Omelia nella IV domenica di Pasqua – Ordinazioni diaconali
- Reggio Emilia, Cattedrale
21.04.2013
Carissimi fratelli e sorelle,
il mio saluto questa sera va innanzitutto ai nostri due amici che riceveranno, attraverso la preghiera consacratoria e l’imposizione delle mie mani, il sacro ordine del diaconato. Essi lo ricevono in vista del sacerdozio ed esprimeranno, perciò, la loro intenzione di vivere nella verginità tutta la loro vita. Di avere cioè come unica sposa la Chiesa di Cristo che a loro si unisce ogni giorno attraverso la preghiera, in particolare il sacrificio eucaristico, la predicazione e la dedizione al popolo di Dio. Saluto in modo particolare i loro genitori, i loro parroci – don Natale Dallari, don Giovanni Caselli e don Giuliano Marzucchi – i loro parenti e amici, che tanta parte hanno avuto nel loro cammino vocazionale.
La vocazione, in particolare quella sacerdotale, non nasce come un fiore solitario e strano in un deserto. Essa è certamente opera di Dio che si serve, però, di tanti incontri. Ognuno può ricordare volti e nomi che hanno segnato il suo cammino verso il sacerdozio, persone che non potrà mai dimenticare e a cui rimarrà sempre legato da un debito di gratitudine e di comunione profonda.
Saluto poi gli educatori del seminario, in particolare il rettore e tutti i suoi collaboratori. Essi costituiscono un’importante espressione dell’opera educativa della Chiesa diocesana. Su di essi il vescovo ha una speciale attenzione, attesa e gratitudine. Saluto poi i seminaristi, che ho cominciato a conoscere in questi primi mesi del mio ministero reggiano-guastallese e a cui mi sento già profondamente legato, come un padre ai propri figli. Spero che molti giovani possano avvertire la bellezza della vita sacerdotale e che la nostra Chiesa possa essere arricchita in futuro da un buon numero di sacerdoti.
Intendo dedicare una parte importante del mio tempo alla cura dei sacerdoti, in particolare dei giovani preti, per aiutarli a vivere la comunione presbiterale e ad affrontare con serenità e fiducia le inevitabili difficoltà che la loro vita comporta, partecipando così anche delle loro gioie e delle loro soddisfazioni.
Come sempre la Parola di Dio, presentataci dalla liturgia, costituisce un ricco alimento per la nostra vita e, soprattutto, una luce decisiva per la nostra esistenza.
Cari Gionatan e Giacomo, vorrei che letture di questa IV domenica di Pasqua, le letture della Messa della vostra ordinazione diaconale, vi accompagnassero durante tutto l’anno. Potrete così scoprire quella realtà profonda che esse rivelano e di cui, attraverso il sacramento dell’Ordine, siete entrati a far parte in modo sempre più profondo e vero.
Con la vostra ordinazione venite introdotti nel dialogo stesso che esiste tra Cristo e il Padre. Diventate pecore e nello stesso tempo cominciate ad essere pastori. Per poter essere pastori dobbiamo essere pecore, cioè dobbiamo porci in ascolto della voce di Cristo. Tale ascolto è molto di più che un “prestare orecchio”. Esso coincide piuttosto con la disponibilità ad essere continuamente creati dalla Parola di Dio che è Cristo e continuamente condotti da lui. In questo modo riceviamo da Gesù la vita e nessuno potrà strapparci dalle sue mani.
Cari fratelli, ogni volta che vi allontanerete da Gesù entrerete nel pericolo. Come Pietro sul lago di Genezaret, quando non guarda più il suo Signore, comincia ad affogare (cfr. Mt 14, 25-31). Quando invece il suo sguardo incrocia i suoi occhi, si accorge del suo peccato (cfr. Lc 22,61-62), ma non si dispera. Si sente lavato e purificato dall’infinita misericordia del Signore.
Anche il libro dell’Apocalisse parla di questa purità. La moltitudine immensa vista da Giovanni, che sta in piedi davanti al trono e all’Agnello, è avvolta in vesti candide (cfr. Ap 7,9). I rami di palme nelle loro mani ci avvisano che essi sono dei martiri: hanno attraversato la grande persecuzione e le loro vesti, cioè le loro vite, sono state rese candide dal sangue dell’Agnello, dalla partecipazione al sacrificio di Cristo. Coloro che qui sono visti da Giovanni non sono soltanto i pochi martiri di quel breve periodo della storia cristiana, ma tutti coloro che verranno. I verbi sono significativamente al futuro. Essi – dice l’evangelista – non saranno colpiti da nessun male perché l’Agnello li guiderà alle fonti delle acque della vita e asciugherà ogni lacrima dai loro occhi (cfr. Ap 7,16-17).
Ritengo un dono particolare di Dio al nostro seminario la beatificazione del nostro seminarista Rolando Rivi. La sua intercessione ci ottenga di capire esistenzialmente cosa vuol dire “essere del Signore”, quale grande grazia sia contenuta in questa appartenenza, in questa relazione che è l’anima del dono ricevuto nel sacramento dell’Ordine.
Cari amici, voi siete di Cristo per il battesimo che avete ricevuto. Oggi lo diventate con una nuova ragione, in una nuova donazione e in una nuova richiesta di Gesù: “Vuoi essere mio, vuoi essere mio anche nel dono della tua vita al mio popolo, al mio corpo?”. Risuonano per voi le parole di Isaia ricordate da Paolo e Barnaba nel loro discorso di Antiochia: Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza fino all’estremità della terra (cfr. Is 49,6; At 13,47).
Dio questa sera vi concede un cuore senza confini. Sappiate attingere continuamente questa dimensione cattolica della vostra vocazione dal rapporto con Cristo, attraverso l’Eucarestia, la lettura e meditazione della Parola del Signore, la carità vissuta. Sappiate che il ministero sacerdotale, prima di essere un compito, è un dono che Dio fa ad ognuno di voi. In questa grazia di predilezione le vostre persone trovino sempre la gioia di rinascere, trovino una nuova freschezza di donazione.
Amen.