siamo portati a ricercare sempre le origini e le responsabilità del male nel mondo: di fronte ad una guerra cerchiamo, giustamente, di capire chi l’ha scatenata. Di fronte ad un omicidio cerchiamo di sapere chi lo ha commesso e perchè. In un incidente, come quello che ha coinvolto i nostri cari, ci domandiamo se e come si sarebbe potuto evitare. Ma questo non basta. Il dato di fatto è che la tragedia è avvenuta. E la domanda profonda che sorge davanti a tutto ciò non può essere evitata: dov’era Dio quell’8 ottobre 2001? Quale posto ha l’uomo e quale Dio nella storia e, in particolare, di fronte a quanto accaduto? E via via questa domanda si approfondisce sempre più: All’origine di tutto c’è Dio o il nulla? Ma se c’è Dio, perché permette che accadano certe cose? Perché non interviene? È giusto che a causa della mancanza di responsabilità di alcuni, muoiano tante persone innocenti e il dolore si riversi su tantissime famiglie?
Gesù, nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato parla di terremoti, tragedie, fatti terrificanti. Tutto questo, dice, vi darà occasione di render testimonianza (Lc 21,13). Dio non si dimentica di noi, egli soffre assieme a noi di tutto il male che ci circonda, conosce soprattutto la precarietà della vita, che da un giorno all’altro può venir meno. Per questo è venuto, per darci la possibilità di una vita che non finisce. Tutto ciò che viviamo sulla terra, in particolare tutto ciò che è causa di sofferenza e dolore, diviene perciò occasione di rendere testimonianza a questa vita eterna che Gesù è venuto a portare. Dio per primo, nella passione, morte e resurrezione del suo Figlio Gesù, ci ha dato testimonianza di questo. La sua morte, il suo dolore è stato per lui innanzitutto una misteriosa affermazione della bontà del Padre. Solo nella certezza della vita eterna che viene da Dio è possibile affrontare con serenità la morte.
Dio si è fatto uomo per venire a dire a ciascuno che c’è un Padre, che noi non veniamo dal nulla e non andiamo verso il nulla. A dispetto di tutte le apparenze che vogliono trascinarci nel non-senso, nella fede siamo certi che tutto concorre misteriosamente al bene: omnia in bonum diligentibus Deum, afferma san Paolo (Rom 8,28), tutto è ordinato al bene di coloro che amano Dio.
Capiamo così che quanto è accaduto interpella personalmente ciascuno di noi, la nostra fede, la nostra speranza, il nostro amore a Dio. La sofferenza, da questo punto di vista, è innanzitutto una chiamata. Cristo non spiega in astratto le ragioni della sofferenza, ma dice: “Seguimi”. “Prendi parte con la tua sofferenza all’opera di salvezza del mondo che si compie per la mia passione”. Questo deve essere il punto di vista da cui guardare anche la tragedia di Linate, la lettura preziosa che dovete fare del sacrificio chiesto ai vostri cari.
Non c’è nessun “dolorismo” nel cristianesimo, nessun amore al dolore per il dolore. Il male e la sofferenza vanno il più possibile evitati, curati. Scriveva Giovanni Paolo II: «il Vangelo è la negazione della passività di fronte alla sofferenza» (Salvifici doloris, 30).
Anche Paul Claudel, nelle sue Lettere sul dolore, ha scritto: «Il dolore è una presenza ed esige, perciò, la nostra presenza. A questo terribile problema – continua lo scrittore francese – solo Dio era in grado di rispondere: “Non sono venuto a spiegare, dissipare dubbi con una spiegazione, ma a riempire il vuoto, a sostituire con la mia presenza il bisogno della spiegazione”. Il Figlio di Dio non è venuto a distruggere la sofferenza, ma a soffrire con noi. Non è venuto a distruggere la croce, ma a distendersi sopra» (Paul Claudel, Lettere sul dolore).
Offriamo a Dio il nostro dolore, chiediamo alla Madonna di viverlo come lei, in unione alla passione di Cristo, perché possa contribuire alla salvezza eterna dei nostri cari e del mondo intero. «Solo alla fine, quando avrà termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio faccia a faccia, conosceremo pienamente le vie lungo le quali anche attraverso i drammi del male e del peccato Dio avrà condotto la sua creazione fino al riposo di quel sabato definitivo, in vista del quale ha creato il cielo e la terra» (Catechismo della Chiesa Cattolica, 314).
Amen.
Allegati